Le restrizioni hanno colpito in modo particolare gli studenti con disabilità. Le famiglie sono rimaste sole e la questione è stata scaricata sulle scuole. Così il Covid-19 fa emergere i problemi strutturali del sostegno
David e Nicole sono due fratelli con disturbi dello spettro autistico. Entrambi vanno a scuola, ma il Covid-19 ha negato loro la possibilità di avere il sostegno con la Dad. Per loro la scuola è finita l’8 marzo 2020 e non è più davvero ricominciata.
Il presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap ha detto che il problema del sistema scolastico italiano emerge già nella formazione degli insegnanti e propone cattedre separate tra quelle di sostegno e curriculari per sopperire alla carenza di insegnanti specializzati.
Stando ai dati pubblicati dall’Istat, nell’anno scolastico 2020/21 erano 268.671 gli studenti con disabilità, mentre i posti destinati al sostegno erano poco più della metà, molti dei quali in deroga.
Se è difficile seguire una lezione davanti a un computer per un bambino con sviluppo tipico, figuriamoci le difficoltà che incontra un ragazzo con disabilità. Nicole e David sono fratelli, vivono a Roma e hanno 18 e 14 anni. Hanno entrambi un disturbo dello spettro autistico, un problema neuropsichico che rende loro difficile comunicare, entrare in relazione con le persone che li circondano e sentirsi a proprio agio nei luoghi in cui si trovano.
Da quando in Italia ha iniziato a diffondersi il Covid-19 e le scuole sono state chiuse, le difficoltà di Nicole e David sono raddoppiate. Soprattutto per il più piccolo dei due. «La forma di autismo che ha David è molto più severa rispetto a quella della sorella. L’inizio della didattica a distanza ha coinciso con la fine del suo anno scolastico. Abbiamo provato due volte a fare un collegamento mirato, solo con l’insegnate di sostegno, ma non ha sortito alcun tipo di effetto, anzi ha peggiorato ancora di più la situazione, poiché non riusciva a spiegarsi: una persona con cui aveva stabilito un certo tipo di empatia, all’improvviso si trovava dietro uno schermo freddo». A raccontare come David e Nicole hanno vissuto i mesi che hanno messo in crisi il mondo intero è Stefania Stellino, la loro mamma, la quale ancora adesso, quando non deve lavorare, si occupa personalmente delle attività di sostegno che invece dovrebbe assicurare la scuola. «Con Nicole è stato più semplice. Va al liceo e la scuola è riuscita a garantire il piccolo gruppo (un gruppo di studenti non disabili con cui i ragazzi problematici possono rapportarsi e condividere attività, ndr). Il sostegno, invece, anche per lei è completamente scomparso con la didattica a distanza».
Un diritto non garantito
La situazione è stata simile, se non peggiore, per tutti i ragazzi della loro età con forme di disabilità. La scuola non è riuscita a garantire loro un diritto costituzionale come quello all’istruzione, a causa dell’arrivo improvviso della pandemia.
Stellino è anche parte del gruppo di comunicazione della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish), un’organizzazione nazionale impegnata in politiche mirate all’inclusione sociale delle persone con differenti disabilità, e parla a nome di tutti i genitori e ragazzi che hanno vissuto una situazione simile. «Noi siamo stati fortunati, perché dopo un po’ la regione Lazio ha permesso almeno che l’assistente all’autonomia e alla comunicazione venisse a fare il sostegno a domicilio. Un’attività fondamentale, soprattutto per David. Mentre altri genitori sono stati costretti a far perdere l’anno ai propri figli, un po’ per necessità, un po’ per la paura del buco nero davanti al quale si troverebbero una volta concluso il percorso scolastico», dice.
Dopo la scuola, infatti, l’inserimento nel mondo del lavoro per questi ragazzi è ancora molto complicato, nonostante le molte normative che regolano l’assunzione obbligatoria dei disabili nelle aziende. Le scuole che avviano programmi di alternanza scuola-lavoro per gli studenti con disabilità sono poche, ma quella di Nicole, grazie alla collaborazione di Stellino e della Fish, l’ha fatto.
Con il Decreto scuola del 6 giugno 2020, il ministero dell’Istruzione ha dato la possibilità ai dirigenti scolastici di consentire agli alunni la reiscrizione allo stesso anno di corso frequentato nell’anno scolastico 2019/2020, «limitatamente ai casi in cui sia stato accertato e verbalizzato il mancato conseguimento degli obiettivi didattici e inclusivi per l’autonomia, stabiliti nel piano educativo individualizzato».
Successivamente, grazie anche al lavoro svolto dalla Fish, è stato approvato un ulteriore decreto che riguardava l’organizzazione del piano scuola in vista del nuovo anno scolastico di settembre. «Abbiamo cercato di garantire la presenza in aula per tutti i ragazzi e anche quando a novembre si è partiti con la didattica a distanza e in presenza al 50 per cento, si è riusciti a garantire il piccolo gruppo e quindi la presenza per i ragazzi con disabilità», spiega ancora Stellino.
Con la caduta del governo Conte 2 e l’arrivo di Mario Draghi la pubblicazione di Dpcm e decreti legge è ricominciata quasi allo stesso modo. Il 4 marzo scorso il ministero aveva confermato il decreto organizzativo anche per i figli di lavoratori appartenenti a categorie essenziali, come i medici. Ma, successivamente, il 7 marzo, una nota ha dato la possibilità di frequentare in presenza solo ai ragazzi con disabilità, escludendo gli altri e, di conseguenza, non garantendo più il piccolo gruppo-classe utile all’integrazione degli studenti problematici.
Tuttavia, una circolare inviata alle scuole il 12 marzo, firmata da Antimo Ponticiello, direttore della Direzione generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione del ministero dell’Istruzione rimanda alle scuole l’«attenta valutazione dei singoli casi», precisando che «la condizione dell’alunno con bisogni educativi speciali non comporta come automatismo la necessità di una didattica in presenza». Quindi, valutare la gravità dei casi spetta ai singoli istituti, i quali non solo dovranno garantire lezioni in presenza per gli studenti con disabilità, ma anche per il piccolo gruppo di studenti che lo circonda, assumendosi la responsabilità di andare contro quanto stabilito dalla nota del governo.
Secondo Vincenzo Falabella, presidente della Fish, l’unica soluzione era ed è «che il sostegno sia diretto e individualizzato e offerto a casa nel momento in cui la presenza non viene garantita. Per i ragazzi disabili la scuola è finita l’8 marzo 2020 e non è mai davvero ricominciata».
Numeri enormi
Nicole e David sono solo due dei 268.671 ragazzi con disabilità presenti nelle scuole italiane. E stando ai numeri pubblicati dall’Istat per l’anno scolastico 2020/2021 i posti d’insegnamento destinati al sostegno sono solo 152.521, di cui 51.331 in deroga. «Il problema è che molti degli insegnanti che coprono le cattedre di sostegno sono in realtà insegnanti curriculari, che iniziano da lì per passare poi alla loro sfera d’insegnamento non appena possibile. Da anni rivendichiamo la possibilità di istituire cattedre separate. Chi ha la vocazione del sostegno, deve poterlo fare a vita», dice Falabella. Anche Stellino è d’accordo: «Gli insegnanti specializzati per le attività di sostegno sono pochi e devo dire nemmeno tutti davvero formati per dare questo tipo di supporto. Speriamo solo che con le nuove formazioni si riuscirà pian piano a colmare questo grande vuoto nel sistema scolastico italiano». Il ministero dell’Istruzione, da parte sua, fa sapere di aver fatto il possibile in un momento di massima emergenza e sottolinea che il problema dei posti in deroga e della carenza di insegnanti specializzati nel sostegno è pluridecennale. Assicurano anche che il neoministro Patrizio Bianchi organizzerà «sicuramente» altri incontri con la Fish e approverà nuovi provvedimenti che vadano incontro alle necessità di genitori e ragazzi, garantendo sostegno e, soprattutto, istruzione. Il resto rimane in mano alle scuole.
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