La propaganda russa è da sempre abile nel fare pubblicità ad ipotetiche “super-armi” in grado di cambiare gli equilibri strategici e la stampa occidentale affamata di sensazionalismo spesso finisce nella trappola
Questa settimana, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato in pompa magna che il nuovo missile nucleare intercontinentale Sarmat sarà operativo entro la fine dell’anno. Secondo il ministero della Difesa russo, il Sarmat è in grado di superare qualsiasi difesa anti-missile «presente o futura» e Putin in persona ha detto che farà «riflettere coloro che ci stanno minacciando».
I media occidentali in genere vanno a nozze con queste minacciose dichiarazioni di potenza atomica e questa occasione non ha fatto eccezione. Giornali e siti web si sono riempiti di articoli che descrivevano in toni a volte quasi apocalittici la nuova «inarrestabile» arma di Putin, spesso indicata con la sua inquietante denominazione Nato: Satan II.
Ma, esattamente come nel caso dei missili ipersonici, la realtà è molto distante dal trionfalismo di Putin e dalla sua acritica ripresa da parte della stampa scandalistica.
Il missile
Il missile Sarmat è un Icbm, cioè un missile balistico intercontinentale progettato per trasportare testate nucleari. Il suo sviluppo è iniziato nel 2009 e lo scorso aprile ha visto il suo primo test di lancio completo (in precedenza aveva effettuato soltanto voli di pochi chilometri).
Il missile è diventato famoso nel 2018, quando Putin lo ha utilizzato come piatto forte nel suo annuale discorso all’assemblea della Federazione russa, quello in cui aveva rivelato i nuovi sistemi d’arma che avrebbero potenziato l’arsenale nucleare del paese mettendolo sulla strada per superare quello degli Stati Uniti.
Il Sarmat è destinato a sostituire l’attuale arsenale missilistico russo, composto da Icbm entrati in servizio tra gli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta. Le sue caratteristiche sono effettivamente migliori dei suoi predecessori. Può contenere 15 testate nucleari, a differenza delle 10 dei missili precedenti. Ha un raggio maggiore, circa 18mila chilometri contro i 10-15mila dei vecchi modelli, e ha una fase di “decollo” molto più corta, il che lo rende più difficile da individuare.
Si tratta però di migliorie essenzialmente incrementali che non cambiano radicalmente quello che l’arsenale russo può ottenere, né alterano quello che gli Stati Uniti possono fare (o meglio: non fare, come vedremo tra poco) per difendersi.
Gli Usa
Chi non sembra affatto preoccupato da questi sviluppi sono gli Stati Uniti. Non solo le forze armate americane hanno sottolineato che il loro stato di allerta non è mai mutato nel corso dell’attuale crisi, nemmeno quando le forze missilistiche russe si sono messe in pre-allarme. Ma pur di assicurarsi di tenere bassa la tensione, gli americani hanno cancellato un test missilistico previsto per il mese di aprile. Nel frattempo, l’equivalente del loro programma Sarmat procede nei tempi previsti, senza fretta né accelerazioni.
Gli Stati Uniti, infatti, sono abbastanza soddisfatti del loro attuale arsenale missilistico, costituito dalla famosa “triade”: Icbm basati a terra, bombardieri a lungo raggio dotati di armi atomiche e infine sottomarini nucleari.
La flotta degli Icbm americani è composta dai Minutemen III, macchine affidabili e precise, progettate negli anni Settanta e con ancora un decennio di vita operativa prima che si presenti la necessità di sostituirli. Il programma per produrre i loro successori è iniziato nel 2016 e non dovrebbe essere ultimato prima della fine del decennio.
Anche se il riarmo nucleare russo ventilato da Putin ha causato una certa fibrillazione negli Stati Uniti, con nuovi investimenti annunciati durante la presidenza di Donald Trump, nulla al momento indica che l’attuale equilibrio nucleare sta per essere alterato in modo significativo.
La tecnologia
Il punto che spesso sfugge ai non addetti ai lavori è che la tecnologia dei missili a lungo raggio è ormai matura. I nazisti fecero volare il primo missile capace di viaggiare a molte volte la velocità del suono oltre ottant’anni fa. Stati Uniti e Unione sovietica si sono dotati di arsenali di missili in grado di garantire la famosa “mutua distruzione assicurata” tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Già mezzo secolo fa i missili nucleari erano velocissimi, colpivano a grandissima distanza ed erano praticamente inarrestabili. La situazione da allora non è cambiata e lo spazio per ottenere miglioramenti radicali oggi è molto limitato.
Gli Stati Uniti hanno investito miliardi di dollari nelle tecnologie antimissile, soprattutto da quando nel 2002 hanno abbandonato il trattato che ne limitava lo sviluppo, ma i loro sforzi sono diretti a proteggere il paese dagli attacchi nucleari che potrebbe lanciare un paese come la Corea del Nord.
Nessuna tecnologia esistente, invece, può arrestare un attacco su grande scala di una delle principali potenze nucleari. L’affermazione russa che il nuovo Sarmat non possa essere fermato dalle difese americane è ridondante: nessun missile russo, nemmeno quelli vecchi di mezzo secolo, può essere fermato facilmente. Sono semplicemente troppo veloci e troppo numerosi. Ed è proprio questo il punto, sostengono gli studiosi. L’equilibrio tra le potenze nucleari si basa proprio sul fatto che nessuna potenza potrebbe vincere una guerra nucleare. Anche nello scenario più ottimistico, decine, se non centinaia, di missili colpirebbero i propri bersagli lasciando il “vincitore” in condizioni solo relativamente migliori dello “sconfitto”.
La propaganda delle armi nucleari ha comunque un valore importante. Putin la utilizza per ricordare lo status di grande potenza della Russia tanto ai suoi sostenitori quanto ai suoi avversari. Ma dietro gli obiettivi politici e mediatici, la realtà dell’equilibrio nucleare non è destinato a cambiare. Nemmeno dopo l’arrivo del temibile Sarmat/Satan.
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