- Per cinque famiglie di origine straniera provenienti da Algeria, Tunisia, Marocco, tra di loro sette bambini, la mattina comincia con l’attesa dell’ufficiale giudiziario. È l’alba del 27 luglio in via Silvio Latino, nel quartiere Prenestino-Labicano, a Roma.
- Secondo i dati della Caritas, a Roma sono più di 50mila le persone che vivono in uno stato di provvisorietà abitativa: «Tra le 8mila e le 10mila sono letteralmente senza dimora; 15-16mila sono i nuclei familiari che vivono nelle 100 occupazioni romane; 1.100 nuclei familiari vivono nei residence».
- È la città degli invisibili, per usare l’efficace definizione contenuta in Sette Rome. La capitale delle disuguaglianze raccontata in 29 mappe, edita di recente da Donzelli e curata dai ricercatori Keti Lelo, Federico Tomassi e Salvatore Monni.
Per cinque famiglie di origine straniera provenienti da Algeria, Tunisia, Marocco, tra di loro sette bambini, la mattina comincia con l’attesa dell’ufficiale giudiziario. È l’alba del 27 luglio in via Silvio Latino, nel quartiere Prenestino-Labicano, a Roma. Siamo alle spalle dei binari della stazione Prenestina, davanti a piccole case rosse da un piano dove abitano da più di vent’anni 23 persone, ora minacciate da una sentenza del tribunale di Roma che è divenuta esecutiva nel luglio del 2020, in base alla quale i residenti sono stati condannati a liberare gli immobili, nella realtà, dei manufatti, che sono di proprietà delle Ferrovie dello stato.
«Paghiamo regolarmente le utenze, l’acqua e la luce al comune di Roma. Siamo spaventati perché non sappiamo dove andare, nessuno finora ci ha offerto una alternativa e i nostri bambini frequentano le scuole del quartiere», raccontano le donne straniere che abitano in via Silvio Latino al civico 37, nei pressi della zona dove fino alla fine degli anni Settanta sorgevano le baracche del Borghetto Prenestino che ospitavano le residenze di migliaia di proletari italiani venuti dalle regioni limitrofe, Abruzzo e Molise, soprattutto, in cerca di fortuna nella Capitale.
Nessuna alternativa
Sedute davanti al tavolo della “colazione resistente” che è stata preparata per loro dai movimenti romani per il diritto all’abitare e dai rappresentanti del sindacato Asia Usb venuti qui a esprimere solidarietà alle famiglie e a cercare una interlocuzione politica con le istituzioni capitoline, le donne hanno le facce estremamente preoccupate.
«Perché davvero non sappiamo dove andare. Non ci è stata prospettata nessuna soluzione alla nostra condizione. Paghiamo le tasse al comune, siamo cittadini romani anche noi», ripetono. Intanto, arriva la comunicazione che lo sfratto è stato rinviato al 16 settembre. Nel frattempo, però, «le famiglie continuano a vivere con una vera e propria spada di Damocle che gli pende sopra la testa, con il terrore di essere sbattuti in strada da un giorno all’altro», dice Luciano Iallongo, militante storico del Movimento romano per il diritto all’abitare.
«Siamo qui oggi per sostenere queste persone, per le quali chiediamo di avviare un percorso che possa portare a una soluzione alloggiativa. Chiediamo la sospensione dell’esecuzione del provvedimento di sfratto e di conseguenza la fine delle visite mensili degli ufficiali giudiziari, anche perché non si comprende l’insistenza delle Ferrovie nel venire in possesso di questi manufatti dopo che sono stati abbandonati per più di 30 anni».
Sfratti d’estate
«I prossimi, seguendo la lista degli sgomberi che ha in mano il prefetto Piantedosi, potremmo essere noi che abitiamo all’interno della ex clinica Valle Fiorita a Torrevecchia, anche perché le avvisaglie ci sono state già agli inizi di maggio, quando decine di agenti antisommossa sono entrati nel palazzo dove abitano, tra gli altri, decine di minori, comunicandoci che stavano facendo un censimento», racconta Donatella Calcanti, la quale auspica che «si replichi ovunque il modello messo in campo per l’occupazione di Viale del Caravaggio, dove le trattative sono state difficili, sì, ma condotte all’insegna del dialogo con le istituzioni, e alla fine gli ex occupanti hanno ottenuto le case popolari grazie all’interessamento della regione».
Per il momento, invece, qui, in via Silvio Latino e in altre vicende simili, della politica capitolina quasi neppure l’ombra. Il tema povertà, evidentemente, non è ancora entrato nella campagna elettorale per le prossime amministrative. Soltanto il candidato del Partito democratico alla presidenza del V Municipio, Mauro Caliste, si è fatto sentire, affermando che «occupare abusivamente edifici è sicuramente fuori dalla legalità, ma mettere in mezzo ad una strada cinque famiglie non è razionale».
Non sono le uniche persone che hanno subito gli effetti dello sblocco degli sfratti, a luglio, a Roma. C’è Elzvieta, una donna che abita in via Gradoli, lungo la Cassia, che vive in un appartamento di 13 metri quadri, pagando fino a qualche mese fa, in nero, un canone d’affitto di 450 euro, E c’è Carlos, un maestro fotografo di 67 anni che abita in Via dei Sabelli, nel quartiere di San Lorenzo, che vive senza luce e neppure il gas e rischia lo sfratto, perché il proprietario dell’immobile gli ha chiesto l’aumento del canone. Non solo.
Nelle ultime settimane per ben tre volte a Roma uno sfratto è stato bloccato dall’Alto Commissario Onu per i diritti umani. Infatti, prima Yoinadis, una donna straniera che vive a Torpignattara è stata salvata dal vivere in strada con i due figli con questa motivazione: «per evitare un possibile danno irreparabile alla persona»; poi, ancora l’Onu, interpellato da una rete di attivisti, ha sospeso una settimana fa anche lo sgombero di un appartamento a Fiumicino, dove vive una delle tante famiglie romane che è stata truffata dai progetti di edilizia pubblica dei così detti Piani di zona; infine, di una altra donna e del figlio minore che vivono in una casa di 17mq, con questo ammonimento allo stato italiano: «di rispettare i patti internazionali che ha sottoscritto e provvedere a una soluzione abitativa adeguata prima di eseguire sfratti».
Città del disagio
Secondo i dati della Caritas contenuti nell’Osservatorio sulle povertà pubblicato qualche giorno fa dal Campidoglio, a Roma sono più di 50mila le persone che vivono in uno stato di provvisorietà abitativa: «tra le 8mila e le 10mila sono letteralmente senza dimora; 15mila-16mila sono i nuclei familiari che vivono nelle 100 occupazioni romane; 1.100 nuclei familiari, invece, vivono nei residence». A questi si devono aggiungere chi ancora vive nelle baracche o nei campi e non è censito. È la città degli invisibili, per usare l’efficace definizione contenuta in Sette Rome. La capitale delle disuguaglianze raccontata in 29 mappe, edita di recente da Donzelli e curata dai ricercatori, Keti Lelo, Federico Tomassi e Salvatore Monni.
«Roma ha delle caratteristiche abbastanza proprie che la rendono un caso emblematico di quelle che noi chiamiamo le disuguaglianze socio-spaziali, cioè quelle che hanno una chiara collocazione territoriale», dice Keti Lelo, che è una storica dell’urbanistica e si occupa da diverso tempo di ricerche sulla Capitale d’Italia. «La città, in questo senso, è un unicum, in considerazione della sua crescita illimitata. È stato calcolato che circa un terzo del territorio costruito è abusivo. E questo si riflette in termini di mancanza di servizi, penso ai trasporti, alla raccolta dei rifiuti, alla stessa qualità della vita. Si tratta, dunque, dell’esistenza di tutta una serie di caratteristiche urbanistiche presenti nella Capitale d’Italia che non fanno altro che produrre e riprodurre tali disuguaglianze socio-spaziali».
«A Roma nascere in un quartiere piuttosto che in un altro significa avere più o meno opportunità; di essere istruito, di essere occupato o meno, di avere vicino casa un asilo nido, una piazza, una biblioteca, un teatro», ragiona Salvatore Monni, che insegna Development Economics all’Università di Roma 3. E aggiunge: «la pandemia ha divaricato ancora di più la forbice delle disuguaglianze, perché i lavoratori più qualificati o comunque chi partiva da una situazione economica migliore e quindi con una migliore posizione abitativa, hanno anche avuto più facilità nel lavorare a distanza, e questo li ha protetti sia dal rischio di perdere il posto che da quello di contagio». Poi, Manni conclude: «Infatti, non è certo un caso che nel quadrante est della Capitale, da sempre il più povero e disagiato, qui, i tassi di mortalità per Covid-19 sono stati tra i più elevati di Roma».
Già nel 2019 la Caritas stimava che un cittadino romano su cinque si trovava a rischio povertà. Ora, dopo la pandemia, è sempre più evidente che per molti è diventato difficile, se non quasi impossibile, pagare l’affitto o il mutuo della casa. Basta considerare un dato che risale al 9 aprile del 2021, quando le domande per i contributi all’affitto presentate al comune di Roma erano 49.200 e, tra queste, soltanto il 30 per cento risultavano essere state ammesse e liquidate.
«La povertà, però, non è solo quella di tipo materiale, bisogna considerare anche quella educativa», spiega Federico Tomassi, che è un dirigente pubblico e anche lui da diversi anni conduce ricerche sulle disuguaglianze nella Capitale. «A Roma, già prima della pandemia, in alcuni quartieri il tasso di non completamento della scuola secondaria di primo grado sulla popolazione tra 15 e 52 anni raggiungeva in varie zone valori particolarmente elevati, intorno al Grande raccordo anulare, nel quadrante est, soprattutto nel V e VI Municipio, il tasso di non completamento raggiungeva il 5 per cento».
E poi ancora, aggiunge Tomassi: «sono le così dette enclaves, dove in qualche modo le disuguaglianze si rafforzano anche per generazioni; sono i luoghi in cui si tende a votare molto per i partiti considerati anti establishment, visti in contrapposizione con la politica di tipo tradizionale. È possibile ipotizzare che ad ogni elezione cambia il modo in cui le periferie votano e ogni votazione, dunque, premia chi riesce a intercettare questa protesta, questa distanza percepita, anche fisica, dai palazzi del potere. Perché evidentemente le forze politiche tradizionali non riescono più a radicarsi».
Angeli del mutualismo
Chi, invece, al di fuori dai partiti tradizionali, attivando reti concrete di mutualismo sui territori, nelle periferie romane prova a radicarsi, è l’esperienza di Nonna Roma. Alberto Campailla, che è il presidente dell’omonima associazione, racconta a Domani: «questa realtà è nata quasi quattro anni fa all’interno del circolo Arci, Sparwasser che si trova nel quartiere Pigneto, all’interno di un’alleanza tra il sindacato della Cgil e l’Arci, con l’obiettivo di costruire un progetto sul tema delle disuguaglianze e delle nuove povertà».
Continua, spiegando che «l’associazione si chiama Nonna Roma perché la nonna, nell’immaginario collettivo, e più in generale i nonni, sono uno dei principali strumenti di welfare ancora rimasti in piedi». Poi, Campailla rivela quelle che sono le attività, i numeri e le cifre del progetto. «Siamo presenti con le reti associative con cui collaboriamo a Pietralata, al Tufello, nel centro storico, ma anche a Roma Nord e nel comune di Ciampino. Abbiamo sostenuto negli ultimi due anni oltre 25.000 famiglie, ci occupiamo di raccogliere e distribuire il materiale scolastico, organizziamo le ripetizioni e i doposcuola, cerchiamo di far superare agli alunni il digital divide».
E ancora: «siamo presenti nei quartieri e nelle periferie romane per aiutare le persone, italiane e straniere, che sono alle prese con una serie di richieste di sostegno economico, ma anche con i permessi di soggiorno, e seguiamo anche le problematiche relative alla casa, in particolare, gli sfratti». Lì dove la politica istituzionale non arriva, insomma, ci pensano gli angeli del mutualismo, nella Capitale delle disuguaglianze.
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