- Come i preti, anche gli insegnanti di ruolo scarseggiano. Ma con una differenza: per i preti c’è una crisi di vocazione; gli insegnanti la vocazione ce l’hanno, e magari insegnano da anni, sia pure da precari: quel che manca è il concorso.
- Finalmente, dopo una serie di annunci, promesse, rinvii, annullamenti, il bando di concorso tanto anelato è arrivato nel 2021, per merito della peraltro vituperata ex ministra Lucia Azzolina. I 500mila pensavano quindi di essere finalmente arrivati al termine delle loro pene. Il sospiro di sollievo è però durato poco.
- Hanno scoperto che c’è una serie di ostacoli preliminari da superare: per essere ammessi alle prove occorrono 24 crediti universitari (i famigerati cfu) e, una volta ottenuti questi, una preselezione, con un quiz dalle domande assurde (e in alcuni casi sbagliate). Solo dopo si accede alla prova, che consiste in una lezione di 45 minuti da tenersi dinanzi al giurì.
Come i preti, anche gli insegnanti di ruolo scarseggiano. Ma con una differenza: per i preti c’è una crisi di vocazione; gli insegnanti la vocazione ce l’hanno, e magari insegnano da anni, sia pure da precari: quel che manca è il concorso. Per l’enorme ritardo dei concorsi, si è accumulata una massa di quasi mezzo milione di persone, in buona parte precarie, che, in attesa di entrare in forma stabile nell’insegnamento, fanno funzionare la scuola italiana: in questo 2021-2022 le supplenze annuali sono più di 200mila!
Finalmente, dopo una serie di annunci, promesse, rinvii, annullamenti, il bando di concorso tanto anelato è arrivato nel 2021, per merito della peraltro vituperata ex ministra Lucia Azzolina. I 500mila pensavano quindi di essere finalmente arrivati al termine delle loro pene. Il sospiro di sollievo è però durato poco. Hanno scoperto che c’è una serie di ostacoli preliminari da superare: per essere ammessi alle prove occorrono 24 crediti universitari (i famigerati cfu) e, una volta ottenuti questi, una preselezione. Solo dopo si accede alla prova, che consiste in una lezione di 45 minuti da tenersi dinanzi al giurì.
Crediti e quiz
Già la prima condizione ha creato scompiglio: siccome i crediti li dispensano le università, si è scatenata una caccia selvaggia a procurarseli, sostenendo più o meno casualmente esami di questo e di quello, come se la laurea conseguita valesse zero.
La trovata dei crediti da accumulare serve a coprire il fatto che corsi di formazione per insegnanti (indicati nel tempo con le astruse sigle Ssis, Tfa, Fit e chi più ne ha più ne metta) non se ne tengono più. Ognuno è lasciato a sé stesso. Peggio ancora per la preselezione.
Forse consigliato da un titolare di autoscuola, il ministero ha stabilito che le prove (che si fanno da casa col proprio computer) consistessero nel mettere in cento minuti una crocetta a cinquanta quesiti. Siccome si deve supporre che i candidati siano persone istruite e ragionevoli e dotate di dignità personale, è facile vedere che una prova di questa natura sembra fatta apposta per mortificarle.
I quesiti aggravano la situazione. Sono simili a quelli dei quiz per l’esame di patente: una domanda sintetica, tre o quattro risposte alternative, una crocetta da mettere su quella giusta. Niente dialogo, niente argomentazioni, niente discussioni, per il motivo che il candidato ha dinanzi non una persona, ma un display.
Dopo i 100 minuti, l macchina stessa emette il verdetto: con almeno 35 risposte corrette su 50 (di cui 5 su informatica, 5 su inglese) si ha la sufficienza (cioè 70 su 100; ogni risposta esatta vale 2 punti) e si accede al colloquio.
Strane domande
Già descritta così, la procedura fa scandalo. Uomini e donne anche di età matura, molti dei quali insegnano da anni (o perfino decenni) come precari, di fatto tenendo in piedi la nostra scuola, devono sottoporsi a test puerili, meccanici e insensati.
Ma il peggio deve ancora venire. Per la preparazione delle domande, il ministero si dev’essere affidato a qualche agenzia specializzata, di quelle dove lavorano persone che non riuscirebbero a rispondere, neanche loro, ai quesiti che s’inventano. I quesiti infatti saltano da una disciplina all’altra e vertono sempre su quisquilie cervellotiche, frantumi di sapere, frattaglie irrilevanti, che non rilevano nulla se non la memoria di ferro.
Un esempio: al concorso A022 (classe di lettere), si chiede di indicare quale, tra quattro romanzi di scrittori siciliani di cui si dava il titolo, non era … ambientato in Sicilia! (La risposta giusta era Eva, romanzo di Giovanni Verga che hanno letto in pochissimi). In diversi quesiti la domanda contiene una maliziosa negazione: «Quale dei seguenti personaggi non ha preso parte alla guerra del Peloponneso? Quale delle seguenti battaglie non fu combattuta durante la prima guerra d’indipendenza italiana?».
Subordinate inesistenti
Diversi candidati e candidate sull’orlo di una crisi di nervi mi hanno chiesto lumi sul quesito seguente: «Enzo ha provato a seguire un corso di cucina online e si è appassionato moltissimo. Quale tipo di subordinata è presente nel periodo? A: Dichiarativa esplicita. B: Oggettiva implicita, C: coordinata per asindeto; D: Dichiarativa implicita».
Non credevo ai miei occhi. Basta aver studiato un po’ di grammatica a scuola per vedere che non solo tutte le risposte sono assurde, ma è assurda e insensata la domanda stessa. La risposta “giusta” per il ministero dovrebbe essere “Oggettiva implicita”. Ma in quella frase non c’è nulla di simile. Infatti, in Enzo ha provato a seguire non c’è nessuna subordinata! C’è un unico predicato con due verbi (provare e seguire), come accade in molte lingue.
Il prof bocciato
Non sorprende che i bocciati siano la maggioranza. Nella sola Lombardia gli ammessi sono 964 su 6613 candidati. Né si può esser sicuri che gli ammessi siano preparati sul serio. Un concorso organizzato in questo modo, e con quesiti strampalati, scombinati o erronei, seleziona infatti con effetto falce: chi cade cade, chi passa passa, senza relazione alcuna con l’effettiva preparazione dei singoli.
Il format delle domande sembra ispirato alla sublime trasmissione di Rai1 intitolata “L’Eredità”, dove ai concorrenti, perlopiù ignari di tutto come se venissero dal paradiso terrestre, viene chiesto il significato di parole strampalate o la data di nascita di qualche garibaldino minore.
La prova dell’inghippo si ha nel racconto di Marco Ricucci, insegnante milanese di ruolo (che cioè ha vinto i suoi concorsi e lavora in un liceo come docente stabile), che in vena di beffa si è presentato alla preselezione per vedere l’effetto che fa, e poi ha raccontato la sua esperienza sul Corriere della sera.
Malgrado una laurea triennale e una specialistica (cinque anni di studio), un anno di formazione e dieci anni di insegnamento, il nostro ha preso 68/70 e non è stato ammesso. Una delle sue colpe è stata quella di non sapere che Eva, il romanzo di Verga, è ambientato a Firenze. Il bello è che, dopo la prova, quasi tutti sono tornati a scuola: Ricucci alla sua cattedra di ruolo, tutti gli altri, anche se bocciati, al loro posto di precari, proprio come prima.
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