In alcune zone di Agrigento l’acqua arriva ogni 20 giorni. A Poggio Fìorito bisogna invece attendere un mese e mezzo. E a San Cataldo i coltivatori cercano pozzi vecchi di secoli
Luoghi e numeri. Si potrebbe raccontare così questo viaggio nella Sicilia della siccità. Indicare un luogo e aggiungere un numero. Posti anche sconosciuti, quartieri.
Agrigento
Ad esempio Giardina Gallotti, periferia di Agrigento (città scelta quale “Capitale italiana della cultura” per il 2025). Il numero è 20. Cioè, i residenti devono aspettare 20 giorni, quasi tre settimane tra un turno dell’acqua e l’altro. Nell’arsura dei giorni di attesa c’è chi va a riempire i bidoni nelle poche fontanelle ancora funzionanti - mettendosi in fila già alle sei del mattino - chi insegue i signori delle autobotti, chi chiude casa e va via. A inizio agosto c’è stata una protesta pubblica per chiedere interventi immediati e reclamare un diritto semplice eppure complicatissimo: avere l’acqua.
Alla guida del “Cartello sociale” che organizza le proteste c’era anche un prete, don Mario Soce: «La situazione è diventata insostenibile», ha detto. Per questo don Sorce è stato oggetto di critiche anche pesanti, qualche consigliere comunale si è lamentato e lo ha invitato a stare al suo posto, «ma la Chiesa – è la replica del sacerdote – ha il compito di supportare la comunità, per migliorare le condizioni di vita dei cittadini, soprattutto in momenti come questi».
Poggio Fiorito è a secco
Altro luogo, altro numero. Il posto si chiama Poggio Fiorito. Un nome fiabesco. Il numero è 42. E avete capito bene: a Poggio Fiorito, frazione di Caltanissetta, l’acqua non arriva da un mese e mezzo: 42 giorni. Una piccola frazione, ci vivono circa 30 famiglie. Anche lì i cittadini, stremati, sono scesi in piazza. In tutta risposta hanno ottenuto un’autobotte che ha rifornito quattro famiglie con bambini.
Sergio Cirlinci, anima del quartiere e promotore della protesta, ha rinunciato alla sua, di autobotte, perché il giorno prima ne aveva chiamata una privata: «Adesso non contiamo più i giorni che mancano all’arrivo dell’acqua, ma quelli all’arrivo della prossima autobotte. Ed i turni sono settimanali» racconta. Il costo di un’autobotte, per chi può permettersela, era di 50 euro fino alla primavera scorsa Adesso è salito a 250 euro, per 8 mila litri di acqua.
Contadini rabdomanti
Poco fuori, a San Cataldo, il dramma dell’agricoltura si tocca con mano. Giuseppe Scarlata ha migliaia di ettari coltivati a grano: «È tutto rimasto nei campi – racconta – perché senza pioggia, dopo la semina le piante non sono cresciute». Anche le pecore e le capre sembrano sfinite, e i loro giri, per trovare un po’ di erba e di acqua, diventano sempre più lunghi. I pastori lo chiamano «il grande problema dell’acqua». Salendo su una piccola collina, qui nel centro della Sicilia, sotto un sole che non ha pietà, sembra di essere davanti ad un deserto brullo, una specie di Sahara non fotogenico, uno scherzo della natura, insomma.
Luca Cammarata, allevatore della zona, mostra un terreno nel quale, l’anno scorso, aveva raccolto trecento balle di fieno. Quest’anno, invece, neanche una. Dai consorzi irrigui l’acqua arriva ogni 10 - 20 giorni. Non si sa né quando, né la portata, ogni volta. I più esperti, allora, ricorrono a dei “pozzi di fortuna”. È la vecchia sapienza contadina. Sono dei pozzi antichissimi, costruiti secoli fa, e poi abbandonati.
Adesso, invece, i coltivatori li cercano per le vecchie “trazzere” come rabdomanti. Il problema non è trovarli, ma capire che tipo di acqua hanno al loro interno, perché molto spesso è contaminata e non utilizzabile.
Altro luogo, Ravanusa, provincia di Agrigento. Il numero è 21. Tre settimane piene. Adesso la speranza per gli abitanti è la nave cisterna della Marina Militare, arrivata al porto di Licata. L’hanno accolta tutti con una festa che non si ricordava dai tempi dello sbarco alleato, dell’operazione Husky. Ma è una festa che è durata poco. Alla Protezione Civile regionale hanno fatto due conti: ogni viaggio di una nave costa 50 mila euro, per una spesa di 43 euro a metro cubo. Un’enormità.
Per questo, la circolare è arrivata laconica: «In attesa di una doverosa verifica dei costi, il servizio è sospeso», decreta il capo della Protezione civile siciliana e coordinatore della cabina di regia per l’emergenza idrica, Salvo Cocina. E aggiunge: «Troveremo altre soluzioni». Si, ma quali?
La falda dei sogni
L’ultima speranza viene dalla scoperta di alcuni ricercatori: 17 miliardi metri cubi d’acqua. Sono nella più grande falda acquifera mai trovata in Sicilia. E’ stata individuata dai ricercatori dell’Ingv (l’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma) e delle università di Malta e di Roma 3. L’enorme falda acquifera si trova sotto i monti Iblei, a 800 metri di profondità.
La notizia da giorni fa il giro del web e dei social. In un mese si potrebbe scavare un pozzo, dicono gli esperti. Ma è proprio così? «Stiamo approfondendo l’argomento» dichiara Cocina. E aggiunge che in realtà c’è poco di nuovo nella scoperta: «Ho sentito diversi tecnici e docenti anche molto scettici e ricordo che di questa acqua fossile se ne parlava anche ai tempi della siccità del 2002».
I punti critici? «La salinità dell’acqua, che aumenta con la profondità, i costi di perforazione e i costi energetici per il sollevamento». Insomma, non è tutto così facile: l’acqua fossile può essere non buona, ed il suo trasporto potrebbe rende infattibile tecnicamente ed economicamente l’operazione. Bisogna, di nuovo, inventarsi qualcos’altro. ©riproduzione riservata
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