La ministra del Turismo chiede di spostare a Roma il procedimento sulla truffa Covid. Prende tempo con i giudici, che devono decidere se rinviarla a giudizio per la truffa all’Inps, che sarà parte civile
«Vi sembro preoccupata? Sono ottimista». Da Rimini, dove è approdata per l’inaugurazione del Salone del turismo, la ministra Daniela Santanchè risponde ai giornalisti che le chiedono un commento sui suoi guai giudiziari. Nello stesso momento in cui la senatrice di Fratelli d’Italia taglia il nastro della manifestazione nella città simbolo della riviera romagnola, a Milano si apre infatti l’udienza preliminare del procedimento che la vede imputata (e assente) per truffa ai danni dell’Inps. «Escludo che oggi arrivi un rinvio a giudizio nei miei confronti», continua, coriacea, Santanchè, accusata insieme al compagno Dimitri Kunz, al collaboratore Paolo Giuseppe Concordia e alle due società Visibilia editore e Visibilia concessionaria di truffa aggravata all’Inps, in relazione a presunte irregolarità nell’uso della cassa integrazione in deroga nel periodo Covid.
In effetti per la decisione sul rinvio a giudizio, chiesto nei confronti della ministra dalla procura meneghina, si dovrà ancora attendere. Nel corso dell’udienza sono altri infatti i punti affrontati.
In primis il colpo di scena più rilevante: i pm danno parere favorevole alla richiesta di patteggiamento di Visibilia editore spa, che propone più in particolare il pagamento di una sanzione pecuniaria di 23mila euro, oltre al versamento di quanto contestato nei verbali dell’Inps. A seguire è lo stesso istituto di previdenza sociale a chiedere, tramite il legale Aldo Tagliente, di costituirsi parte civile. Anche in tal caso l’istanza viene accolta, ma dal giudice per l’udienza preliminare Tiziana Gueli.
Due fatti, dunque, di non poco conto. E a fronte dei quali la ministra del Turismo potrebbe diventare – si ipotizza – meno ottimista di quanto si professa. Da un lato con la richiesta di patteggiamento la società, da cui Santanchè ha dismesso cariche e quote nel 2022, alza bandiera bianca, e dall’altro all’Inps, in quanto parte civile, potrebbero venire riconosciuti, anche e soprattutto in termini monetari, eventuali danni (patrimoniali e di immagine) subiti a causa del comportamento degli imputati. Imputati che appunto avrebbero chiesto all’ente, durante la pandemia, 126mila euro di cassa integrazione per 19 dipendenti che in realtà stavano regolarmente lavorando.
Emblematico a questo proposito il caso di Federica Bottiglione, ex dipendente di Santanchè che ha aperto la strada alle indagini sul sistema Visibilia: la manager Bottiglione, mentre la società della ministra nei mesi Covid ha chiesto, ottenuto e incassato i soldi pubblici della cosiddetta Cig, avrebbe continuato a lavorare. Non solo per la stessa Visibilia, ma anche per il Senato, negli uffici dell’allora vicepresidente Ignazio La Russa. Da qui la denuncia.
La strategia della ministra
A ogni modo, tornando all’udienza preliminare, il legale della ministra Daniela Santanchè, l’avvocato Nicolò Pelanda, nel corso della stessa chiede di riqualificare il reato di «truffa aggravata» in «indebita percezione di erogazioni pubbliche». E chiede, ancora, che il procedimento passi per competenza territoriale da Milano a Roma, sede dello stesso ente previdenziale. Una “strategia” per rimandare più in là l’eventuale rinvio a giudizio e, quindi, eventuali dimissioni dal governo Meloni? Potrebbe darsi. Sul punto, tuttavia, il gup Gueli deciderà il prossimo 23 ottobre e, probabilmente, la questione potrebbe anche finire alla Corte di cassazione.
Su Santanchè non pende, comunque, soltanto il rinvio a giudizio per truffa aggravata. C’è anche quello che eventualmente stabilirà se processare la ministra e ulteriori sedici indagati per aver falsificato i bilanci di tre società del gruppo Visibilia tra il 2016 e il 2022. All’udienza preliminare di questo filone di indagine tre soci investitori del gruppo sono stati ammessi come parte civile.
Dunque, per quanto la senatrice meloniana si dica serena, il rischio di andare presto a processo risulta assai concreto. Con tutte le conseguenze politiche che ne deriverebbero. Se di fatto pare che la ministra cerchi di allontanare sempre più in là la pronuncia dei giudici nei suoi confronti – e in particolare quella sulla truffa aggravata, che sembrerebbe temere di più rispetto all’altra vicenda giudiziaria che la riguarda – prima o poi questa decisione arriverà.
E in quel caso, qualora i giudici optassero per mandarla a processo, due sole sarebbero le strade da intraprendere: Fratelli d’Italia manterrà la promessa e chiederà alla ministra di dimettersi. Oppure il partito di Giorgia Meloni sposterà nel tempo le sue scelte e chiederà le dimissioni della sua senatrice solo in caso di condanna.
Intanto, in aggiunta a tutto ciò, la magistratura milanese sta anche indagando sulle società create da Santanchè nel settore del bio-food, come Ki Group srl, ora fallita. In questo caso si attende la relazione del curatore fallimentare, che dovrebbe arrivare a novembre prossimo e darebbe le indicazioni ai pm per decidere come comportarsi a proposito.
Guai che non fanno affatto bene al governo. Nessun ottimismo, quindi. Almeno per l’esecutivo di Giorgia Meloni.
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