Il 24 maggio il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge n.82 con disposizioni per l’avvio del prossimo anno scolastico e sul sostegno didattico agli alunni con disabilità. Quasi sempre, si punta all’effetto sorpresa e si finisce per spararla grossa
A ogni governo, per i docenti inizia la solita gazzarra da toto-decreto. È arrivato quel momento dell’anno in cui arrivano novità che in genere rendono rovente la già calda estate degli insegnanti.
Quasi sempre, si punta all’effetto sorpresa e si finisce per spararla grossa. Aiuterebbe che nella definizione di nuove misure si affiancasse ai tecnici ministeriali qualcuno che a scuola ci abbia messo piede, e non solo da studente.
Così il 24 maggio il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge n.82 con disposizioni per l’avvio del prossimo anno scolastico e sul sostegno didattico agli alunni con disabilità.
I punti salienti riguardano questioni già note al mondo della scuola, dall’integrazione degli alunni stranieri all’inclusione degli alunni con disabilità, passando per il problema della continuità didattica.
Integrazione degli stranieri
Sono molte le difficoltà degli alunni “Neo arrivati in Italia”, quei bambini e ragazzi inseriti nelle classi in base alla loro età ma la cui conoscenza della lingua italiana è in alcuni casi talmente bassa da non garantire nemmeno la comunicazione di base.
L’abbandono scolastico, la cosiddetta “dispersione”, è l’estrema conseguenza di queste situazioni. Se la percentuale di studenti italiani che abbandonano la scuola è al 10 per cento, quella degli studenti stranieri ha raggiunto il 30 per cento.
Il problema è anche culturale. Molti di questi alunni vengono da famiglie non integrate, a volte isolati in comunità molto chiuse. E a scuola si crea un circolo vizioso. Questi ragazzi frequentano e fanno l’indispensabile per ottenere un pezzo di carta ma senza un interesse reale a conoscere la letteratura, le tradizioni e la cultura italiana.
D’altra parte, questo disinteresse viene contraccambiato da molti lavoratori della scuola. La presenza di un docente di italiano L2 (classe di concorso A3 per l’insegnamento agli stranieri, finora fantasma) può essere sicuramente di grande aiuto, ma non è la soluzione. Perché non pensare a progetti didattici multiculturali, che possano rappresentare uno scambio di vedute e un confronto costruttivo?
Patto “genitori-preside”
Una nuova offerta formativa erogata da Indire (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) dovrebbe affiancarsi all’attuale Tirocinio formativo attivo (Tfa) per sopperire alla carenza di docenti di sostegno. Questo secondo canale di specializzazione riguarderà circa 85.000 precari con tre anni di servizio sul sostegno svolti senza specializzazione. Potranno aggiungersi anche gli 11.000 docenti con titolo di specializzazione conseguito all’estero, sempre tramite l’acquisizione dei crediti formativi erogati da Indire, rinunciando al contenzioso con il ministero.
L’apertura di questo nuovo mercato si aggiunge ai percorsi già esistenti per ottenere le abilitazioni su materia, realizzando un condono a tutti gli effetti. A farne le spese sono tanti altri docenti che hanno seguito i corsi di specializzazione delle università. Cercare di tagliare la tortuosa strada che porta a diventare docente di sostegno non è un bene. Non aiuta a prepararsi al meglio, a sviluppare la capacità di affrontare le difficoltà che ogni docente incontra nelle scuole.
Altra misura prevista è quella sulla continuità didattica degli alunni con disabilità: sebbene questa sia sempre auspicabile, perché solo così si possono mettere in atto progetti a lungo termine con gli studenti, ciò non deve avvenire a discapito dei docenti già inseriti in graduatorie di merito (quel “merito” che il governo ha tenuto tanto a inserire nella denominazione del ministero).
Il rischio è innescare una sorta di “clientelismo”, perché spesso i docenti sono bypassati dalle famiglie mentre i dirigenti scolastici preferiscono evitare problemi. Tutto questo intacca un rapporto che dovrebbe essere alla pari e fa venire meno quel patto scuola-famiglia alla base dell’inclusione.
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