- Dopo l’inchiesta di Domani sui rapporti economici tra Matteo Renzi e il regime dell’Arabia Saudita e quella sui finanziamenti arrivati da Abu Dhabi a favore di ex vicepresidenti dell’Eni ed ex capi dei nostri servizi segreti, alcuni documenti riservati dimostrano che i rapporti tra medio oriente e l’entourage dell’ex premier sono ancora più ramificati di quanto si immaginava.
- La trama della nuova vicenda scoperta da Domani ha per protagonisti assoluti l’amico e storico consigliere di Matteo Renzi, Marco Carrai, fondi d’investimento degli Emirati Arabi Uniti e semi-sconosciuti manager toscani.
- Si tratta di una serie di bonifici accreditati sul deposito bancario di Carrai, disposti da società estere. Una volta incassati i soldi, Carrai ha usato la provvista a cinque zeri per effettuare a sua volta bonifici e firmare assegni. Due di questi nei confronti di un’azienda costituita da Renzi in persona a maggio 2019, ma cancellata solo nove mesi più tardi.
Dal centro storico rinascimentale di Firenze ai grattacieli futuristici di Dubai e Abu Dhabi, tra affari d’oro, amicizie politiche e – di nuovo – sceicchi multimilionari. Dopo l’inchiesta di Domani sui rapporti economici tra Matteo Renzi e il regime dell’Arabia Saudita e quella sui finanziamenti arrivati da Abu Dhabi a favore di ex vicepresidenti dell’Eni ed ex capi dei nostri servizi segreti, alcuni documenti riservati dimostrano che i rapporti tra medio oriente e l’entourage dell’ex premier sono ancora più ramificati di quanto si immaginava.
La trama della nuova vicenda scoperta da Domani ha infatti per protagonisti assoluti l’amico e storico consigliere di Matteo Renzi, Marco Carrai, fondi d’investimento degli Emirati Arabi Uniti e semi-sconosciuti manager toscani. Con nomi, bonifici e prestiti finiti, ancora una volta, sotto la lente d’ingrandimento dell’autorità antiriciclaggio di Banca d’Italia.
Carrai, chiamato “Marchino” dagli amici più stretti, è l’uomo che ha accompagnato e sostenuto Renzi fin dall’inizio della sua scalata politica. Membro della fondazione Open e imprenditore di successo, Carrai negli anni ha ottenuto incarichi di prestigio nel settore pubblico e privato, sui quali i detective della Uif hanno adesso acceso un altro faro, segnalando come sospette alcuni recenti movimenti bancari.
Si tratta di una serie di bonifici accreditati sul deposito bancario di Carrai, disposti da società estere. Una, in particolare, ha destato maggiore attenzione dell’antiriciclaggio, perché si tratta della holding che detiene la maggioranza di Toscana Aeroporti di cui Carrai è presidente da anni. “Marchino” fu nominato in quel ruolo nel 2013 grazie anche all’appoggio del blocco renziano, al tempo politicamente egemone in provincia di Firenze, e poi è stato confermato dalla nuova cordata argentina, che nel 2015 ha comprato la maggioranza delle azioni della società di gestione che controlla l’aeroporto.
Ora si scopre che Carrai, oltre al suo stipendio, ha ricevuto oltre mezzo milione di euro di consulenze dai proprietari. Alcuni mesi dopo l’entrata nell’azionariato di Toscana Aeroporti dei una società emiratina, paese dove l’imprenditore fiorentino sembra essere ormai di casa. Una volta incassati i soldi, Carrai ha usato la provvista a cinque zeri per effettuare a sua volta bonifici e firmato assegni. Due di questi nei confronti di Digistart, un’azienda costituita da Renzi in persona a maggio 2019, ma cancellata solo nove mesi più tardi.
Per non perdere il filo è necessario andare con ordine. E partire dalle origini di una parabola politica oggi discendente ma ancora in grado, come dimostra la recente storia politica, in grado di far cadere governi e spostare gli equilibri in parlamento.
«Finanziamenti illeciti»
Per ricostruire gli affari più recenti di Carrai e di Renzi è utile riavvolgere il nastro fino all’origine del potere renziano, scavare fino alle radici del cosiddetto “Giglio magico”, di cui Carrai è un petalo prezioso. La corsa verso palazzo Chigi dell’ex sindaco di Firenze Renzi è passata attraverso la costruzione del partito personale parallelo al Pd di cui faceva parte: la creazione di una sua fondazione politica, Open, ha permesso di incamerare milioni di euro di finanziamenti privati in pochissimi anni, nel periodo in cui Renzi si stava preparando da segretario del Partito democratico a prendere il posto di presidente del Consiglio occupato in quel momento da Enrico Letta.
La fondazione, secondo l’impostazione accusatoria dei magistrati della procura di Firenze fortemente criticata da Renzi (ma anche da un primo dispositivo della Cassazione), sarebbe stata null’altro che un’articolazione della corrente renziana del partito. Per questo il suo board e il referente politico principale sono finiti sotto indagine, da Renzi a Carrai, passando per Luca Lotti, Alberto Bianchi e Maria Elena Boschi. L’accusa è quella di finanziamento illecito. Stesso reato ipotizzato da qualche giorno per Renzi anche dalla procura di Roma, che lo ha iscritto nel registro degli indagati insieme al manager delle star Lucio Presta. L’agente che gestisce le carriere di numerosi volti televisivi ha pagato Renzi per il documentario Firenze Secondo me andato in onda su Discovery e alcuni format tv mai realizzati quasi 750mila euro, a fronte di una fattura fatta a Discovery (ma nemmeno mai incassata) dalla società di Presta di soli mille euro. Di qui i dubbi della Guardia di Finanza e degli inquirenti.
Emirati toscani
Anche la procura di Firenze sta indagando, sempre per finanziamento illecito, su un pagamento ricevuto dal leader di Italia viva per una conferenza tenuta ad Abu Dhabi. Renzi sostiene che sia tutto regolare: ha tenuto conferenze in giro per il mondo, senza disdegnare i paesi del Golfo Persico, i regimi dittatoriali come Arabia Saudita e Emirati Arabi, tracciando «in maniera trasparente», spiega, ogni bonifico e gettone. Il nostro giornale aveva raccontato dei viaggi d’affari a Ryad di Renzi, dei suoi incarichi ricevuti da un paese straniero che viola i diritti umani e dell’elogio del regime fatto da Renzi durante il colloquio-intervista al principe reggente del regime Mohammed bin Salman, accusato di aver ordinato l’omicidio dell’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi, ucciso e smembrato nell’ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul.
Oltre ai viaggi in Arabia, c’è quello – rivelato dalla Stampa – a Dubai, viaggio fatto insieme a Carrai. Non si conoscono ancora i motivi del viaggio, né se Carrai e Renzi avessero due agende diverse. Di sicuro è qui, nello stato emiratino che ha come capitale Abu Dhabi, che negli ultimi anni “Marchino” ha costruito solide relazioni. Anche in questo caso la casella di partenza è Firenze, dove ha sede la società Toscana Aeroporti Spa.
Oltre mezzo milione
L’imprenditore amico di Renzi è stato nominato la prima volta presidente del Consiglio di amministrazione nel 2014. Un anno cruciale per la crescita del Pd renziano, è il momento di massimo splendore, con Matteo a palazzo Chigi, la Leopolda (la kermesse annuale dei renziani) che conquistava adepti, la fondazione Open che iniziava a fare il pieno di finanziamenti di imprenditori privati di un certo spessore. Del consiglio direttivo della fondazione, ora messa sotto accusa dalla procura di Firenze, faceva parte anche Carrai insieme a Lotti e Boschi e all’avvocato Alberto Bianchi. Tra i finanziamenti ricevuti a cavallo del 2014 e del 2016 troviamo 75mila euro versati dalla Corporacion America Italia, holding che fa capo all’imprenditore argentino Eduardo Eurnekian, gestore aeroportuale più grande del mondo. Nulla di strano, se non fosse che l’anno successivo all’ultima donazione ha acquisito la maggioranza di Toscana Aeroporti presieduta da Carrai. Il primo di una serie di conflitti di interesse. «Sulle donazioni non ne so nulla», risponde a Domani l’imprenditore.
Le anomalie però si ripresentano a distanza di pochi anni. Nel corso del 2019 Carrai, pagato da Toscana Aeroporti come presidente, riceve anche 610 mila euro da Dicasa Spain, socio unico di Corporacion America, ossia la società che fa capo a Eurnekian e che controlla il gestore degli aeroporti di Firenze e Pisa giù munifica con fondazione Open prima di acquisire la maggioranza degli scali aeroportuali. «Appare quindi quantomeno poco chiaro e anomalo il rapporto sottostante tra Dicasa Spain e Marco Carrai visti i bonifici che nel 2019 ha ricevuto da Dicasa (due di euro 305mila cadauno con causale fattura 26 e fattura 6)», scrivono i detective dell’antiriciclaggio in una segnalazione di operazione finanziaria sospetta.
In pratica, si chiedono gli investigatori finanziari, perché Carrai percepisce oltre mezzo milione di euro in pochi mesi che nulla hanno a che fare con il compenso (circa 120mila euro l’anno) che gli spetta da presidente di Toscana Aeroporti. È inusuale, secondo l’antiriciclaggio, che un presidente nominato dagli azionisti, inclusa la regione Toscana, percepisca compensi extra dall’azionista di maggioranza.
L’altra stranezza ritenuta sospetta è che poco dopo aver ricevuto il denaro Carrai versa 50mila euro a titolo di «prestito infruttifero» a Roberto Naldi, all’epoca vicepresidente esecutivo di Toscana Aeroporti e presidente di Corporacion America. «Solo una cortesia a una persona che conosco», spiega Carrai. Nello stesso periodo Carrai stacca un assegno da 5mila euro, segnalano sempre i detective di banca d’Italia, a beneficio di Digistart, l’azienda di proprietà di Renzi, poi cancellata dopo pochi mesi. Carrai è stato per pochissimo amministratore unico dell’azienda dell’amico, ma mai socio. Per questo l’antiriciclaggio ritiene anomalo quell’assegno versato in sede di costituzione dell’impresa dell’ex presidente del consiglio che rappresenta la metà del capitale sociale complessivo.
C’è poi un secondo assegno dello stesso importo richiesto da una società riconducibile sempre a Carrai e destinato ancora una volta a Digistart. Ma dopo averlo chiesto, si legge nei documenti, lo incasserà lo stesso Carrai. «Sarebbe dovuto diventare socio, ma poi quando Carrai ha capito che sarebbe diventato persona politicamente esposta, come tutti i partner d’affari dei politici, ha preferito lasciare perdere», replicano dall’entourage renziano. L’azienda infatti contava un solo socio, Renzi, ma i soldi li ha messi anche (o solo?) l’amico imprenditore, che conferma: «Li avevo messi in sede di costituzione, poi Renzi me li ha restituiti», è la versione di Carrai, «la società infine fu chiusa quasi subito».
Dicasa ha versato gli oltre 600mila euro a Carrai nel 2019, in due tranche. Pochi mesi prima, nel 2018, Mataar Holding con sede ad Amsterdam aveva acquisito il 25 per cento di Corporacion America Italia, entrando così nella gestione di Toscana Aeroporti. Chi controlla Mataar è Investment Corporation of Dubai, fondo sovrano dell’Emirato di Dubai, principale strumento di investimento del governatorato con asset totali del valore di 166 miliardi di dollari, che così è entrato nella gestione degli scali di Firenze e Pisa. Il direttore del fondo sovrano è Mohammed Ibrahim al Shaibani, l’uomo del regime influente e potente. «L’ho presentato io, conoscono benissimo al Shaibani», spiega Carrai, «Dicasa mi ha pagato una consulenza per la ricerca di investitori, che ho trovato nel fondo di Dubai». Una consulenza d’oro per portare dentro Toscana Aeroporti il socio degli Emirati, per i quali poco dopo Carrai andrà a lavorare: “Marchino” risulta infatti essere entrato come consigliere nel board di una importante società controllata dallo stesso fondo sovrano Investment Corporation of Dubai. «Ho rinunciato al compenso di Iss», ci spiega Carrai, per allontanare ogni sospetto da possibili conflitti di interesse o ipotesi di contropartite per aver portato gli emiri di Dubai negli scali toscani.
Al Shaibani è anche nel board di Dubai Aerospace Enterprise, creato dal fondatore della compagnia Emirates, considerata la più grande società al mondo di leasing aeronautico. Ma è soprattutto a capo di Global Capital Funding Incorporation.
Sceicchi e servizi
Global Capital è una società di investimenti «costituita per rafforzare il potenziale di crescita di Abu Dhabi e per aiutare il governo a raggiungere i suoi obiettivi socioeconomici», si legge sul sito web. In pratica è un veicolo finanziario dei reali sauditi. Nel board, con il ruolo di direttore del settore finanza, siede Tahnoon Bin Zayed Al Nahyan. Bin Zayed ha numerosi fratelli, il più importante è l’attuale presidente degli Emirati, Khalifa bin Zayed Al Nahyan, un altro è il principe ereditario Mohammed bon Zayed, conosciuto con l’acronimo MBZ e ritenuto il vero leader del regime. Un altro ancora è il direttore sportivo, di fatto il vero proprietario, del Manchester City allenato da Pep Guardiola, considerata la squadra di calcio più ricca del mondo. Ma Tahnoon è soprattutto l’amministratore delegato di Chimera Investments, un gruppo di investimento degli Emirati Arabi sotto il controllo diretto di Abu Dhabi’s Royal Group: si tratta di un fondo sovrano del regime.
Lo sceicco Tahnoon è il principale consigliere di MBZ per la sicurezza nazionale e l’intelligence: è stato lui, raccontano le cronache, a incontrare ormai un anno fa il capo del Mossad israeliano, i servizi segreti, Yossi Cohen. Nomi e sigle che da Dubai ci riportano però in Toscana, ancora una volta nella roccaforte del potere renziano.
È infatti il fondo Chimera del regime emiratino ad avere intrattenuto rapporti finanziari con un ex socio di Carrai, Leonardo Bellodi, fino a inizio giugno azionista di minoranza della Cys 4, azienda specializzata in cybersicurezza. Chi è Bellodi lo avevamo raccontato su Domani alcuni giorni fa. Sconosciuto al grande pubblico, lobbista quotato nei palazzi del potere, socio del manager del Milano ed ex Eni Paolo Scaroni. Bellodi mantiene stretti rapporti con l’ex capo dei servizi segreti italiani, Alberto Manenti, considerato vicinissimo a Marco Minniti, l’ex ministro dell’Interno nel governo Gentiloni e sottosegretario con delega ai servizi in quello Renzi.
I rapporti tra Bellodi e Manenti sono anche economici: avevamo, infatti, scoperto che tramite un’associazione senza scopo di lucro di Bellodi (Marco Polo Council) e un’azienda (Marco Polo Council srl) sono state pagate all’ex vertice delle spie italiane alcune consulenze pari a 150mila euro nel solo 2020. I soldi che arrivano nelle casse della piccola Srl e dell’associazione non profit di Bellodi provengono da lontano, sempre da società degli Emirati. Il più generoso è il già citato fondo Chimera Investments di Abu Dhabi. Con la piccola azienda di Bellodi firma un contratto da ben un milione di euro. Denaro, avevano assicurato fonti vicine al dossier, che non sarebbe servito ad attività di intelligence parallela (come quelle organizzate dall’associazione non profit e finanziate in parte con bonifici milionari di sconosciute società emiratine coperte). Si tratterebbe piuttosto, hanno spiegato giustificandosi fonti vicine al dossier, di investimenti degli Emirati Arabi in Italia per finanziare start up innovative. In questo contesto sarebbe nata la collaborazione dell’ex capo dei servizi italiani con Bellodi.
Sempre in Toscana
Carrai, che da sempre stima Bellodi, sostiene a Domani di non conoscere i partner emiratini di Bellodi. L’imprenditore toscano di certo ha colto meglio di altri l’occasione di espandere i propri interessi sfruttando il capitale relazionale che è riuscito a costruirsi in pochi anni negli Emirati Arabi. «I miei contatti sono soprattutto a Dubai, che è cosa diversa da Abu Dhabi», aggiunge l’imprenditore. Con l’entrata del fondo di Dubai nella maggioranza di Toscana Aeroporti, Carrai ha mosso un ulteriore passo verso la penisola arabica: da settembre 2018 è consigliere della filiale italiana di Iss Global Forwarding, colosso della logistica aeroportuale con sede nella zona franca dello scalo emiratino.
A lanciare Iss Global sul mercato è stato il solito fondo governativo Investment corporation: lo stesso che ritroviamo dietro Toscana Aeroporti. «È stato al Shaibani a chiedermi se volessi entrare nella Iss». Quello dello shipping e delle spedizioni è uno dei settori in cui il regime è intenzionato a investire maggiormente, in Italia e nel resto del mondo. Anche in Senegal, un paese recentemente visitato da Matteo Renzi, ma non in veste di senatore: il presidente dello stato africano Malick Sall aveva dichiarato che il leader di Italia viva aveva viaggiato fino a Dakar in compagnia della famiglia Ferrari, titolare dell’azienda di trasporti bresciana Germani, interessata a parlare di «un progetto per una piattaforma di trasporto e logistica nella zona economica speciale di Diass».
Secondo un articolo del Fatto Quotidiano il Senegal aspira a diventare lo scalo africano del trasporto di merci gestito da Dubai tanto da avere aderito al «World logistic Passport», cioè il piano degli Emirati per potenziare lo scambio di merci nel Sud del mondo, attraverso Senegal e Dubai. Il settore in cui è leader Iss Global Forwarding di cui fa parte Carrai, l’amico fraterno di Matteo, arruolato nel board di una società emiratina che potrebbe giocare un ruolo cruciale in questo scacchiere di affari e politica. Fonti di Domani segnalano però che Renzi potrebbe essere andato in Senegal per motivi diversi, legati cioè al business dei grandi eventi sportivi. «Non c’entra nulla Renzi con il mio lavoro in Iss, so abbastanza dividere amicizie e lavoro, l’ho mischiato una sola volta ed è finita male», spiega in effetti Carrai. Evocando le polemiche furibonde seguite al tentativo del governo Renzi di affidare a lui, titolare di un’azienda di sicurezza cibernetica, il coordinamento della cybersicurezza a palazzo Chigi.
Molto più tranquillo e redditizio fare il lobbista per i miliardari argentini e trovare entrature con gli sceicchi di Dubai. Detective dell’antiriciclaggio permettendo.
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