Francesco Spano finisce nel mirino delle associazioni anti scelta che tirano fuori una vecchia storia su presunte irregolarità nei bandi dell’Unar smentite dagli accertamenti della Corte dei Conti. Nello stesso giorno i carabinieri acquisiscono materiale al ministero per conto dei magistrati che indagano sul caso Boccia
È prima di tutto una storia politica di omofobia istituzionalizzata, quella che alimenta le polemiche feroci dopo la scelta del ministro della Cultura Alessandro Giuli, di nominare a capo di gabinetto Francesco Spano, accusato dall’associazione anti-diritti Pro-Vita di essere «militante Lgbt» nonché «l’ex direttore dell’Unar che finanziò con 55mila euro un’associazione Lgbt+ che praticava prostituzione e scambismo».
Una storia di omofobia e fake news. Spano non è mai stato un attivista ma è semplicemente una persona gay. Di provata fede cattolica, unito civilmente: «Giuli prega gli dei, Spano segue la messa in latino», è la battuta che corre nelle stanze del ministero.
Ma non solo: Spano non ha mai finanziato nessuna associazione Lgbt+ quando ricopriva il ruolo di direttore del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del consiglio. Non risulta nessun addebito dalla magistratura, nessuna irregolarità nei bandi come dimostrò nel 2018 la Corte dei Conti. In filigrana la polemica rivela la debolezza del Governo Meloni con una parte fondamentalista cattolica riottosa, assorbita negli ultimi anni da Fratelli d’Italia, che spinge per dettare non solo l’agenda ma anche le nomine della destra post-fascista.
«Sono ingestibili», si sfoga un alto dirigente di Fdi sotto garanzia, ovvio, di anonimato. La maionese è impazzita, ciascuno deve marcare le differenze dal vicino di posto, le identità elettorali chiedono il conto. Negli ultimi giorni ad accogliere le rimostranze dei gruppi anti-diritti sono state "vecchie conoscenze": la ministra della Famiglia Eugenia Roccella e la senatrice Lavinia Mennuni, autrice insieme proprio ai gruppi Pro-Vita di proposte di legge come quella di rendere obbligatorio il presepe nelle scuole o i cimiteri per i feti abortiti.
Il caso Anddos
Nel mirino il neo capo di gabinetto quarantasettenne, già segretario generale della fondazione MAXXI dai tempi della presidenza di Giovanna Melandri, poi con Giuli. Ha ricoperto il ruolo di docente universitario al Master in Culture e mediazione dell’università La Sapienza di Roma e in quello in Gestione dei conflitti interculturali dell’università di Pisa. È stato inoltre coordinatore della Consulta giovanile nazionale per il pluralismo religioso e culturale, istituita nel 2007 dall’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato, del quale è stato collaboratore.
Nel 2016 arriva alla guida dell'Ufficio nazionale antidiscriminazione. Il 19 febbraio del 2017 il programma televisivo “Le Iene” lo accusa di aver usato il suo ruolo per avvantaggiare un’associazione di cui era socio, Anddos. Il servizio non esita a dileggiare Spano con parole allusive, dai commenti sul colore del cappotto fino all’outing, per insinuare che i finanziamenti venissero spesi dall’associazione per alimentare la prostituzione: 55mila euro destinati ai circoli ricreativi dell’Anddoss, saune e discoteche.
Ma l’Unar non finanziava associazioni ma progetti contro le discriminazioni. Anddos ne aveva presentato uno finalizzato a sostenere delle strutture di ascolto e antiviolenza per le vittime di omotransfobia. Il bando era stato bloccato per fare verifiche di fronte allo scandalo mediatico. Per evitare lo stallo verso altre realtà associative, Anddos rinunciò al finanziamento. Nel 2018 la Corte dei Conti ha confermato la correttezza del bando. La storia per una parte di Fdi ha oggi anche l’effetto di un diversivo, affinché tutti abbiano qualcosa da dire mentre altrove qualcos’altro accade.
I carabinieri al ministero
Non solo il nuovo capo di gabinetto. Il neo ministro Giuli, in tarda mattinata, ha aperto le porte del dicastero di via del Collegio Romano anche ai carabinieri inviati dalla procura capitolina per ritirare documenti relativi all’affaire Boccia-Sangiuliano. Di che atti si tratti non è al momento dato sapere. Ma la «massima collaborazione» è stata garantita dal capo del Mic, alle prese con un’altra “incombenza” lasciata in eredità dal suo predecessore.
La coincidenza ha voluto che gli atti in questione siano stati ritirati dagli uomini dell’Arma proprio nel giorno del passaggio di consegne tra i capi di gabinetto. Ma appunto si tratterebbe di una mera coincidenza. Al massimo di una suggestione. Del resto, come ipotizza il legale di Gennaro Sangiuliano Silverio Sica, non è escluso che il ritiro della mole di documenti da parte dei carabinieri del nucleo investigativo di Roma, ora al vaglio degli inquirenti, sia «naturale attività, derivante dall’esposto del parlamentare di Avs Angelo Bonelli». Il deputato di Alleanza Verdi Sinistra infatti presentò nei mesi scorsi un esposto contro l’ex ministro e Boccia per via della vicenda riguardante proprio la "consulente fantasma”, invitando la procura a «compiere tutte le legittime indagini e valutare l’eventuale rilevanza penale». Un invito insomma a «perseguire i soggetti che dovessero risultare responsabili per i delitti di peculato, per distrazione e rivelazioni di segreto d’ufficio».
Non è detto però che il ritiro dei documenti non sia legato all’altra denuncia, quella presentata da Sangiuliano contro Boccia e su cui sono al lavoro i pubblici ministeri Giuseppe Cascini e Giulia Guccione. «Anche noi nel nostro esposto – rileva infine l’avvocato Sica – facciamo riferimento a documenti del Mic. Per cui l’unico fatto certo in questa storia – conclude il legale dell’ex ministro – è che il mio assistito non teme nulla. E non teme nulla da sempre».
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