La 16esima edizione della Rainbow Map colloca l’Italia alla 36esima posizione, tra Lituania e Georgia. Nel paese sono ancora presenti le terapie di conversione, cresce la paura di aggressioni e l’intolleranza percepita
L’Italia di Giorgia Meloni è più omofoba dell’Ungheria di Viktor Orbán. È quanto emerge dalla 16esima edizione della Rainbow Map, pubblicata dalla ong Ilga Europe, che classifica in base agli sviluppi legislativi dei diritti della comunità Lgbtq+ 49 paesi di Europa e Asia. I dati sono stati diffusi in occasione del 18 maggio, Giornata mondiale contro l'omofobia, bifobia e transfobia.
La Rainbow Map e l’Italia
In questa graduatoria, nell’ultimo anno l’Italia è scesa di due posizioni, arrivando al 36esimo posto, tra Lituania e Georgia, mentre l’Ungheria è 30esima. Al vertice della classifica ci sono Malta, che occupa da nove anni la vetta, l’Islanda, salita di tre posizioni, e il Belgio, che ha vietato le pratiche di conversione.
Ciò che ha fatto scivolare l’Italia ancora più in giù è la mancanza di una legislazione che combatta in modo efficace le discriminazioni, che punisca i crimini d’odio motivati da pulsioni omofobe e che garantisca diritti personali e familiari.
Come nota il rapporto stesso, nel 2023 il governo Meloni ha promesso di contrastare la “lobby Lgbt” e “l’ideologia del gender”, mentre si procede alla criminalizzazione della maternità surrogata. Nello stesso anno Arcigay ha registrato tre omicidi, tre suicidi e una crescita delle aggressioni a membri della comunità.
Questi dati sono «la dimostrazione di cosa può accadere quando non c'è una legislazione che protegge le persone e igGoverni di estrema destra prendono potere», commenta Ilga Europe.
Il deputato del Partito Democratico Alessandro Zan ha commentato: «Sempre più in fondo. Nella mappa Ilga 2024 l'Italia sprofonda 36esima, sempre più vicina a quei paesi che fanno delle discriminazioni e delle violenze contro la comunità lgbtqia+ delle precise politiche. Questo è il risultato della crociata contro i diritti del governo Meloni».
Le terapie di conversione
In Italia sono ancora presenti le terapie di conversione, che consistono in un “percorso terapeutico” volto a modificare l’orientamento sessuale di una persona, con tecniche come elettroshock e manipolazione, ma anche esorcismi, ipnosi, percosse e torture.
Sebbene siano state condannate dalla comunità medico-scientifica, alcuni centri le praticano e le nascondono, presentandole come sedute di psicoterapia o preghiera.
Rosario Coco, presidente dell’associazione Gaynet, le ha definite «vere e proprie torture», come sono state descritte anche dalle Nazioni Unite nel 2020.
Nell’Unione europea circa tre persone su dieci hanno subito le terapie di conversione (il 26 per cento delle oltre 100mila persone intervistate), metà di cui sono persone trans. Sul totale, due su dieci sono italiane (18 per cento).
Le aggressioni
Secondo l’agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra), oltre la metà delle coppie non eterosessuali coinvolte in una relazione ha paura di tenersi per mano (53 per cento) e tre su dieci non frequentano molte zone della propria città perché temono di essere aggredite.
Le aggressioni registrate in Italia sarebbero 158, di cui 99 penalmente rilevanti: la regione con un’incidenza più alta, secondo i numeri, è l’Abruzzo, dove il rapporto tra vittime e popolazione è di 9,83 su 100mila. Poi troviamo la Valle d’Aosta (7,88), Sardegna (4,84) e Piemonte (4,10), ma è probabile che molte aggressioni non siano state denunciate.
Secondo il progetto Omofobia.org le violenze si verificano in tutto il paese, a eccezione di Umbria, Basilicata e Calabria, dove in precedenza sono avvenuti decine di episodi.
Aumenta l’intolleranza percepita
Dal sondaggio della Fra emerge anche che in Italia è aumentata l’intolleranza percepita dai membri della comunità Lgbtq+, insieme alla sfiducia nelle istituzioni: lo dichiara il 54 per cento delle 100mila persone intervistate.
Tale aumento sarebbe dovuto al «linguaggio adoperato dalla politica» che «fomenta astio verso le persone diverse». Al contempo è aumentato anche il numero di persone che hanno denunciato atti di bullismo e molestie subite a scuola, passando dal 43 per cento del 2019 al 68 per cento nel 2023.
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