- Da una parte le vittime, i familiari, le associazioni e i pubblici ministeri. Dall’altra la catena di comando di un carcere, il ‘Francesco Uccella’ di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, gli agenti della polizia penitenziaria e l’ex provveditore regionale della Campania.
- Inizia oggi nell’aula bunker del tribunale di Santa Maria il processo per la mattanza di stato compiuta da decine di poliziotti penitenziari a carico di inermi detenuti del reparto Nilo, massacrati di botte senza ragione il 6 aprile 2020.
- Quel giorno quasi 300 agenti penitenziari, provenienti anche da altri istituti, entrano nel carcere e per oltre 4 ore massacrano di botte e colpi di manganello i detenuti, una mattanza documentata dai video che Domani ha pubblicato lo scorso giugno.
Da una parte le vittime, i familiari, le associazioni e i pubblici ministeri. Dall’altra la catena di comando di un carcere, il ‘Francesco Uccella’ di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, gli agenti della polizia penitenziaria e l’ex provveditore regionale della Campania.
Inizia oggi nell’aula bunker del tribunale di Santa Maria il processo per la mattanza di stato compiuta da decine di poliziotti penitenziari a carico di inermi detenuti del reparto Nilo, massacrati di botte senza motivo il 6 aprile 2020.
Quel giorno quasi 300 agenti penitenziari, alcuni ancora impuniti, provenienti anche da altri istituti, entrano nel carcere e per oltre 4 ore massacrano di botte e colpi di manganello i detenuti, una mattanza documentata dai video che Domani ha pubblicato lo scorso giugno.
La procura ha chiesto il rinvio a giudizio per 108 persone, accusate a vario titolo di tortura aggravata, maltrattamenti, abuso di autorità, falso e anche depistaggio.
Gli ostacoli al processo
Violenze, rivelate da questo giornale, già nel settembre dello scorso anno, denunciate dal garante dei detenuti campano, nazionale e dalle associazioni, in prima battuta Antigone.
Oggi si celebra l’udienza preliminare davanti al giudice Pasquale D’Angelo che inizierà a esaminare la richiesta di rinvio a giudizio. Le notifiche agli imputati sono avvenute correttamente, l’udienza preliminare non dovrebbe concludersi oggi, ma esaurirsi in diverse udienze, non si arriverà a una decisione oggi perché sono diverse le questioni da affrontare.
Si inizia con l’appello, non sarà breve visto il numero degli imputati, 108, e il numero delle parti offese. Si dovranno costituire le parti, quelle civili sono diverse: detenuti vittime, familiari, associazioni, articolazioni dello stato, a partire dal ministero della Giustizia. Questo è un passaggio centrale visto che le vittime, anche detenuti ancora in carcere, dovranno decidere se schierarsi apertamente contro lo stato oppure rinunciare.
In altri processi, come in quello per le violenze compiute nel carcere di San Gimignano, durante il dibattimento, c’è chi ha preferito ritrattare, rivedendo le iniziali accuse contro gli agenti.
In merito a questa eventualità ci potrebbe essere da parte della procura la richiesta anche di incidente probatorio, che significa ascoltare le vittime degli abusi e delle torture prima che ciò avvenga nel processo in modo da cristallizzare le loro dichiarazioni. Non solo. C’è un’altra questione che il giudice dovrà vagliare, quella relativa alla proroga custodiale.
I pubblici ministeri Alessandro Milita, Maria Alessandra Pinto, Daniela Pannone hanno, infatti, chiesto la proroga delle misure di custodia cautelare per alcuni degli imputati. Un profluvio di questioni che dovrebbero essere vagliate in diverse udienze.
Una potrebbe rischiare di far slittare ulteriormente la decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio: l’incompatibilità ambientale che potrebbe essere sollevata dai legali di alcuni imputati. Ma il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, proprio nell’aula bunker, ha celebrato il più grande processo della storia contro il clan dei Casalesi, il processo Spartacus, e la pretesa incompatibilità non dovrebbe trovare accoglimento. «Non avallo, in nessun modo, questa ipotesi.
Oggi si apre una pagina importante, tesa a verificare i corretti equilibri tra i poteri dello stato. Oggi è un processo di storia non solo di cronaca. È facile dare giudizi, ma dovremo valutare il contesto nel quale gli agenti hanno operato», dice l’avvocato Giuseppe Stellato che difende diversi imputati.
Giustizia per Lamine
C’è un’altra questione da affrontare quella relativa alla gravità indiziaria in merito alla vicenda che riguarda la morte del detenuto Lamine Hakimi. Alcuni imputati rispondono di tortura con l’aggravante proprio per la morte del detenuto algerino, se il giudice dovesse accogliere la richiesta della procura, il processo si celebrerà davanti alla corte d’Assise. Su questo si gioca uno degli scontri più importanti tra accusa e difesa.
La novità è che i familiari di Lamine Hakimi si costituiranno parte civile grazie all’impegno di Antigone, saranno rappresentati dall’avvocata Simona Filippi, caparbia legale che ha ottenuto il mandato dai familiari del giovane algerino brutalmente picchiato dagli agenti penitenziari e poi morto il 4 maggio 2020 senza medicinali e senza cure dopo un isolamento ingiusto e illegittimo.
La morte di Hakimi, il 4 maggio 2020, rappresenta una pagina buia che rende quel pestaggio organizzato nei confronti di detenuti inermi, una delle giornate più nere della storia del nostro paese.
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