Le Regioni che dovrebbero riorganizzare la propria rete scolastica non riescono a trovare la quadra, mentre si moltiplicano le proteste sul territorio. A dimostrazione dell’impasse a cui può portare la frammentazione della gestione del sistema d’istruzione, come l’autonomia differenziata vorrebbe fare
Si scrive “riorganizzazione della rete scolastica”, si legge “tagli all’istruzione”. Perché, più che essere costruito con l’obiettivo di mettere la scuola al centro della crescita del Paese, come indica il Pnrr, il dimensionamento scolastico sembra pensato dal governo per fare cassa sfruttando il trend della denatalità.
Si risparmieranno 88 milioni in nove anni, ha spiegato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, grazie al fatto che, secondo le previsioni Istat, gli allievi delle scuole d’infanzia, primarie, secondarie di primo e secondo grado, nei prossimi dieci anni, diminuiranno dagli 8,1 milioni del 2023 ai 6,7 milioni del 2034. E che, invece di aumentare la qualità dell’istruzione visto il numero minore di studenti, si taglieranno circa 700 scuole. Che da 8.089, prima che la legge di bilancio per il 2023 regolasse il dimensionamento, diventeranno 7.309 nel 2026/27.
A sparire non sono i plessi, i punti di erogazione del servizio, ma le autonomie scolastiche. Con la conseguenza che più plessi, anche con sedi in Comuni diversi, vengono accorpati sotto la stessa direzione e segreteria. «Alcuni colleghi si sono allontanati parecchio da casa. A me invece è andata bene, sono stata ricollocata in una scuola non distante da dove abito», racconta Mariella Carbone, ex Direttrice dei servizi generali e amministrativi (Dsga), con parecchi anni di servizio alle spalle, dell’Istituto Bovio - Mazzini di Canosa di Puglia (provincia di Barletta, Andria, Trani), che l’anno scorso ha cessato di esistere ed è stata «non solo accorpata a un’altra scuola ma anche sembrata in due: infanzia e primaria in un istituto, medie in un altro. Quando ci sono queste soppressioni, è vero che fisicamente le sedi restano ma si perde la direzione, “la bussola”».
Come racconta Carbone, infatti, quando più plessi vengono accorpati in un unico istituto, a perdersi non è solo la parte apicale: «Dirigente scolastico e direttore amministrativo sono persone singole. Non possono essere fisicamente in più luoghi contemporaneamente e quindi mantenere lo stesso controllo su sedi diverse. Ma diminuisce anche il personale di segreteria, visto che questa diventa unica. E soprattutto si affievolisce l’identità dell’istituto. La capacità della scuola di essere integrata nel territorio e centro di una comunità educante. Per non parlare della miriade di problemi amministrativi che si generano», aggiunge la Dsga, oggi ricollocata in un nuovo istituto, mentre un grosso sospiro interrompe il fiume di parole di chi tiene al proprio lavoro ma è stremato dalle sfide quotidiane.
«Si perde di vista la cura dei ragazzi. Quello che, invece, dovrebbe essere l’obiettivo della scuola. Viene meno la serenità sul posto di lavoro e siamo oberati dalle scadenze e dalla burocrazia. Faccio un esempio, per rendere l’idea della confusione che cerchiamo di arginare ogni giorno: i progetti Pnrr». Carbone spiega che la scuola di cui era Dsga aveva avviato corsi di formazione per professori, di approfondimento per gli allievi, comprato attrezzature grazie ai fondi del Piano, «ma quando il mio ex istituto ha smesso di esistere è stato molto complesso suddividere le risorse tra le nuove scuole in cui è stato smembrato. Ancora oggi nel tempo libero, gratuitamente, passo pomeriggi ad aiutare le vecchie colleghe per evitare che i soldi vadano sprecati».
Risparmiare sull’istruzione
Quello dei fondi Pnrr è solo un esempio dei problemi causati da un dimensionamento pensato come un’operazione numerica, strutturata sul risparmio, anziché come una riorganizzazione della rete per migliorarne il funzionamento. Come racconta Ivana Barbacci, segretaria generale Cisl scuola: «Oltre alla perdita di posti di lavoro, succede che le scuole si stiano trasformando in oggetto del contendere tra le parti politiche. Abbiamo visto molti Comuni lottare per mantenere attiva un’autonomia scolastica a discapito dei territori limitrofi. Non per l’interesse della collettività, ma per non perdere consensi», dice la sindacalista.
E infatti in tutta Italia, ma specialmente al sud, si moltiplicano le proteste sul territorio contro il dimensionamento. «Noi invece siamo preoccupati per la riorganizzazione nel suo complesso. Non sono stati utilizzati modelli funzionali alla valorizzazione delle scuole», dice la segretaria generale Cisl.
Spetta alle Regioni strutturare i piani di dimensionamento su criteri stabiliti a livello nazionale, come la media degli allievi iscritti a ogni scuola, che non può essere inferiore a 961, in base al numero totale degli studenti sul territorio. E anche in base al tipo di territorio.
Ma Barbacci spiega che le Regioni sono ancora in impasse a pochi giorni dalla scadenza di fine anno per approvare l’ organizzazione della nuova rete scolastica: «In particolare quelle del sud. Che per tanti anni hanno mantenuto in vita scuole con un numero molto basso di iscritti e adesso si trovano a doverne tagliare fino 50-60 in poco tempo. Molte regioni non riescono a trovare la quadra, perché si tratta di un sacrificio importante per le comunità. Quindi o chiederanno deroghe al governo o il ministro nominerà un commissario ad acta per far rispettare la norma».
A dimostrazione dei problemi a cui può portare la frammentazione della gestione del sistema scolastico, proprio come l’autonomia differenziata farebbe diventare prassi. E senza pensare che pur di risparmiare grazie ai tagli all’istruzione pubblica non si dimensiona solo la rete scolastica ma anche il futuro dell’Italia.
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