- La drastica riduzione dell’afflusso sugli spalti ha provocato l’ennesima lamentazione da parte della Lega, che denuncia uno stato di particolare difficoltà da parte di molti club e per questo chiede misure speciali.
- Ma l’assenza di spettatori negli stadi è una costante del nostro calcio e colpisce soltanto alcune società. I tassi di riempimento degli impianti nella prima patte della stagione (e tenendo conto delle limitazioni) sono stati generalmente deludenti.
- Inoltre il nostro calcio continua a essere fra i principali spenditori sui mercati esteri. E la difficoltà a vendere i diritti televisivi in medio oriente e nord Africa dà un ulteriore segnale negativo.
Pronti a gettare la spugna. Hanno fatto scrivere veramente questa cosa qui, con linguaggio così poco istituzionale, i presidenti delle società di Serie A. E per agitare una minaccia che mette paura soltanto a loro medesimi hanno mandato in avanscoperta Paolo Dal Pino, presidente senza portafoglio di un consesso formato per massima parte da alacri produttori di debito.
E dunque nel pomeriggio di giovedì la la Lega di Serie A, la cosiddetta Confindustria del calcio italiano, ha lasciato che il suo numero uno si esibisse in una performance delle pubblica doglianza, conseguenza dei provvedimenti governativi che hanno nuovamente ristretto la quota di presenze negli stadi a causa del diffondersi di Omicron.
Tetto a 5mila spettatori, un bel manrovescio per il mondo del calcio che già tollerava malamente la quota del 50 per cento e che dopo l’innalzamento al 75 per cento si sentiva ancora vessato per non essersi visto concedere il liberi tutti. Un danno economico ritenuto insopportabile, che si aggiunge a quelli già stratificati durante le due precedenti stagioni calcistiche attraversate dal Covid. Quanto basta per cogliere al volo l’occasione di battere cassa.
La missiva
Sicché al povero Dal Pino è toccato pronunciarsi per esprimere il disappunto della sua base. In fondo è pagato anche per metterci la faccia, specie quando bisogna mostrarla tosta il giusto. Il presidente ha dovuto mettere la firma in calce a una lettera dai cui contenuti forse si stava già dissociando mentre in stringa si componevano sullo schermo del pc.
E il senso della missiva, di cui ha dato pubblicazione in ampi stralci il sito Calcio e Finanza, è sempre quello: richiesta di “aiuti concreti”. Una richiesta inserita anche nella parte finale dove si fa ricorso massiccio a un linguaggio da cronisti di provincia anni Ottanta: con quel riferimento alle «nostre società che sono al lumicino (sic) della resistenza gestionale» e per questo «rischiano di gettare la spugna».
Secchio bucato
Ora, passi per lo stile retorico un po’ vintage, per non dire inattuale, che in fondo scalda un po’ il cuore e accende nostalgie inattese Però qualche incoerenza bisogna pur segnalarla. Perché nei rapporti su benchmarking che l’Uefa pubblica annualmente si ricava che l’incidenza del botteghino sulla struttura di business delle società di Serie A non si spinge mai oltre il 12 per cento.
E inoltre le analisi sul tasso di riempimento degli stadi in questo primo scorcio di stagione (e pur tenendo delle limitazioni di capienza) hanno fatto segnare dati molto deludenti sia pure con le eccezioni del caso.
Un’interessante elaborazione del sito Team Kickest rileva la straordinaria performance dello Spezia (95 per cento) e segnala che le milanesi e la Roma oltrepassano il tetto del 80 per cento (nel caso dell’Inter ci si approssima a quello del 90 per cento). Ma da lì in poi i numeri cominciano a impoverire, fino a sprofondare col 46,9 per cento di riempimento nel caso del Genoa, 42,4 per cento per l’Empoli, 38,9 del Sassuolo e addirittura 30,9 della Sampdoria.
E dunque sarà anche vero che per alcune società è effettivamente un danno non avere pubblico sugli spalti. Ma ce ne sono pure altre per le quali poco cambierà. E in ogni caso non è certo a causa degli stadi deserti che la Serie A continua a presentare conti deficitari.
Perché è soprattutto quel continuare a spendere in acquisizione di calciatori (soprattutto all’estero), in salari e in intermediazioni a zavorrare i conti. La Serie A rimane un secchio bucato dal quale le risorse (in calo) escono sempre con facilità irrisoria.
Spendere tanto, vendere poco
Giusto nelle ore in cui Dal Pino pretendeva di terrorizzare il governo minacciando il getto della spugna, la Fifa pubblicava il Global Transfer Report 2021, il rapporto sui trasferimenti internazionali di calciatori avvenuti nello scorso anno solare. Risulta che l’Italia (con la Serie A a far da capofila) mantiene ben saldo il secondo posto dietro all’irraggiungibile Inghilterra ma davanti alle altre tre grandi leghe europee (Bundesliga tedesca, Liga Spagnola e Ligue 1 francese).
Diminuisce la cifra spesa, ma non in linea con quanto ci si aspetterebbe da un movimento che chiede “aiuti concreti” al governo nazionale.
Inoltre, nello stesso giorno in cui il suo presidente scriveva a Draghi la Lega di Serie A pubblicava in un comunicato gli esiti dell’ultima assemblea. In cui è stata data notizia dell’ennesimo fiasco relativamente alla vendita dei diritti televisivi nei paesi dell’area Mena. «Offerte non congrue» è l’imbarazzata formula usata nel comunicato. E diamo pure per scontato che almeno una ne sia arrivata.
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