- Il nemico numero uno di Matteo Salvini è Salvini stesso.
- L’ultima strategia venduta ai suoi e alla coalizione di centrodestra come vincente è stata, al contrario, fallimentare.
- C’è una data che è l’inizio della fine del Salvini leader invincibile e sicuro di sé, così come lo avevamo conosciuto da quando nel 2013 era diventato segretario del partito del Nord. Ecco tutta la storia degli errori politici di Salvini.
Il nemico numero uno di Matteo Salvini è Salvini stesso. L’ultima strategia venduta ai suoi e alla coalizione di centrodestra come vincente è stata fallimentare: i nomi quirinabili proposti hanno spaccato il centrodestra e il voto sulla presidente del Senato, mandata al macello alla quinta votazione per eleggere il presidente della Repubblica, è la dimostrazione che Salvini non è il capo carismatico del centrodestra che credeva di essere. Forza Italia non lo segue.
Tuttavia anche dentro alla Lega, da quanto risulta a Domani, c’è molta irritazione per l’ennesimo colpo di mano e di testa del loro segretario. Certo è che il vice, Giancarlo Giorgetti, che avrebbe visto bene Mario Draghi al Quirinale, non lo ha fermato in questa corsa frenata bruscamente dalla realtà dei numeri.
Casellati non ha raggiunto neppure quota 400, si è fermata a 383. Sicuramente i franchi tiratori sono da individuare nelle truppe di Forza Italia – secondo i conti dei leghisti sarebbero 45 – che non volevano rischiare di far cadere il governo con l’elezione al Quirinale di Casellati.
Ma c’è il forte sospetto che a loro si siano aggiunti franchi tiratori leghisti che hanno ritenuto il metodo Salvini la causa di un nuovo fallimento. Una ventina è il numero non confermato, anzi smentito con una nota dal partito. Ma si sa i panni sporchi meglio lavarli in casa.
E se così fosse questo acuirebbe le fratture interne al partito dell’ex ministro dell’Interno, già diviso al suo interno tra sovranisti fedelissimi del capo e nordisti nostalgici del federalismo.
Errori a catena
C’è una data che è l’inizio della fine del Salvini leader invincibile e sicuro di sé, così come lo avevamo conosciuto da quando nel 2013 era diventato segretario del partito del nord, poi trasformato in forza nazionalista.
Il periodo è l’agosto del 2019. L’anno in cui Salvini doveva fare i conti con le ombre russe, lo scandalo della trattativa dell’hotel Metropol e il suo fido Gianluca Savoini beccato a negoziare un finanziamento in ginocchio dai russi per il partito.Erano gli sgoccioli del primo governo Conte, l’estate del Papeete Beach: il ministro in costume che balla e beve mojito nel locale dell’eurodeputato leghista Massimo Casanova. Sono i giorni in cui, assediato per le polemiche sul Metropol, sfida Conte e apre la crisi di governo.
Salvini pensava di uscire dall’assedio con la caduta del governo e la convocazione di nuove elezioni, che probabilmente avrebbe vinto alleato con Giorgia Meloni per formare un esecutivo sovranista. Aveva però sbagliato i calcoli. E ha portato così la Lega di nuovo all’opposizione. Errore di calcolo, come tanti altri commessi all’apice del successo: Salvini ha perso persino contro Luigi Di Maio e Giuseppe Conte quando aveva insistito per portare Paolo Savona a palazzo Chigi. Senza dimenticare la volta in cui era convinto di imporre in Europa un commissario sovranista. Perse pure quella partita.
Arrivando in epoca più recente. A ottobre, alle ultime elezioni amministrative, Salvini avrebbe dovuto trionfare contro tutti e tutto, perse clamorosamente nelle grandi città. E dove ha gioito, in Calabria, il candidato non era certo suo.
Su Roma il candidato Enrico Michetti ha garantito a Salvini di spartirsi le responsabilità con Meloni, più cauta però nelle dichiarazioni pubbliche rispetto al capo leghista.A Milano Salvini ha imposto il medico Luca Bernardo, sconfitto al primo turno. Ha perso nella sua città e capoluogo della regione che la Lega amministra con molti assessori di rito salviniano.
Il gran finale
I passi falsi di Salvini, dettati dall’improvvisazione, peseranno anche in un futuro non molto lontano. Le voci di una trattativa di Salvini per un ruolo della Lega più rilevante nel governo se Draghi dovesse andare al Quirinale sono state smentite. Ma sogna ancora di mettere un suo uomo al ministero dell’Interno.
Così come circola l’ipotesi di un ruolo diverso per Giorgetti, mai confermata ufficialmente.Di certo c’è che il Capitano della Lega prima o poi dovrà rendere conto ai militanti e i colonnelli del partito del Nord, che attendono da tempo un congresso solo promesso. Il fallimento sul Quirinale potrebbe essergli fatale non solo per la leadership della coalizione ma anche del suo stesso partito.
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