Se non fosse per i due vecchi radiotrasmettitori all’ingresso, nessuno penserebbe che in un edificio del quartiere Eur a Roma c’è una sala operativa in cui medici salvano le vite dei naviganti che chiedono assistenza da tutto il mondo. Una sala operativa in funzione da novant’anni.

Era il 7 aprile 1935 quando il Centro internazionale Radio Medico (Cirm) per la prima volta ha prestato assistenza a un fuochista che, a bordo del piroscafo Perla nell’oceano Atlantico, aveva febbre molto alta e convulsioni. Il comandante alle 20.15, poco dopo la partenza da Dakar, ha inviato questo messaggio: «Fuochista diagnosticato giorno 2 medico Dakar morbo di Pott prescrittogli Adrenocalcina stop. Oggi accusa febbre 39 con Eclampsia polso 77 pregovi consigliarmi».

Alle 20.35, il Cirm ha risposto suggerendo la somministrazione di antipiretici: «Un grammo e mezzo al giorno in tre volte stop. Se il paziente accusa ancora convulsioni somministrare calmanti». Oppure, in mancanza di questi farmaci, «qualche calmante oppiaceo» e, aggiungeva il Cirm, «informateci domani mattina». Le condizioni di salute del fuochista sono migliorate fino alla guarigione.

È stata la radio inventata da Guglielmo Marconi a rendere possibile la comunicazione con il comandante del piroscafo che navigava nell’oceano Atlantico. Ed è stato l’incontro tra il premio Nobel per la fisica e un medico otorinolaringoiatra a dar vita al centro di assistenza medica dedicato alla gente di mare, di tutte le nazionalità, in tutto il mondo. Perché non c’è posto più isolato di una nave in mezzo al mare, né persone più isolate dei naviganti.

Un ospedale a distanza

Archivio Storico C.I.R.M

«Guglielmo Marconi e Guido Guida si conobbero nel 1930, durante una prima al teatro dell’opera di Roma quando il primo ebbe una crisi respiratoria. Ad assisterlo fu il medico del teatro, Guida. In un incontro successivo, il medico raccontò a Marconi la storia del padre: trapanese e proprietario di un peschereccio, si ferì in mare e morì dissanguato». A raccontare la nascita del progetto è Francesco Amenta, presidente del Cirm dal 2011, medico e professore universitario.

Da qui l’illuminazione di creare un ospedale a distanza gratuito, aperto 24 ore al giorno, per affermare quel principio che poi verrà raccolto dalla Convenzione del Lavoro marittimo del 2006, secondo cui ai marittimi imbarcati deve essere garantita un’assistenza medica il più possibile paragonabile ai lavoratori a terra. Per secoli questa è stata affidata alle sole conoscenze di medicina del comandante e a piccole scorte di farmaci. Ma ancora oggi «siamo lontani da questa prescrizione», dice Amenta.

Dal suo studio, al primo piano della palazzina all’Eur, il professore racconta la storia dell’assistenza medica in mare, e gli eterni problemi di costi e disponibilità ad assicurare un medico a bordo. «Per dirottare una nave occorrono migliaia di euro e settimane di navigazione», ricorda, e, spesso, l’unico modo per salvare il navigante è una presa in carico immediata.

Il soccorso

Prima dello sviluppo della radiotelegrafia nel 1897 da parte di Marconi, primo presidente del Cirm, le navi chiedevano soccorso tramite il telegrafo e l’alfabeto Morse: prima con il codice CQD, dove CQ indicava la chiamata verso tutti e D l’emergenza, poi con l’SOS, più riconoscibile, perché di tre punti, tre linee, tre punti.

Se dall’introduzione della radiotelegrafia ci sono state iniziative spontanee di installazione di ricetrasmittenti sulle navi e richieste da bordo di consigli medici a sanitari di terra, nel 1920 è stata rilasciata dallo stato di New York la prima licenza per un servizio radio medico dedicato alle imbarcazioni.

Così diversi paesi hanno iniziato a creare i centri per l’assistenza medica via radio: la Svezia nel 1922, poi il Giappone nel 1928, due anni dopo l’Olanda, la Germania nel ‘31. Ed è poi il turno del Cirm, nel 1935, che si distingue proprio per quella volontà di «affratellamento dell’umanità» – così la definisce Amenta – che aveva caratterizzato la scoperta di Marconi: il centro non è riservato, come gli altri, alle navi battenti bandiera italiana o in acque territoriali. Ma è rivolto a tutti i naviganti, in tutti i mari. «Il più grande merito di mio padre è stato riuscire a salvare tante vite per mare», aveva detto la figlia, Elettra Marconi, all’Ansa.

90 anni

Dal 1935, nei suoi 90 anni di attività, il Cirm ha curato circa 140mila pazienti, prima grazie alla radio e, in seguito, a partire dagli anni Novanta con la comunicazione satellitare e internet. Prima dall’abitazione di Guida poi dal 1962 nell’attuale sede all’Eur. Nella sala operativa non ci sono macchinari medici, non ci sono camici, né pazienti.

La medica di turno gestisce le richieste di fronte al computer, non parla quasi mai con il suo paziente, eccetto in casi particolari con il video. Di solito però al pronto soccorso del Cirm l’assistenza viene chiesta via mail o al più con una chiamata. «C’è una relazione particolare con il paziente», spiega Amenta, «perché un medico che forse non vedrà mai si prende cura di lui. Il medico interviene attraverso le mani del comandante». È lui responsabile della salute di chi è a bordo.

Gli strumenti avanzati disponibili oggi hanno permesso di non limitarsi alla descrizione di situazioni patologiche, ma di registrare anche dati biometrici. Le società che hanno aderito a Cirm Servizi, spin-off del centro, sono dotate di kit che, a seconda delle dimensioni, permettono di fare l’elettrocardiogramma e la spirometria, di rilevare la pressione arteriosa e la glicemia, con strumenti semplici e immediati che trasmettono direttamente al sistema e, quindi, al medico, senza che il comandante debba far da tramite per l’invio dei dati.

Nel 2024 la maggior parte dei pazienti del Cirm erano uomini, (98,74 per cento) perlopiù su navi cargo, o navi cisterna o, ancora, porta container o petroliere. Sono stati curati principalmente per malattie dell’apparato digerente, della cute, del sistema circolatorio o respiratorio, traumatismi o avvelenamenti. Il 70 per cento dei casi si è risolto a bordo grazie all’intervento del Cirm, mentre nel 25 per cento è stato necessario lo sbarco.

«Stare in mare per mesi in mezzo al nulla, su piattaforme petrolifere ad esempio, è complicato. Abbiamo registrato molti suicidi», spiegano nella sala operativa del Cirm. E precisano: «La legge prevede che un cittadino italiano può stare al massimo 6 mesi in mare senza sbarcare. Non è così per altre nazionalità: un cittadino filippino può stare fino a 11 mesi». E oggi il personale marittimo è soprattutto straniero.

Una piccola parte delle richieste di assistenza arriva anche dagli aerei. Il professor Amenta ricorda bene un caso che ha seguito in prima persona negli anni Ottanta: «Era un volo Roma-Nairobi e a una donna in stato avanzato di gravidanza si ruppero le acque. L’aereo sorvolava il deserto di Nubia, ci volevano ore per arrivare o tornare indietro. Abbiamo trasformato la prima classe in una sala parto, dato i consigli da terra e, con l’aiuto di una hostess e di un’infermiera a bordo, è nato il bambino». E sorride: «Il volo è arrivato in orario».

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