Abbiamo il campionato di calcio più americano d’Europa. Adesso hanno pure imparato a vincere. L’ultimo cambio di proprietà all’Hellas Verona non fa che confermare lo scenario. È passato tra le mani del fondo texano Presidio Investors, andando idealmente a prendere il posto lasciato libero nei giorni precedenti da 777 Partners, il discusso ex-proprietario del Genoa sostituito dall’imprenditore rumeno Dan Sucu.

Ora sono 11 su 20 le proprietà straniere in Serie A, ben nove sono nordamericane (otto statunitensi, più il Bologna canadese): nemmeno in Inghilterra sono così tante, in Premier League si sono fermati a otto. 

L’invasione USA nel nostro paese va avanti da qualche anno. La prima fu la Roma, rilevata nell’agosto 2011 da una cordata guidata da James Pallotta, da lì il numero è andato in crescendo. Non solo in Serie A, nelle serie inferiori ne troviamo tre in Serie B e quattro in Serie C.

È evidente che si tratta di una tendenza generale in Europa, dovuta alla crescita dell’interesse per il calcio negli Stati Uniti. È facile vedere in queste strategie uno sguardo che si allunga fino ai Mondiali nordamericani del 2026, ma i primi investimenti sono iniziati ben prima dell’assegnazione, avvenuta nel 2018.

Le potenzialità

In senso generale, gli imprenditori statunitensi sono attirati dalle grandi potenzialità economiche. Le stime indicano che il calcio ha un giro d’affari globale di circa 600 miliardi di dollari (il 43% del mercato sportivo internazionale), concentrato soprattutto in Europa, con la Champions League che è la competizione sportiva annuale in assoluto più seguita, con 400 milioni di spettatori nel mondo.

Anche senza un Mondiale in casa, le potenzialità finanziarie sono enormi, specialmente per chi vuole fare player-trading. Non sorprende che molte di queste proprietà siano multi-club-ownership, ovvero società che controllano più club in giro per il mondo. Non mancano neppure in Serie A. Saputo ha anche una squadra a Toronto, RedBird possiede Milan e Tolosa, i Friedkin proprietari della Roma nelle settimane scorse hanno acquistato pure l’Everton.

Marketing e turismo

L’interesse per il calcio italiano è dovuto a indubbi vantaggi strategici. La Serie A viene da un decennio di crisi economica che ha reso i suoi club più scalabili rispetto a quelli inglesi, ma allo stesso tempo il campionato è tra quelli più in alto nel ranking UEFA, al secondo posto: garantisce ottime possibilità di qualificazione alle coppe europee, e quindi l’accesso a ulteriori guadagni.

La vera attrattiva si deve a ragioni di marketing vero e proprio: i primi club sono stati acquistati a Roma, Firenze, Venezia, Bologna, città simbolo dell’Italia a livello internazionale, tra le principali mete turistiche del paese. L’idea di fondo è puntare sul tifoso-turista, a cui offrire un’esperienza che unisca altro alla partita allo stadio. Il Venezia è stato più esplicito di tutti, grazie a campagne promozionali e set fotografici quasi da maison di moda. 

I trofei

Che l’ultimo tassello di questo mosaico sia il Verona non deve stupire. Nel frattempo sta cambiando il tipo di imprenditore americano che investe in Serie A: dopo l’epoca degli italoamericani – come Pallotta, Saputo e Commisso – oggi anche questa connotazione identitaria sta venendo meno, come si vede alla Roma, al Verona ma anche con Venezia e Inter. In più stanno iniziando ad arrivare i risultati sul campo: l’Atalanta di Stephen Pagliuca ha vinto l’Europa League l’anno scorso e gioca per lo scudetto.

L’Inter di Oaktree punta alla Champions. Il Bologna stesso è tornato in Champions League dopo sessant’anni. I primi USA a vincere lo scudetto sono stati i signori del fondo Elliott con il Milan nel 2022. Ora Gerry Cardinale aggiunge la Supercoppa da Riad. 

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