È la punta di un iceberg dalle dimensioni indefinite, che va al di là delle due ruote e del suo popolo in espansione tumultuosa.

Bianchi, o anche Fabbrica italiana velocipedi Edoardo Bianchi, ha deciso di potenziare la produzione in Italia in modo massiccio, con un investimento da trenta milioni di euro che porterà a una capacità produttiva di 1.500 biciclette al giorno. Il dato spiega da solo quanto Bianchi voglia aggredire il mercato intero, e non solo il vertice della gamma, con la produzione in Italia. Per il mondo delle due ruote questa decisione non è una notizia qualsiasi: è un evento che racconta il futuro economico della bicicletta, ma non solo.

Produzione interna

Succede a Torino, ma il fenomeno è mondiale: le bici occhieggiano dalle vetrine, altre sono esposte dentro il negozio, ma le rastrelliere dei magazzini sotterranei talvolta possono esporre ganci vuoti. Dai bambini agli amatori che fanno trentamila chilometri all’anno può accadere che si debba attendere più che in passato. È una novità.

In Italia – dati Confindustria Ancma – la già forte spinta presente nel settore ha avuto una ulteriore accelerazione grazie al bonus bici dell’estate 2020 e si è passati da un milione e 713mila del 2019 a 2 milioni e 10mila, registrando un più 17 per cento nella vendita complessiva di biciclette. L’import e l’export hanno segnato entrambi un calo, rispettivamente dell’otto e sette per cento, segnale che la produzione interna è stata assorbita e quella in arrivo dall’estero ha segnato qualche cedimento.

Le cause sono molteplici e vanno dal perdurare di una domanda sostenuta in virtù del necessario distanziamento sociale nella mobilità, alla “moda” della bici elettrica che dà la possibilità a tutti, o quasi, di essere ciclisti anche su strade un tempo impensabili per chi non avesse un allenamento adeguato: la bicicletta “assistita” è passata da 50mila pezzi venduti a 280mila. Fenomeno che ha coinvolto non solo il consumo, ma la produzione: se la fabbricazione di biciclette tradizionali in Italia è cresciuta del sei per cento quella di due ruote elettriche è balzata del 29. Che il fenomeno sia, e sarà, dirompente si evince anche dai dati di import-export, rispettivamente in aumento del 28 e del 68 per cento.

I rivenditori, puntano il dito sul blocco della produzione cinese durante le fasi iniziali della pandemia, ma i fornitori di Taiwan che riforniscono il mondo alzano le spalle e negano.

Il nodo quindi potrebbe essere da un’altra parte: in mare. Condizione curiosa visto che si parla di un mezzo di locomozione il cui mito nasce sulle erte dei grandi passi alpini. L’intera catena produttiva della bici, sottovoce, guarda alla logistica che porta la produzione dall’estremo oriente in Europa.

Andrea Scarpa, vicepresidente Fedespedi (Federazione nazionale imprese spedizioni internazionali) inquadra un problema che non riguarda solo le biciclette, ma praticamente tutto ciò che ci circonda: «Esistono tre alleanze che muovono l’85 per cento dei 147 milioni di Teu, la misura standard di lunghezza nel trasporto container, del traffico marittimo a livello globale, gestendo in modo molto intelligente la capacità di stiva: con un’offerta sempre sottodimensionata rispetto alla domanda, nell’ultimo anno sono state in grado di fissare il costo dei noli, schizzati alle stelle, senza che questo fosse accompagnato da un’affidabilità del servizio, scesa ai minimi storici. La situazione odierna è anche il risultato di condizioni di vantaggio concesse dalla Commissione europea alle shipping line dagli anni Novanta. Il Consortia Block Exemption Regulation Ue (Cber) – rinnovato a marzo 2020 per altri 4 anni – consente ai carrier marittimi, riuniti in consorzi, di scambiarsi dati commercialmente sensibili al fine di condividere la capacità di carico sulle navi per migliorare la qualità del servizio. Le conseguenze di questa esenzione dalle norme antitrust negli anni sono state la drastica riduzione degli operatori (favorita dalla corsa al gigantismo navale imposta dai principali carrier marittimi), la loro concentrazione in tre grandi alleanze, che operano oggi in regime di sostanziale oligopolio, e l’incremento di operazioni di M&A grazie alle quali le compagnie controllano anche le cosiddette attività di terra (terminal, trasporto su gomma e rotaia, spedizioni). Per questo il Cber non è più adatto alla situazione attuale, anzi, crea di fatto una distorsione del mercato; anche perché le shipping line godono anche di aiuti di stato e regimi fiscali agevolati, diversamente da tutte le altre imprese operanti lungo la supply chain marittima. Occorre guardare ai dati per comprendere: secondo il centro studi Srm i top 3 carrier (Maersk, Msc, Cosco) detengono il 45,3 per cento della flotta mondiale e i loro bracci operativi nel terminalismo detengono una quota di mercato del 37 per cento».

La bici è quindi un prodotto sineddoche, che alle difficoltà di risposta rispetto una domanda sostenuta aggiunge una logistica problematica? A questa condizione dal mondo produttivo giungono tre proposte. La prima: pressione politica sulla Comunità europea affinché liberalizzi la concorrenza nella navigazione, in particolare sulla commissaria alla concorrenza, la danese Margrethe Vestager.

La seconda entra dentro i cieli della fantapolitica e fantaeconomia e rimane in fiduciosa attesa che la “via della seta”, via terra, passi da futuribile e realtà. La terza, qui e ora, è la risposta più ovvia, si torna al made in Italy come materiale di costruzione dei telai e non solo: l’acciaio che soppianta i materiali compositi, ormai divenuti dominanti a ogni livello. Dopo decadi di “made in Taiwan” è un passaggio epocale.

Made in Italy

Gios è una fabbrica torinese fondata nel 1948 a Torino ed è giunta alla terza generazione: ha una storia sportiva legata alle grandi classiche del nord Europa, vinte a mani basse per decadi, e che ancora oggi valgono il pellegrinaggio alla fabbrica da parte di ciclisti olandesi e belgi. «Noi in questo momento non abbiamo problemi – spiega Marco Gios, giovane erede di una tradizione – perché siamo rimasti legati ai tubi d’acciaio, e alla componentistica italiana. Escluse le camere d’aria, e non per scelta, noi siamo totalmente made in Italy. Al nostro cliente possiamo riservare tempi di consegna di due, tre mesi, per altro fornendo un prodotto su misura al centimetro, non standardizzato e dal prezzo non difforme dai migliori prodotti in carbonio prodotto a Taiwan». Five, acronimo di Fabbrica italiana veicoli elettrici, ha fatto un passo ulteriore: nel 2016 ha riportato la produzione in Italia dopo averla avuta per anni in Cina. Gary Fabris è il direttore commerciale e opera nel settore delle ebike da ormai 20 anni: «Producendo in Italia possiamo garantire una consegna in tempi rapidi, nonostante la domanda molto elevata di biciclette elettriche. Si pensi che persino sul boom del 2020 abbiamo avuto una crescita del 30 per cento, passando da 5500 a 7000 e-bike vendute. La scelta di riportare in Italia la produzione non è stata dovuta però esclusivamente a ragioni logistiche, ma principalmente alla qualità del prodotto. Infatti in passato ci siamo imbattuti in qualità non costante da parte dei fornitori asiatici e questo portava a costi non previsti nonché rischiava di causare danni d’immagine. Rimettere la fabbrica in Italia è stata l’unica scelta possibile e oggi ci premia».

E di possibili prospettive di sviluppo della produzione, soprattutto di componentistica, direttamente sul suolo nazionale, parla anche la stessa Ancma. Un orizzonte che, secondo l’associazione, ha bisogno di un «sostegno sussidiario da parte del governo con un intervento deciso sul costo del lavoro e con un supporto agli investimenti di un settore che è in fase di ulteriore crescita e che può creare ancora occupazione e valore». Sulla disponibilità di bici, Piero Nigrelli, direttore del settore ciclo dell’associazione sottolinea: «È improprio affermare che non ci sono le bici, in realtà non ci sono ancora numeri per soddisfare una domanda che è raddoppiata rispetto ai trend degli ultimi anni. Alcune imprese sono meno in difficoltà, altre aumentano ritmo e produzione, ma non si può risolvere tutto in poche settimane. Oggi comunque si sta producendo di più, ma questo aumento di produzione è semplicemente ancora insufficiente, malgrado l’impegno».

 

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