Per i cittadini che dovranno rivolgersi alle cure del Servizio sanitario nazionale quella di mercoledì 20 novembre sarà una giornata particolarmente delicata. I medici e infermieri di tutta Italia si asterranno dal lavoro per uno sciopero nazionale indetto dalle principali sigle sindacali del settore: i sindacati dei medici Anaao Assomed e Cimo-Fesmed e quello degli infermieri Nursing Up.

Sarebbero a rischio circa 1,2 milioni di prestazioni sanitarie, tra visite di ambulatorio, servizi di assistenza, esami radiografici (erano circa 50mila), interventi chirurgici programmati (15mila) e visite specialistiche. Saranno invece garantiti i servizi essenziali e di emergenza. Resteranno attivi i pronto soccorso, le terapie intensive, il 118 e gli interventi di chirurgia d’urgenza.

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Il principale motivo della protesta è, ovviamente, la legge di Bilancio, che – a detta dei sindacati – è «deludente» perché «conferma la riduzione del finanziamento per la sanità rispetto a quanto annunciato nelle scorse settimane e cambia le carte in tavola rispetto a quanto proclamato per mesi». Difatti, il ministro della Sanità Oreste Schillaci pochi mesi fa aveva sentenziato: «Con 3 o 4 miliardi in più – per l’anno 2025 – potremmo risolvere i problemi della sanità. Di questi, circa 1,5 miliardi servirebbero per il personale, che deve essere pagato meglio». Invece, con la manovra il governo ha stanziato solo 1,2 miliardi lordi in più, che equivalgono a solo 900 milioni di euro netti.

Questo magro incremento non modifica il nostro rapporto tra spesa sanitaria e Pil, che resta del 6,2-6,3 per cento, ed è uno dei più bassi tra tutti i paesi occidentali: nel 2023 è stato inferiore di 0,7 punti percentuali rispetto alla media Ocse (6,9 per cento) e di 0,6 alla media europea (6,8 per cento). Nel 2022 per l’assistenza sanitaria di ogni italiano sono stati spesi 2.947 euro (corretti per il potere d’acquisto): 586 euro in meno della media europea e quasi la metà rispetto alla spesa della Germania (5.317 euro ogni tedesco).

«Protestiamo», affermano Pierino Di Silverio, segretario Anaao Assomed, Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed, e Antonio De Palma, presidente Nursing Up, «per avere un giusto riconoscimento per le nostre professioni, anche economico». I sindacati lamentano che ai contratti di lavoro, anche nell’ospedalità privata, «vengono assegnate risorse assolutamente insufficienti»: manca la detassazione di una parte della retribuzione; manca l’attuazione della normativa sulla depenalizzazione dell’atto medico e sanitario; esiguo e intempestivo è l’incremento dell’indennità di specificità infermieristica, senza estensione alle ostetriche.

Detto in parole povere, i medici e gli infermieri italiani hanno tra gli stipendi più bassi d’Europa, e la manovra non fa nulla per migliorare la situazione. Secondo le stime dell’Ocse, tenendo presenti le differenze di costo della vita nei diversi paesi, un medico italiano guadagna in media 105mila dollari l’anno, un suo collega tedesco 188mila, uno olandese 190mila, e uno francese 120mila. Lo stipendio medio di un infermiere italiano è di circa 39mila dollari, mentre un infermiere belga 87mila, uno tedesco 59mila.

Emergenza cronica

E il governo che ha fatto? La legge di Bilancio approvata prevede un aumento dell'indennità di specificità medica di 17 euro per i medici e 14 per i dirigenti nel 2025, di 115 per i medici e zero per i dirigenti nel 2026, mentre per gli infermieri di 7 euro per il 2025 e di 80 per il 2026. Pochi spiccioli in più, l’equivalente di una pizza al mese. Circa il 10-20 per cento dei nostri medici neolaureati ogni anno fugge all’estero, visto che dei 9.000 nuovi medici ogni anno più di 1.000 emigrano verso paesi dove guadagnano di più e vivono sereni, e le cose non cambieranno.

I soldi sono pochi e quei pochi vengono anche spesi male, come ha certificato una recente delibera della Corte dei Conti. Dal 2020 al 2024 il ministero della Salute aveva stanziato 2 miliardi per ridurre le liste d’attesa nel Ssn, ma «per quanto attiene al monitoraggio relativo all’attuazione delle misure assunte sono emerse problematiche in merito alla metodologia basata su dati autocertificati da parte delle Regioni che mostrano discrasie».

È scritto in burocratese, ma significa che le regioni hanno speso solo una minima parte della somma stanziata per ridurre le liste di attesa, e per di più hanno presentato dati parziali che non possono certificare se le liste di attesa siano davvero diminuite e dove (esami fatti da chi e dove, diminuzione dei tempi di attesa per esame, e così via): insomma, ogni regione si autocertificava i miglioramenti senza presentare dati obiettivi certi.

«Se i giovani professionisti scappano in massa all’estero, e si è costretti ad andare in capo al mondo per cercare colleghi disposti a prendere il loro posto nei nostri ospedali, è perché non sono più disposti ad accettare di lavorare in queste condizioni», spiegano i leader dei sindacati. E proseguono: «Quello che noi chiediamo è ridare dignità e valore al nostro lavoro. Nessuno vuole più lavorare sapendo di rischiare quotidianamente una denuncia, un insulto, un calcio o una manganellata. Nessuno è più disposto a rinunciare a ferie, riposi, malattie per garantire i servizi. Nessuno intende più lavorare in un’emergenza ormai cronica, la cui fine neanche si intravede».

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