«Se l’ha fà ul Còmm?». I tifosi del Como se lo sono sentito ripetere per anni. Per Google translate, comasco-italiano, sarebbe «Ma cosa ha fatto il Como?». La domanda, condita da un pizzico di spocchia, segnava un confine: da una parte i fedelissimi, i destinatari, dall’altra i concittadini che magari si interessavano al risultato ma che al Sinigaglia si vedevano poco. Erano altri tempi, neanche troppo lontani, prima che un vento orientale rivoluzionasse quel ramo del lago reso famoso al mondo non dal Manzoni, ma dalla villa di Clooney.

Nell’estate del 2017 del vecchio Como non era rimasto più nulla. Dopo la retrocessione in Serie C e la conseguente bancarotta, il club viene acquistato all’asta da Akosua Puni Essien, moglie di Michael Essien, ex calciatore di Milan, Chelsea e Real Madrid. La gestione si rivela un disastro. Non vengono pagati gli stipendi e i giocatori se ne vanno. Il club non si iscrive al successivo campionato, dichiara il fallimento ed è costretto a ripartire dalla Serie D.

La squadra viene quindi consegnata al sindaco che apre un bando. Si fanno avanti tre imprenditori: Roberto Renzi, Enzo Angiuoni e Massimo Nicastro che diventa presidente. Nicastro è un broker, CEO di American Real Estate Italia, un’agenzia immobiliare con uffici a Miami. Grazie alle sue consulenze conosce i fratelli indonesiani Hartono e il loro intermediario Mirwan Suwarso, l’uomo chiave di questa storia. Sarà lui a convincere gli Hartono a comprare il Como nell’aprile del 2019.

La svolta

L’acquisto avviene tramite la Sent Entartaiment, società di media e intrattenimento inglese. Agli Hartono il bugdet non manca. Robert e Michael sono rispettivamente al 71esimo e al 76esimo posto dell’elenco dei miliardari del 2024 stilato dalla rivista Forbes. Il patrimonio di 52 miliardi di dollari complessivi li rende oggi i proprietari più ricchi del calcio italiano. Una fortuna costruita sul mercato del tabacco. La famiglia Hartono non ha bisogno di spendere per farsi conoscere, ma pensa il club come un contenuto mediatico.

L’intento è prendere una squadra e renderla uno show. I rapidi successi sportivi, però, portano la dirigenza a ritenere che i costi siano troppo alti per un contenuto televisivo. A eccezione della prima stagione in Serie D, in cui il Como centra subito la promozione, l’approccio è graduale. Nessun investimento eccessivo sulla rosa, un anno si impara, l’anno dopo si compete per vincere.

Un metodo che dimostra solidità, ma che comunque porta la squadra in cinque anni dalla D alla A, ritrovata dopo 21 anni. L’ambizione della proprietà si percepisce fin da subito ma per capire cosa serve gli Hartono hanno bisogno di un rappresentante e lo trovano in Suwarso che a Como tutti chiamano “boss”. Suwarso conosce i dipendenti, chiede, studia i metodi di lavoro. Gli serve per convincere una piazza scettica, che dal 2004 ha assistito a tre fallimenti in poco più di 15 anni.

Il valore della presenza resta tuttora fondamentale. Quella digitale, con video on demand che valorizzano il rapporto tra club e territorio e con le pagine social, curate persino in indonesiano da admin indonesiani. E quella fisica, in città. Se si fa un giro in centro si notano i poster della squadra sui palazzi, se si prende un pullman lo si trova tappezzato di foto che immortalano la promozione in A. Una domenica viene Guè per tenere un concerto prima della partita in stile Super Bowl, un’altra volta arrivano Hugh Grant e Andrew Garfield a fare il tifo in tribuna.

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«Quando sono arrivato qui non c’era niente» spiega Carlalberto Ludi, direttore sportivo dal 2019. «Se si deve costruire si parte dal trovare una casa. Abbiamo creato un centro sportivo all’avanguardia e rinnovato la concessione per lo stadio. Poi si guarda al capitale umano, bisogna scegliere la persona giusta al posto giusto».

Il segreto di questo modello, finora vincente, sta nel fatto che a Como ognuno vuole dimostrare qualcosa. Vale per un dirigente giovane come Ludi che cerca di consolidarsi nel proprio ruolo. Vale per Sergi Roberto che dopo una lunga carriera a Barcellona, desidera cimentarsi con un campionato diverso. E vale anche per Cesc Fabregas, l’allenatore, il sole della galassia Como.

Il ruolo dell’allenatore

Il curriculum del Fabregas calciatore era di altissimo livello: 652 match e 121 gol segnati tra l’Arsenal, il Barcellona e il Chelsea, un mondiale e due europei vinti con la Spagna, numeri che per certi versi lo offendono. Poteva essere perfino più grande, lui capace di giocare da mezzala, da regista, da centravanti finto. Ma come attrarre una campione del genere in un club che prima di questa estate aveva trascorso solo 12 campionati di Serie A in 117 anni di storia? Sfruttando location e conoscenze.

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Fabregas aveva bisogno di un’ultima serena avventura da calciatore che gli permettesse di gestire al meglio il passaggio in panchina. E quale miglior occasione di giocare in uno degli stadi più chic d’Italia, dove sei talmente vicino al lago che se ti impegni puoi mandare il pallone in acqua. La strategia del Como è stata innovativa: nell’estate 2022 ha convinto Fabregas mettendogli a disposizione anche un pacchetto d’azioni. In un colpo solo voleva dire un contratto biennale da calciatore agli sgoccioli della carriera e un posto assicurato per cominciare ad allenare con una quota di società.

Il perfetto esempio di investimento sul capitale umano. Una scelta forte, resa ancora più chiara lo scorso novembre quando il club ha deciso di esonerare Moreno Longo nonostante il sesto posto in Serie B e di affidare la guida della squadra proprio al catalano, nel frattempo ritiratosi. Come è andata a finire? Con la festa promozione sul lungolago.

Uno come Fabregas richiama prestigio, perché se una star si trova bene lo dice ai suoi amici. Quasi tutti dei campioni fuori scala per una nei promossa, dal portiere Pepe Reina a Sergi Roberto ex Barcellona. Anche il campione del mondo francese Raphael Varane si era lasciato sedurre, un infortunio al ginocchio nelle primissime settimane della sua esperienza lo ha costretto addirittura a lasciare il calcio. Il calcio, non il Como. C’è un posto per lui nel cda.

E dalla succursale del Real Madrid, il Castiglia, è arrivato il diciannovenne Nico Paz, argentino, uno dei giocatori più divertenti da vedere in questa prima fase del campionato. Thierry Henry, ex compagno di Fabregas all’Arsenal, monumento del calcio francese, è diventato anch’egli azionista. A Como stanno puntando sul giusto equilibrio tra identità locale e respiro internazionale. Dialetto e inglese, ecco se l’ha fà ul Còmm. Ha fatto le cose per bene.

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