- Dopo l’acquisto del Cesena da parte della JRL Investment Partners LLC sono undici i club italiani che hanno una proprietà nordamericana.
- Quasi nulla si sa del gruppo che ha acquisito il club romagnolo e delle sue finalità. Dalle scarne notizie ricavabili via internet emerge un consolidato programma di scambio internazionale formativo per giovani calciatori.
- Il momento di decadenza del calcio italiano è un suo punto di forza in termini di appetibilità da parte degli investitori. Si può comprare a prezzo di realizzo un brand tuttora rispettato all’estero. Ma la crisi dell’imprenditoria calcistica nazionale pare irreversibile.
L’ultima della lista è il Cesena. Una società che appartiene alla nobiltà della provincia calcistica italiana. Appena riemersa dall’umiliazione della cancellazione dalla mappa del calcio nazionale avvenuta nell’estate 2018 a causa di una situazione economico-finanziaria diventata insostenibile (e del meccanismo di plusvalenze incrociate messo su col Chievo e altri club), e che adesso si vede schiudere una prospettiva di internazionalizzazione tutta da decifrare.
Il club romagnolo è stato infatti acquisito da un soggetto denominato JRL Investment Partners LLC, i cui personaggi visibili sono Robert Lewis e John Aiello. Col loro arrivo sono 11 le società calcistiche italiane acquisite da proprietà nordamericane, prevalentemente statunitensi.
Un fenomeno da analizzare con attenzione, anche per evitare facili generalizzazioni. Tanto più che, se si guarda ai diversi soggetti che compongono la lista, si scopre una grande diversità di profili. Saranno tutti “americani”, ma si portano dietro storie ben distinguibili e magari finalità molto diverse. Rimangono sullo sfondo due interrogativi, uno di portata generale e uno specificamente relativo al Cesena. Il primo: come mai i capitali nordamericani puntano così decisamente sul calcio italiano? Il secondo: per quale motivo un gruppo statunitense investe su una società italiana di Serie C?
L’Erasmus calcistico
Per quanto riguarda gli ultimi arrivati l’operazione, al momento, ha contorni molto vaghi. Attualmente sappiamo soltanto di una società che si chiama JRL e di due professionisti che si sono presentati ufficialmente come nuovi proprietari del club romagnolo. Alle spalle di Lewis e Aiello si muoverebbero ulteriori investitori. Altro non è dato sapere.
Tanto più che online si riesce a fatica a trovare notizie sui soggetti in questione. Un sito di JRL Group è rintracciabile soltanto dopo avere scartato numerose pagine web che rimandano all’omonimo colosso britannico dell’edilizia con sede a Borehamwood, nell’Hertfordshire.
E quando finalmente la ricerca produce un risultato, non si va oltre le due pagine web di una società denominata “Crossing Bay Partners LLC”, di cui JRL sarebbe un “corporate facilitator”. Nella homepage si legge, fra le altre cose, che il portafoglio di clienti di JRL comprende società operanti in settori diversi: dallo sviluppo immobiliare ai servizi assicurativi, dal segmento “oil & gas” all’aviazione.
Nell’altra pagina del sito di Crossing Bay, sotto il titolo “Meet the team”, si trova una foto, corredata da breve nota biografica, dell’avvocato Robert Lewis. Vi si racconta della sua esperienza in materia di diritto della navigazione e del fatto che parli fluentemente l’italiano.
Sul web è disponibile anche un suo profilo Linkedin, dal quale si ricava un elemento interessante. A titolo volontario l’avvocato Lewis risulta infatti presidente dell’Italian Soccer Training Exchange Program (Istep), un soggetto che si occupa di scambio studentesco praticato attraverso accademie calcistiche, con sede legale presso lo stato di New York e sede fisica a Sacramento, California.
Una scheda dell’Istep presente online informa che fra le figure di riferimento dell’organizzazione vi è l’avvocato M. Jeffrey Rosenblum, cioè l’altro professionista di cui vengono inserite foto e scheda nella pagina “Meet the team” di Crossing Bay.
Avvocato penalista, ma esperto anche nel ramo immobiliare, Rosenblum collabora col socio nella gestione di Istep che, come si legge nella scheda Linkedin di Lewis, si occupa di «programmi internazionali di scambio calcistico giovanile e programmi di sviluppo annuale condotti a New York con allenatori italiani dotati di certificato professionale Uefa». Viene precisato che l’Istep è affiliato con «diversi club professionistici di Serie A, inclusi AC Milan e Genoa CFC». Che forse soltanto per caso sono altre due società passate sotto una proprietà americana.
Il frammento di testo si conclude con un rimando a un sito il cui indirizzo è www.istepusa.com, che tuttavia risulta irraggiungibile. Parrebbe dunque una sorta di Erasmus calcistico, ma forse c’è anche dell’altro. Per esempio, un’operazione che consentirebbe anche la circolazione di giovani calciatori Usa in direzione Italia o Europa. Qualcosa di simile all’esperimento provato da una proprietà statunitense in Danimarca con l’Helsingør.
Acquisito nel 2019 da una compagine Usa rappresentata dal nuovo presidente Jordan Gardner (a sua volta azionista anche del Dundalk in Irlanda e dei gallesi dello Swansea che militano nei campionati professionistici inglesi), il club della cittadina danese è stato messo al centro di un’operazione orientata a “sviluppare” giovani calciatori Usa nel più competitivo spazio europeo.
Un piano che invero, dopo una partenza piuttosto decisa, non sembra essere andato molto avanti. Ma che comunque apre uno scenario su una modalità d’investimento e su un metodo per la costruzione di una relazione fra i capitali statunitensi e il calcio europeo.
Un mondo vario
Può essere questo il senso dell’investimento nel Cesena da parte di JRL? L’interrogativo è destinato a rimanere aperto, anche perché se si viaggia sul web alla ricerca della versione Usa sulla notizia dell’acquisizione del Cesena si trova nient’altro che le versioni circolate attraverso i media italiani, tradotte in inglese.
Il tempo dirà. Per il momento rimane da registrare che la coppia formata da Lewis e Aiello (a proposito, di quest’ultimo nessuna traccia nel sito di Crossing Bay) si aggiunge alle 10 proprietà nordamericane di club italiani.
In Serie A sono ben 7 su 20: Bologna (Joey Saputo, Canada), Fiorentina (Rocco Commisso, Usa), Genoa (777 Partners, Usa), Milan (Elliott Fund Management, Usa), Roma (Dan Freidkin, Usa, succeduto al connazionale James Pallotta), Spezia (Robert Platek, Usa) e Venezia (Duncan Niederauer, Usa, succeduto al connazionale Joe Tacopina).
A queste vanno aggiunte 3 società di Serie B: Parma (Krause Group, Usa), Pisa (Alexander Knaster, finanziere russo naturalizzato statunitense, con business radicati a Londra) e Spal (il già menzionato avvocato Joe Tacopina).
Nei mesi scorsi si era parlato di un interessamento di un gruppo Usa, North Six, per l’Ascoli. Ma non se ne è avuto più notizia. Con l’acquisizione del Cesena si registra il dato inedito di una proprietà Usa che si spinge fino in terza serie. E rimane l’interrogativo: come mai tanto interesse degli investitori nordamericani per il calcio italiano?
Le risposte possono essere molteplici. In primo luogo c’è che l’interessamento riguarda il calcio europeo nel suo complesso, poiché di investitori americani operano anche in altri paesi del continente e indipendentemente dalla qualità tecnica e mediatica dei campionati nazionali.
Nello specifico del caso italiano, un punto di grande attrazione è l’estrema convenienza di comprare un pezzo della tradizione calcistica europea a prezzi di assoluto realizzo. Il calcio italiano è stato grande e all’estero continua a essere guardato con massimo rispetto, nonostante la fase di accentuata decadenza.
Ma proprio quest’ultima rende possibile acquisire club di qualsiasi taglia con investimenti molto relativi, certo meno impegnativi di quanto servirebbe per acquisire un club inglese o spagnolo (quelli tedeschi sono irraggiungibili causa norme protettive sugli investimenti dall’estero mentre, rimanendo nell’ambito delle 5 maggiori leghe europee, quelli francesi sono altrettanto economici ma meno competitivi sul piano dell’immagine).
Poi ciascun investitore nordamericano giunge con una mentalità diversa. Ci sono quelli che adottano uno schema tipico delle proprietà nordamericane che è quello della multiproprietà: Saputo è proprietario del CF Montréal, franchigia MLS, i Platek controllano il Sonderjyske in Danimarca e il Casa Pia in Portogallo.
Anche 777 Partners ha provato questa via, ma l’esperimento di Siviglia è andato malissimo. Resta il fatto che vedere un così accentuato shopping di club italiani è un altro segno di decadenza. Chiamiamola pure attrattività internazionale del calcio italiano. Ma il suo rovescio è la morte di un’imprenditorialità calcistica autoctona.
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