Una nuova iniziativa di legge per difendere il Natale e le tradizioni cristiane con l’obiettivo di impedire «a taluni dirigenti di istituzioni scolastiche e universitarie di cancellare o chiamare in altro modo le celebrazioni e tradizioni legate al Natale e alla Pasqua cristiana». È la proposta presentata da alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia e della Lega in Senato e attualmente in discussione nella Commissione Cultura, nella quale si legge che «non possono essere accettate e consentite le decisioni di alcuni dirigenti scolastici di vietare nei propri istituti i simboli e le rappresentazioni del Natale e della Pasqua, invece proposte nel loro istituto o che sono sempre state adottate nello stesso». Lo scopo è dunque introdurre una nuova stretta ai docenti e agli istituti che decidono di vietare il presepe nelle scuole italiane, nonostante la Costituzione stessa sottolinei la laicità del nostro paese.

Secondo quanto scrivono i parlamentari, «l’attuale contesto sociale è sempre più caratterizzato dall'attuazione del principio di uguaglianza multiculturale che, in realtà, si rivela strumento di distruzione delle nostre regole e tradizioni, in nome di una inclusività che, invece di propugnare il reciproco rispetto, di fatto spinge alla rinuncia ai nostri simboli identitari».

Nel testo c’è scritto che «il disegno di legge interviene sul rispetto delle tradizioni religiose cristiane e sui simboli che le contraddistinguono. Segnatamente, per quanto riguarda il Natale e la Pasqua, il riferimento va all'allestimento del presepe e allo svolgimento delle relative cerimonie, recite e rappresentazioni celebrative. Tali occasioni, infatti, se da un lato commemorano i momenti salienti della fede cristiana (nascita, morte e resurrezione di Cristo), dall'altro contribuiscono a tramandare, consolidandole, le tradizioni religiose, storico letterarie, artistiche».

Vietato anche chiamare il Natale con nomi diversi. «La proposta, ad esempio, di trasformare il Santo Natale nella “Festa d’Inverno”, vale a dire in una festa che è avulsa da qualsiasi contesto commemorativo storico culturale attinente alla nostra Nazione e che, in quanto priva di qualsivoglia contenuto etico, è destinata ad assumere una connotazione meramente edonistico-consumistica, è assolutamente inaccettabile! Rinominare con altro nome le massime festività cristiane in nome dell'uguaglianza implica la cancellazione di secoli di storia e la perdita di grandi insegnamenti e di valori che hanno sostenuto l'evoluzione italiana e della stessa Europa».

Secondo i parlamentari della maggioranza «consentire la trasformazione delle sacre festività cristiane in altra anonima tipologia di celebrazione costituirebbe una discriminazione nei confronti degli alunni e delle rispettive famiglie praticanti la religione maggioritaria, oltre che un attentato ai valori e alla tradizione più profonda del nostro popolo. L'allestimento del presepe, al pari della preparazione di recite e celebrazioni, non integra alcuna azione d'indottrinamento né, tantomeno, di proselitismo da parte dello stato italiano e, certo, non determina alcuna discriminazione degli alunni e delle rispettive famiglie che osservano altre religioni».

Gli articoli

La proposta parte con il preambolo dell'articolo 1: «La Repubblica valorizza, preserva e tutela le festività e le tradizioni religiose cristiane quale espressione più autentica e profonda dell'identità del popolo italiano».

Al secondo articolo sono enunciati i divieti: «Negli istituti di istruzione pubblici è fatto divieto di impedire iniziative, promosse da genitori, studenti o dai competenti organi scolastici, volte a sostenere le attività connesse alle tradizionali celebrazioni legate alle festività del Natale e della Pasqua cristiana, come l'allestimento del presepe, le recite e le altre manifestazioni a esse collegate, al fine di ricordare il loro profondo significato di umanità e il rapporto che le lega all'identità nazionale italiana».

Starà al ministero dell’Istruzione guidato da Giuseppe Valditara verificare e prendere provvedimenti per attuare l’articolo 2. In caso di violazione, i dipendenti della pubblica amministrazione saranno sottoposti a un provvedimento disciplinare.

«In conclusione – scrivono i proponenti –, non possiamo dimenticare che il processo di integrazione è un percorso che richiede un impegno bilaterale, affinché non ci si annulli in un indistinto, ibrido multiculturalismo. Non si deve temere di reiterare le proprie consolidate tradizioni religiose e culturali. In questo modo si è in grado di accogliere autenticamente l'altro».

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