Il racconto di Nina Brauch, volontaria a bordo dell’imbarcazione della Ong tedesca Sea Watch, sequestrata e bloccata da mesi nel porto di Palermo: «Essere a bordo rende davvero insopportabile l’idea che questa nave, pronta a operare, non possa farlo»
Quando ho visto che Sea-Watch cercava dei volontari, ho colto subito l’opportunità e sono venuta a Palermo da Berlino. Da quando sono arrivata, il giorno dell’Epifania, do una mano coi lavori di manutenzione e domani farò il mio primo turno di guardia notturno.
Prima di salire a bordo avevo costantemente l’impressione di non fare abbastanza. Poi, una volta arrivata, mi sono resa conto di quanto fosse veramente frustrante non poter lasciare il porto.
Noi continuiamo a lavorare perché la nave possa partire appena le sarà consentito, ma si ha la sensazione che tutte queste energie vadano perse. È come preparare una torta dietro l’altra e lasciarle andare a male nella dispensa pur sapendo che in tanti sono affamati e vorrebbero mangiarle.
Prosegue la pubblicazione del “Diario di bordo” dalla Sea Watch 4, la nave dell’omonima Ong tedesca che presta soccorso ai migranti. Per leggere tutte le puntate, a mano a mano che saranno pubblicate, si può tenere d’occhio questa pagina.
Finalmente mi trovo esattamente nel posto in cui voglio essere: su questa nave, dove posso veramente dare un aiuto concreto e diretto. Quando ho visto che Sea-Watch cercava dei volontari che lavorassero a bordo, ho colto subito questa opportunità e sono venuta a Palermo da Berlino.
Da quando sono arrivata, il giorno dell’Epifania, do una mano coi lavori di manutenzione, scrosto la ruggine, dipingo, mi occupo di piccole riparazioni e domani farò il mio primo turno di guardia notturno. Sono emozionata all’idea e ho già pensato a come tenermi sveglia: scriverò, forse inizierò un diario di questa esperienza.
In Germania studio letteratura e politica all’università e scrivere è la mia passione. Da quando sono salita a bordo, però, la sera non ho la forza di prendere in mano carta e penna, per la stanchezza ma anche perché, spesso, a fine giornata, le mani mi fanno talmente male che non riesco a usarle. Non ero abituata a svolgere lavori manuali.
Oltre che una studentessa sono anche un’attivista e ho iniziato ad appassionarmi alla causa dei rifugiati che cercano di raggiungere l’Europa durante la crisi del 2015. A Berlino partecipo regolarmente a manifestazioni di protesta, quando posso faccio delle donazioni e cerco di parlare il più possibile di queste questioni a familiari e amici, per tenere viva l’attenzione.
Ho persino contribuito a scrivere un’opera teatrale per un gruppo di giovani rifugiati siriani arrivati come minori non accompagnati, che l’hanno inscenata e portata in giro per i teatri tedeschi. Tutto questo, però, non mi bastava più. Prima di salire a bordo avevo costantemente l’impressione di non fare abbastanza.
Poi, una volta arrivata, mi sono resa conto di quanto fosse veramente frustrante non poter lasciare il porto. Ovviamente anche prima di essere qui ero convinta, come tutti coloro che credono nei soccorsi in mare, che Sea-Watch4 dovesse tornare subito a salvare vite. Essere a bordo però rende davvero insopportabile l’idea che questa nave, pronta a operare, non possa farlo.
Noi continuiamo a lavorare perché possa partire appena le sarà consentito, ma si ha la sensazione che tutte queste energie vadano perse. È come preparare una torta dietro l’altra e lasciarle andare a male nella dispensa pur sapendo che in tanti sono affamati e vorrebbero mangiarle.
La nostra presenza in mare è necessaria e noi vogliamo intervenire, ma non possiamo. Io resterò a bordo un mese. Ho riflettuto molto sulla possibilità di lavorare a bordo durante le missioni. Mi piacerebbe, anche se non è una decisione che prenderei con leggerezza. Trovarsi sulla nave durante i soccorsi comporta una responsabilità enorme e un carico psicologico che bisogna essere sicuri di poter sopportare.
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