Dopo le minacce per la sua presa di distanza da Ghali, a Roberto Sergio è stata assegnata la scorta. Intanto, i rapporti con presidente e direttore generale continuano a essere pochi, ma la gara per il rinnovo del cda è appena cominciata
«Quattro mesi così non si reggono...». La valutazione è di uno dei direttori che hanno partecipato alla presentazione del piano industriale Rai alla prima fascia di dirigenti di viale Mazzini. È stata la prima occasione per misurare la temperatura del dopo-Sanremo che ha lasciato l’azienda in una situazione complicata. A subirne le conseguenze è stato in prima persona l’amministratore delegato Roberto Sergio, che si è visto assegnare dal Viminale una scorta dopo le minacce ricevute in seguito alla sua presa di distanza dalle dichiarazioni di Ghali, che dal palco dell’Ariston aveva chiesto lo «stop al genocidio». Mercoledì i manifestanti filopalestinesi hanno protestato davanti a diverse sedi regionali Rai, a Napoli e Torino si sono consumati anche scontri con le forze dell’ordine. Ieri mattina, durante la presentazione del piano a via Asiago – quindi a uffici vuoti – anche a viale Mazzini è andata in scena una protesta contro la «Rai assassina».
Ma la presentazione del piano è stata anche la prima occasione in cui l’ad si è trovato nella stessa stanza con la presidente Marinella Soldi e il direttore generale Giampaolo Rossi. A Soldi il comunicato di solidarietà di Sergio non concordato con il consiglio d’amministrazione non è piaciuto per niente e anche un incontro chiarificatore non è riuscito a risolvere la questione. Rossi, da parte sua, è inabissato da settimane ed è intervenuto appena lo stretto necessario nell’ambito del festival. Il suo contributo più rilevante è stato prendere il posto di Sergio sul treno speciale che ha portato addetti ai lavori e giornalisti in Liguria quando l’ad era indisposto. Ma i rapporti sono ai minimi termini. Fino a mercoledì sera, la presenza dei tre vertici non era nemmeno sicura, ma alla fine Soldi ha consegnato alla platea un saluto, Sergio ha illustrato brevemente i contenuti e Rossi, «il profeta» per chi non apprezza la sua linea purista temprata a Colle Oppio, ha tirato le conclusioni. Come sempre, con pochissime parole. Tra i tre vertici sorrisi tirati, strette di mano, concordia sbandierata «ma solo simulata» dice chi c’era.
Salto di qualità
Mentre Soldi è già con un piede fuori dalla porta, tra i due manager la partita per la carica di ad fa il salto di qualità. Nonostante Sergio continui a spiegare di non essere interessato alla riconferma e la sua exit strategy verso la poltrona più importante di Radiorai sia sempre a portata di mano, l’ad ha manifestato a palazzo Chigi la sua disponibilità, che sia per fare il capo di via Asiago, dell’intera Rai o di qualche altro ente pubblico.
Ma alle sue spalle si è materializzato finalmente il partito che lo sosterrebbe nella corsa per viale Mazzini: le dichiarazioni di solidarietà di Giuseppe Conte e Matteo Salvini segnalano che la gara è entrata nella fase decisiva. Anche il Pd, che pure si è espresso contro la linea dell’ad, preferirebbe di gran lunga veder rimanere in sella Sergio che trovarsi in estate a trattare con Rossi. Per non parlare di Forza Italia: per gli azzurri e i leghisti ora l’obiettivo è quello di anticipare il più possibile il rinnovo del consiglio.
La speranza è di conquistare i posti che contano prima che i risultati delle europee si abbattano su Salvini e Tajani, rischiando di mandare in frantumi sogni e speranze. Il pallino però è in mano a Fratelli d’Italia, non ha nessun interesse ad anticipare i tempi, se non per assecondare Rossi che scalpita. Non sembra dunque un caso che Sergio abbia ribadito durante la presentazione che dal 18 maggio, un mese dopo l’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci, ogni giorno è buono per l’insediamento del nuovo consiglio. Ma si attende lo sparo che darà il via allo sprint finale, cioè l’apertura da parte dei presidenti delle Camere delle candidature a consigliere, momento dal quale devono passare due mesi prima dell’elezione.
Intanto, nessuno sta fermo a guardare. Soprattutto nella Lega, dove la carta Sergio, nonostante le polemiche post festival, è più forte che mai. Ma visti i rapporti ai minimi termini tra Salvini e Meloni, meglio però affidare la moral suasion per convincere la premier a trovare un’altra collocazione al “profeta” a qualcuno di più moderato. Magari Giancarlo Giorgetti, che dal ministero dell’Economia dovrà scegliere a sua volta due consiglieri. Uno dei due va indicato come prossimo ad.
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