Corruzioni e infiltrazioni del crimine organizzato negli appalti ferroviari. È quanto emerge dall’ultima inchiesta della procura di Milano che ha portato al fermo di 15 persone (11 in carcere e 4 ai domiciliari) e al sequestro di beni per un valore di 6,5 milioni di euro.

Nell’inchiesta compaiono grandi gruppi e aziende attive nel settore ferroviario e, tra i nomi degli indagati, anche quello di Maria Antonietta Ventura ex candidata alle ultime elezioni regionali calabresi con il centrosinistra e il Movimento cinque stelle.

Secondo gli inquirenti diverse società con sede in provincia di Varese e Crotone riconducibili a soggetti contigui alla potente costa dei Nicoscia-Arena di Isola di Capo Rizzuto, e appartenenti alle famiglie Aloisio-Giardino, avrebbero ottenuto in sub-appalto la manutenzione e i lavori di alcuni tratti di Reti ferroviarie italiane spa, parte lesa nella vicenda, e del Gruppo ferrovie dello stato. I lavori di manutenzione della rete ferroviaria finiti al centro delle indagini sono stati eseguiti in sette regioni diverse: Lombardia, Veneto, Abruzzo, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia. 

Gli arrestati sono indagati, a vario titolo, per reati tributari, bancarotta e associazione a delinquere, aggravata dall'aver agevolato la 'ndrangheta.

Il sistema

Il meccanismo ricostruito dagli inquirenti delinea il modus operandi del gruppo. Rfi bandisce una gara d’appalto, alla quale partecipano grandi società attive nel settore ferroviario. Una volta ottenuti gli appalti loro eseguono i lavori di manutenzione utilizzando i propri mezzi e dipendenti, oppure subappaltandoli ad altre società dotate dei requisiti di legge, o ancora, utilizzando personale "distaccato" e mezzi noleggiati da altre aziende.

Quest’ultime emettevano fatture nei confronti dei grandi gruppi imprenditoriali ottenevano l’appalto, e con i soldi ottenuti pagavano il personale e i mezzi noleggiati, e saldavano fatture inesistenti ricevute da altre società riconducibili a soggetti appartenenti allo stesso gruppo criminale. «Il provento delle attività di fatturazione per operazioni inesistenti viene in parte utilizzato per agevolare la ‘ndrangheta e, specificamente, la cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto», scrivono i pm.

Tuttavia, l’impianto accusatorio della procura non è stato condiviso totalmente dal giudice per le indagini preliminari che ha accolto parte delle misure della custodia cautelare, rigettandone altre.

Le aziende

I lavori eseguiti dalle aziende incriminate venivano ottenuti come sub-appalto da imprese di spessore: Costruzioni Generali spa del gruppo Rossi, Gefer srl, Armafer spa, Globalfer spa, Salcef spa, Francesco Ventura Costruzioni Ferroviarie spa, Fersalento srl ed Euroferroviaria spa.

«Ventura ha tutta la Calabria, Morelli ha tutta la Campania ed Esposito ha tutta la Sicilia, Rossi ha tutto il Nord Italia», dicevano al telefono alcuni arrestati, consapevoli della geografia del potere aziendale.

A capo del cda di Francesco Ventura Costruzioni spa c’è Maria Antonietta Ventura, nome già noto alla cronaca politica in quanto ex candidata alle elezioni regionali della Calabria dal centro sinistra e Movimento Cinque stelle. La sua è stata una candidatura durata circa due settimane dato che si è ritirata dopo che un’interdittiva antimafia ha raggiunto una società partner del gruppo Ventura. Meglio evitare che vicende personali «possano dare adito a strumentalizzazioni», aveva detto allora Ventura.

Contro di lei il gip non ha accolto la richiesta dei domiciliari formulata dalla Dda, così come per Pietro e Alessandra Ventura e neanche la richiesta del carcere per Alessandro ed Edoardo Rossi.

La violenza

Nelle carte dell’ordinanza gli inquirenti hanno evidenziato il ruolo svolto da alcuni membri della famiglia Aloisio che «hanno dimostrato di sapersi inserire in modo spregiudicato in contesti imprenditoriali di rilevante spessore, riuscendo in breve tempo a diventare partner delle maggiori imprese operanti nel settore dell’armamento e della manutenzione di reti ferroviarie. Dietro questa immagine ufficiale di imprenditori si nasconde, però, il volto di uomini quantomeno contigui alla ndrangheta, dalla quale mutuano metodi violenti per la risoluzione di controversie che possono insorgere sui loro cantieri o con gli operai che vi lavorano».

Secondo gli inquirenti alcuni membri della famiglia Aloisio contribuivano al mantenimento finanziario dei detenuti legati al gruppo criminale e dei loro famigliari. In un’intercettazione Maurizio Aloisio dice: «...mi ha detto: guagliò, se mi arrestano, mi raccomando la famiglia... Bastà, però io da solo non ce la posso fare a mantenere tutte queste cazzo di famiglie. lo ho mandato soldi a quelli di Verona, gli ho mandato soldi...». E ancora: «Fratellino io non ce la faccio più, davvero non resisto più», «...quando lo hanno arrestato... 1000 euro all’avvocato, 1000 euro alla famiglia... e 1000 euro... guagliò...».

Sfruttamento dei lavoratori

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L’inchiesta evidenzia anche come gli indagati abbiano sfruttato la manodopera utilizzata nei cantieri. «Avvalendosi della forza di intimidazione che gli deriva dalla appartenenza nota ad una famiglia mafiosa di ‘ndrangheta, costringono gli operai a lavorare in condizioni di sfruttamento». Ma secondo gli inquirenti i lavoratori non solo erano sfruttati e spogliati dei diritti basilari come il riposo settimanale o le ferie, ma erano anche impiegati nonostante non avessero la specializzazione necessaria, mettendo a rischio la loro incolumità personale.

«Formavano falsi attestati di partecipazione ai corsi di formazione sicurezza e ambiente di lavoro nonché false abilitazioni all'utilizzo di macchine operatrici di cantiere senza sottoporre il lavoratore a necessaria visita medica», scrivono gli investigatori. Per evitare problemi gli indagati approfittavano dello stato di bisogno dei lavoratori reclutati tra cui figurano disoccupati, stranieri e pregiudicati.

Gli Aloisio e i Giardino avrebbero messo in piedi un sistema che sfrutta gli «strumenti giuridici astrattamente leciti, che, secondo la prospettazione degli inquirenti, vengono utilizzati per aggirare i divieti in materia di subappalto, per pagare meno imposte, per garantire alle imprese coinvolte il procacciamento di fondi extracontabili, consentendo al contempo alla criminalità organizzata di infiltrarsi in uno dei settori strategici del paese».

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