Storia di Sava, paese in provincia di Taranto che è costretto a convivere con l’inquinamento prodotto dai pozzi neri. Depuratore in arrivo, ma restano le incognite
«Benvenuti nel paese senza fogna». Una trentina di anni fa una mano armata di bomboletta spray scrisse alle porte dell’abitato cinque parole in cui c’era tutta una storia. Trent’anni dopo, la storia è ancora questa: Sava, provincia di Taranto, 15mila abitanti, terra degli ulivi e del vino, non ha rete fognaria. Non sarebbe una grande notizia perché nell’anno di grazia 2024 altri trentanove comuni italiani si trovano – dati Istat – nelle stesse condizioni. Ma questa è una storia particolare fatta di burocrazia, proteste, lungaggini, inquinamento. E, soprattutto, di domande rimaste senza risposta da mezzo secolo.
Sava non è esattamente un luogo di frontiera. Si trova 66 chilometri a sud di Fasano, dove a giugno si è svolto il G7, ed è a 25 chilometri da Taranto e a 60 da Lecce. A sette chilometri c’è Manduria, capitale del vino Primitivo. Basta percorrerne appena undici per raggiungere le stupende spiagge dello Ionio e la masseria Li Reni, dove il giornalista tv Bruno Vespa ospita politici e ministri.
I danni
È la Puglia che attrae i turisti e affascina gli stranieri. Ma a Sava non c’è la fogna. In realtà c’è, almeno in parte, ma è come non ci fosse. Progettata agli inizi degli anni Ottanta, cioè quarant’anni fa, «è stata completata al sessanta per cento», dice il sindaco Gaetano Pichierri, centrodestra, ma non è mai stata collaudata. Ora bisognerà consegnarla all’Aqp, l’Acquedotto pugliese, che a gennaio farà entrare in funzione il depuratore, costo 17,5 milioni. Sarà ovviamente collegato alla rete fognaria. Ma quante abitazioni sono oggi collegate alla rete fognaria? Neanche una. Zero.
Nell’ultimo mezzo secolo e prima ancora, Sava, non avendo la fogna, ha smaltito i liquami raccogliendoli nei pozzi neri – con le botole in cucina o nell’orto – e scaricandoli nel sottosuolo. Quanti sono questi pozzi? Nessuno lo sa perché nessuno si è mai preoccupato di censirli. «Sono 4.600», dice un ambientalista agguerrito, Mimmo Carrieri, da sempre all’opposizione di chiunque sia stato al governo. La sua stima non trova smentite, mentre l’ingegnere Aldo Maggi, sindaco dal 1993 al 2002 e poi dal 2007 al 2012, la considera plausibile: «Beh, se c’è un pozzo a famiglia…».
A Sava le famiglie sono – sempre dati Istat – 6.400, sicché i 4.600 pozzi sono probabilmente sottostimati. Che danni hanno prodotto? Neanche questo si sa. Si suppone che la grandissima parte, «almeno il 75 per cento dei pozzi» sia “a perdere”, ovvero rilascia i liquami nel sottosuolo.
Il sindaco Pichierri, commercialista, eletto nel 2022 e succeduto al collega di partito Dario Iaia (oggi deputato con Fratelli d’Italia), parla di un «aumento di tumori nella zona di Sava», ma fonti dell’Asl di Taranto smentiscono vi siano dati numericamente rilevanti che possano dimostrarlo. Non si viene mai a capo di nulla. Quanti danni ha prodotto mezzo secolo di liquami nel sottosuolo? Chi lo sa.
L’Arpa, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, non ha studi sul caso. Si sa invece che nel 2017 l’Unione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per i comuni lasciati in queste condizioni. Dieci anni prima – dicembre 2007 – il paese si ribellò con una manifestazione in cui si invocava la costruzione della rete fognaria. Ma non si riuscì a trovare un accordo con Manduria per la gestione comune di un depuratore.
Senza distinzione di partito, un “comitato di salute pubblica” coinvolse tutti, anche il sindaco dell’epoca, Maggi, ex Pci eletto sindaco la prima volta con la Dc. Uno schieramento trasversale che ovviamente finiva per diventare un’autoaccusa giacché migliaia di famiglie preferivano scaricare i liquami nel sottosuolo anziché farli raccogliere periodicamente dagli autospurgo. Questa è l’incivile tradizione che ha accompagnato il paese per mezzo secolo e passa. Chi non aveva la fortuna di avere un pozzo nero doveva industriarsi alla meglio, utilizzando l’acido solforico, capace di sciogliere anche le rocce e fare sprofondare i liquami, evitando di raccoglierli periodicamente con le autocisterne, a pagamento.
La speranza
Questa pratica che tutti conoscono e molti fingono di ignorare ha prodotto altri danni. Quanti? Domanda inutile. Una risposta non c’è. Una certezza la offre la cronaca ormai stagionata di 23 anni fa. Il 20 agosto 2001 due persone, zio e nipote, restano uccise dalle esalazioni: il primo viene colto da malore dopo essersi calato nel pozzo per la manutenzione; l’altro, nel tentativo di salvargli la pelle, ci rimette la sua.
A gennaio 2025, entrerà in funzione il depuratore consortile che gestirà insieme Sava e Manduria. Bisognerà collaudare la rete fognaria, ovviamente costruire il 40 per cento che manca, convincere i cittadini a collegarvi le loro abitazioni realizzando le condotte all’interno delle case. Il sindaco pensa a contributi pubblici per cofinanziare i lavori che i privati dovranno affrontare, come oggi si aiutano coloro che hanno non i “pozzi neri a perdere” ma la fossa Imhoff. Quanti sono costoro? Mah.
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