Alfonso Sabella, insieme al collega Luca Masini, aveva avviato un’inchiesta sulla malasanità siciliana. Un imprenditore milanese aveva confessato di aver pagato una tangente destinata a tale Salvatore Catanese, imprenditore e uomo politico di Caccamo, già legato a Salvo Lima e sospettato di avere stretti rapporti con i mafiosi del luogo. Ma la richiesta di custodia cautelare nei suoi confronti, non viene vista per tre volte dal loro capo, il procuratore Giuseppe Prinzivalli. Così Sabella e Milani decidono di denunciarlo al CSM
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, la grande caccia ai mafiosi dopo la cattura di Totò Riina. Uno dei magistrati è Alfonso Sabella. Le indagini sono diventate poi un libro, “Cacciatore di mafiosi”.
Io, che ero ancora sostituto procuratore della Repubblica di Termini Imerese, in verità, in quei giorni avevo altri e, almeno per me, ben più gravi problemi. Un paio di settimane prima mi ero presentato, insieme al mio collega Luca Masini, al Consiglio superiore della magistratura per denunciare alcuni fatti riguardanti il mio capo, Giuseppe Prinzivalli.
Insieme a Luca avevo avviato delle inchieste sulla cosiddetta malasanità siciliana e un imprenditore milanese ci aveva confessato di aver pagato una tangente di qualche decina di milioni di lire destinata a tale Salvatore Catanese, imprenditore e uomo politico di Caccamo, già legato a Salvo Lima e ad ambienti massonici, all'epoca presidente del Comitato di gestione della Usl di Termini. Catanese, inoltre, era sospettato di avere stretti rapporti con i mafiosi del luogo e per questo era stato oggetto di indagini da parte di Giovanni Falcone.
Recuperiamo le tracce bancarie del denaro e altri elementi di riscontro e predisponiamo la richiesta di custodia cautelare per Catanese. Prinzivalli in tre occasioni si rifiuta di vistarla accampando scuse di vario tipo. L'ultima volta veniamo a conoscenza che, giusto la sera prima, aveva partecipato a una cena organizzata dal Lions Club, durante la quale si era appartato a parlare proprio con Catanese. Nelle ore precedenti ci aveva cercato ripetutamente per richiederci informazioni sullo sviluppo delle più recenti indagini sul politico di Caccamo.
Ovviamente non conosciamo il contenuto del colloquio tra Prinzivalli e Catanese ma, al di là delle nostre legittime supposizioni sull'oggetto della discussione, né io né Luca avremmo mai incontrato privatamente una persona coinvolta nelle nostre indagini. Per questo motivo decidiamo di riferire l'episodio al Csm.
Proprio quando ritorniamo a Termini Imerese da Roma, troviamo un collega di Caltanissetta che, insieme a personale della Dia, sta perquisendo l'ufficio di Prinzivalli. Di lui, guarda caso, aveva parlato alla procura nissena, competente per i processi riguardanti i magistrati di Palermo, proprio Salvatore Cancemi accusandolo di essersi intascato una «vagonata» di soldi in relazione all'esito del maxi processo ter che Prinzivalli aveva presieduto in Corte di Assise a Palermo.
In passato Prinzivalli, che non aveva mai fatto mistero della sua profonda avversione per Paolo Borsellino e per i suoi metodi di lavoro, si era distinto per alcune assoluzioni di uomini d'onore che avevano destato un certo scandalo; soprattutto per le pesanti critiche da lui mosse, nelle motivazioni delle sue sentenze, al lavoro svolto dall'ufficio istruzione di Palermo. La più nota era l'assoluzione dei presunti esecutori materiali della strage di piazza Scaffa, costata la vita a ben otto persone durante la guerra di mafia degli anni Ottanta.
Non voglio ovviamente entrare nel merito delle accuse mosse a Prinzivalli che, peraltro, dopo essere stato condannato a dieci anni di carcere in primo grado, ridotti a otto in appello, è stato definitivamente assolto dalla Corte di Cassazione. Sicuramente, però, dopo la nostra denuncia al Csm, il clima in una piccola procura come quella di Termini, per me e Masini, era divenuto irrespirabile. La tensione si tagliava letteralmente con il coltello.
Caselli ottiene il trasferimento di Sabella a Palermo
Un aiuto, devo dire inaspettato, mi era arrivato da Gian Carlo Caselli, da qualche mese procuratore di Palermo e che conoscevo appena avendolo incrociato un paio di volte e sempre in occasioni formali. Gian Carlo mi aveva tirato fuori da quell'inferno. Aveva chiesto e ottenuto la mia immediata applicazione a Palermo, dove mi ero trasferito qualche giorno dopo. Mi erano stati, ovviamente, affidati i processi sulla mafia del Termitano e delle Madonie, insieme a diverse inchieste sulla malasanità in corso nel capoluogo siciliano, scaturite per la maggior parte dalle nostre indagini a Termini. Visto che non avevo ancora carichi in dibattimento a Palermo, Caselli mi aveva dato anche il compito di aiutare i colleghi nella raccolta delle dichiarazioni di qualche collaboratore di giustizia tra cui, appunto, Salvatore Cancemi.
Così ero finito su quell'aereo con il boss di Porta Nuova. Dovevo seguire materialmente lo sviluppo della rogatoria internazionale che avevamo richiesto alla Confederazione elvetica e io avevo accettato l'incarico con entusiasmo, senza pensarci un attimo.
Un magistrato doveva comunque andarci e la scelta era caduta su di me che ero il più giovane del pool che seguiva Cancemi e il più libero da impegni. Però, lo devo confessare, proprio mentre le ruote del Falcon toccavano la pista di Lugano mi era sorto qualche dubbio. Non conoscevo ancora bene gli altri miei colleghi di Palermo e, soprattutto, Gian Carlo Caselli, altrimenti non avrei certo fatto molti di quei pensieri.
Se fosse stata una trappola? Se Cancemi avesse voluto attirarci in Svizzera con una scusa? E perché avevano scelto proprio me? E tutte quelle raccomandazioni che mi aveva fatto Caselli prima di partire? Perché aveva provato senza riuscirci a procurami un cellulare svizzero (i Gsm non c'erano ancora) per tenermi in contatto costante con lui? Che bisogno c'era?
Avevo studiato attentamente tutti i verbali contenenti le dichiarazioni di Cancemi che avevo anche interrogato diverse volte. Conoscevo a menadito tutte le contraddizioni in cui era incorso e mi ero fatto un'idea chiara sulla quantità di bugie che ci aveva propinato e soprattutto sui tanti buchi neri dei suoi racconti. C'erano obiettivamente troppe cose strane, troppi silenzi, troppe reticenze. E poi quella sua singolare consegna alla vigilia delle stragi di Roma e Milano...
L'idea di mettere le mani su una pur piccola parte del tesoro di Cosa nostra, però, ci allettava e per questo, dopo lunghe discussioni con i colleghi, avevamo deciso di andarli a cercare quei soldi. Io avevo aderito alla tesi semplicistica secondo cui Cancemi voleva solo comprarsi la sua attendibilità, pagandola qualche milione di dollari. Bruscolini per uno come lui. Ma adesso anch'io nutrivo delle perplessità.
E poi perché i carabinieri sull'aereo hanno tutte quelle armi che cercano di nascondere ai miei occhi? Come fanno a portare in Svizzera quelle pistole e quelle mitragliette? Non possono certo girare armati nel territorio di uno Stato sovrano. Cosa temono? Cosa c'è sotto quella vicenda? E quella pantomima della paura di volare di Cancemi? Voleva forse distrarci da qualcosa? Ma il colonnello Mauro Obinu, che comanda gli uomini del Ros in missione con me, mi sembra una persona seria ed estremamente efficiente.
Posso affidarmi a lui e poi, a questo punto, non ho alternative.
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