Faremmo un errore a considerare come un caso isolato quello del bracciante morto dopo aver perso un arto ed essere stato abbandonato dal datore di lavoro nei pressi di casa sua a Latina.Ci sono ancora troppi lavoratrici e lavoratori sfruttati nelle campagne: il caporalato c’è, anche quando non si vede
La morte di Satnam Singh è una ferita profonda per tutti, un punto di non ritorno rispetto al quale non è più possibile tacere. Non è solo l’ennesimo (vergognoso) episodio di un bracciante sfruttato e buttato via come un pezzo difettoso di una catena di montaggio, ma è anche una storia che ci racconta di come, quando manca la politica, prevalga la barbarie.
La cronaca dei fatti fa rabbrividire: Singh, dopo aver perso un braccio, tranciato dal macchinario su cui stava lavorando, viene messo su un furgone dal datore di lavoro e abbandonato nei pressi di casa. Senza che nessuno si preoccupasse di chiamare soccorsi. Come se questo non bastasse, Renzo Lovato, uno dei titolari dell’azienda, ai microfoni del Tg1 ha avuto il coraggio di scaricare tutta la responsabilità sul lavoratore che «ha fatto una leggerezza».
Se l’è cercata, insomma. Faremmo un errore a considerare quello di Singh come un caso isolato. Nello stesso giorno a Brembo, in provincia di Lodi, Pierpaolo Bodini di 18 anni muore in una cascina, dopo essere rimasto schiacciato sotto una seminatrice. A quanto pare, Bodini stava facendo un intervento di manutenzione, quando un pezzo della seminatrice si è staccato e lo ha travolto.
A Sesto Calende, in provincia di Varese, un ragazzo di 19 anni è stato investito da un mezzo agricolo mentre stava lavorando in un campo. Ha riportato una frattura al femore e al bacino. Le condizioni sono gravi. Intanto a Brandizzo, nel Torinese, la direttrice di un punto vendita di una catena di supermercati, in un audio circolato sulla chat aziendale, ha costretto le dipendenti a “farsela addosso” per non perdere minuti preziosi di lavoro. Siamo di fronte a una situazione talmente brutale che la rabbia e l’indignazione non bastano più. E dobbiamo dire un po’ di cose con chiarezza.
La prima è che il mondo edulcorato e sfavillante del Made in Italy raccontato dal ministro Lollobrigida e dal governo Meloni semplicemente non esiste. L’agricoltura italiana è fatta da tantissimi agricoltori sani ma, se davvero vogliamo aiutarli nelle loro fatiche, dobbiamo dire la verità. E la verità è che ci sono ancora troppi lavoratrici e lavoratori sfruttati nelle campagne. Il caporalato c’è, anche quando non si vede. Tutte le inchieste fatte dall’associazione Terra! in questi anni dimostrano che, da Nord a Sud, passando per l’Agro Pontino dove lavorava Singh, le campagne sono pervase da fenomeni di sfruttamento.
La seconda è che fino a quando non si interverrà sulla catena del valore del cibo, fino a quando cioè non verrà riconosciuto il giusto prezzo a chi lavora la terra, e le offerte promozionali continueranno a essere lo strumento principale di promozione di supermercati e discount, questa situazione resterà invariata.
Terzo, se la strategia di questo governo è quella di non parlarne, pensando che la cosa si risolva da sola, la morte brutale di Singh ci ricorda che non è così.
L’indignazione di queste ore deve servire quindi a smuovere le istituzioni perché devono tornare a occuparsi di questo fenomeno, debellandolo una volta per tutte. E invece prevale il silenzio. È solo così che si spiega il perché l’ultima convocazione del Tavolo di contrasto al caporalato previsto dalla Legge 199 risalga a dicembre 2022, due anni fa.
All’epoca la ministra Calderone, nel presenziare all’incontro, aveva espresso la volontà che quello strumento «diventasse prassi, anche per restituire la giusta centralità a questi temi cruciali». A distanza di due anni, la prassi non c’è stata. Dov’è il ministro Francesco Lollobrigida? Oltre alle dichiarazioni di circostanza, perché non va nelle campagne del Pontino a testimoniare la vicinanza delle istituzioni? Perché la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non ha sentito il dovere di esprimere il cordoglio a Sony, la moglie di Satnam Singh?
Siamo arrabbiati e tristi, ma quello che è successo deve segnare un punto di cesura. C’è un prima che è fatto di silenzi e indifferenza, ed è lì, in quello spazio, che lo sfruttamento si è sempre annidato e ha prolificato. E c’è un dopo, tutto da costruire, riappropriandoci degli spazi che ci sono stati tolti. Come ci hanno insegnato le rivolte e gli scioperi di Rosarno, Nardò e Latina.
E allora è arrivato il momento di dismettere i panni del consumatore dentro i quali abbiamo pensato di rifugiarci in questi anni, e di vestire nuovamente quelli di una società civile che di fronte a questi orrori, di fronte al silenzio delle istituzioni, prende parola e scende in piazza. A partire da sabato 22, quando la Cgil ha convocato una manifestazione proprio a Latina, a pochi chilometri da dove è avvenuto l’incidente di Satnam Singh. È importante esserci.
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