La vittima, morta di freddo, è ancora senza nome. La ricostruzione della questura non coincide con quella dei testimoni. Le voci dalla piazza Santi Apostoli, dove notte e giorno centinaia di migranti aspettano di poter accedere allo sportello per fare richiesta di asilo all’ufficio stranieri: «Eravamo lì, dopo la sua morte i militari ci hanno preso i telefoni per cancellare le foto»
È dignità la parola che più risuona nella piazza romana di Santi Apostoli, convocata all’indomani della morte per freddo di un migrante fuori dalla questura di via Teofilo Patini. È lì che si trova l’ufficio stranieri di Roma, dove notte e giorno si mettono in fila centinaia di persone nella speranza di poter accedere allo sportello per fare richiesta di asilo.
Ed è lì che secondo le diverse ricostruzioni, nella mattinata del 28 gennaio, uno dei richiedenti asilo ha esalato l’ultimo respiro vinto dal troppo freddo della notte invernale appena trascorsa.
Come ci racconta chi si trovava in fila con lui, «dopo mezzanotte ha iniziato a sputare un po’ di sangue dalla bocca. Poi si è coricato e alle quattro del mattino ci siamo accorti che non rispondeva più. Subito dopo sono intervenuti i militari della questura, che non ci lasciavano fare foto e hanno preso qualche telefono per cancellare quelle fatte».
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Non sappiamo che viso avesse e neppure come si chiamava, ma quello che accade a Roma, e in diverse altre città, per la semplice formulazione di una richiesta d’asilo è noto da tempo. Freddo, gelo, pioggia, caldo torrido sono solamente alcune delle condizioni con cui si trova a dover convivere chi cerca di ottenere un permesso di soggiorno.
«Un accampamento semipermanente»
Il marciapiede romano davanti l’ufficio immigrazione più grande d’Italia, negli anni, si è trasformato nella dimora temporanea di chi quotidianamente prova a risiedere legalmente nella Capitale. Di chi a partire dal pomeriggio di ogni domenica inizia a mettersi in fila, in mezzo a cartoni e teloni di fortuna, con la speranza di trascorrervi solo una notte.
Alle 10 di sera inizia la prima conta autonoma delle persone. Poi un secondo appello è alle 4 di mattina e infine verso le 7:30, poco prima dell’apertura dei cancelli, il personale della questura seleziona i dieci/venti richiedenti asilo autorizzati ad accedere.
«Accompagno i richiedenti asilo alla questura dal 2016, c’è gente che rimane lì anche quattro notti prima di entrare. Nessuno ne parla, ma davanti la questura ormai c’è un accampamento semipermanente», ci dice Mattia Gregorio della Federazione del Sociale dell’Unione sindacale di base (Usb).
«È morto un essere umano davanti a un ufficio pubblico e la cosa più grave è che volevano insabbiare tutto. Alle 8 il corpo era stato tolto, tutto era stato ripulito e si continuava ad andare avanti come tutti i giorni», urla al megafono qualcun altro dalla piazza.
Ricostruzioni contraddittorie
Se le ricostruzioni ufficiali della questura hanno parlato di «un cittadino comunitario a cui era stato notificato un ordine di allontanamento dal territorio nazionale» che «stava dormendo dopo aver trovato riparo in un giaciglio di fortuna», di tutto altro tenore sono le testimonianze di chi si trovava con lui nella notte tra il 27 e il 28 gennaio.
Si tratterebbe di una persona di nazionalità indiana e tutti concordano con il fatto che si trovasse in fila con gli altri. Loro, probabilmente, si trovano ancora su quel marciapiede, infagottati nei loro giacigli di fortuna, nell’attesa che qualcuno certifichi su un documento la loro dignità.
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