Per alcuni sono degli “infami”, per altri dei poveri ragazzi e ragazze con una grande resistenza nel sopportare, senza reagire, insulti e male parole. Per altri ancora sono la soluzione allo smarrimento che si prova all’interno dei grandi impianti calcistici, quando non si trova il posto segnato sul proprio biglietto. Indossano casacche fluorescenti di colore giallo o arancione, a seconda del loro “grado”, il che li rende riconoscibili tra decine di migliaia di persone.

Gli steward sono le prime persone che accolgono i tifosi negli stadi e assicurano, sotto gli occhi delle forze dell’ordine, le attività di prefiltraggio, filtraggio e instradamento dei sostenitori. Ci sono sempre: con temperature torride o glaciali, sia nelle giornate di sole che in quelle di alluvione. Lavorano almeno otto ore a partita, per una paga misera che in media si aggira dai 20 ai 45 euro a giornata: la cifra cambia a seconda dello stadio, della categoria e della squadra di calcio e aumenta leggermente se prestano servizio in “trasferta”, seguendo la squadra per la quale lavorano.

Spesso hanno il viso “imbronciato” e alla maggior parte di loro subentra semplicemente la noia dopo aver trascorso lunghe ore in piedi. Uno stato d’animo opposto all’eccitazione dei tifosi. Neanche i cori da stadio, le coreografie o le esplosioni di gioia dopo che la palla entra in rete riesce a smuovere alcuni di loro.

Meno amara è la giornata di lavoro per gli steward che si trovano a fare il servizio d’ordine durante le partite della propria squadra del cuore. Marco, 34 anni, è uno di loro. Fino a poco tempo si ritrovava con i suoi amici in Curva sud a tifare per l’As Roma. «Un tempo sono stato anche abbonato», dice accennando un sorriso, mentre apre un cancello ai sanitari scesi in fretta da un’ambulanza. 

«Sto qui dalle cinque del pomeriggio. Anche se la partita inizia alle 20:45 dobbiamo presentarci prima, per fare la bonifica. Senza contare che i cancelli sono aperti dalle 18, quindi c’è chi inizia presto a controllare i biglietti dei tifosi», racconta. Per bonifica si intende il giro di perlustrazione dentro e fuori lo stadio per raccogliere eventuali oggetti trovati in giro, segnalare seggiolini rotti e verificare che sia tutto nella norma.

Mentre parla i suoi occhi puntano oltre una fessura laterale del cancello che ha appena chiuso. «Scusami se guardo lì ogni tanto, ma un tifoso si è sentito male. Aveva continui svenimenti e abbiamo dovuto chiamare l’ambulanza», spiega senza nascondere i sensi di colpa. «Noi qui siamo dei semplici intermediari, non possiamo fare nulla. Se vediamo qualcuno scavalcare un settore o se partono le botte tra tifosi non possiamo intervenire assolutamente».

Marco fa lo steward come secondo lavoro. Lo fa per arrotondare lo stipendio garantito da un posto fisso nel settore della grande distribuzione organizzata, ma anche nella speranza di vedere ogni tanto la sua squadra del cuore. Prima di indossare la casacca fluorescente ha dovuto seguire dei corsi di formazioni di psicologia, di primo soccorso e antincendio. 

È stato assunto dalla Winch, una delle società più grandi del settore, alla quale l’As Roma si affida per il reclutamento e l’impiego degli steward. «Io rispondo a chiamata, non sono obbligato a venire se un giorno non posso. Spero anche di partecipare come steward a qualche concerto». Online sono tanti gli annunci anche di altre società, come Manpower o Ranstad, per lavorare negli stadi di Torino e Milano.  

Abusi e violenze

ANSA

La figura degli steward è stata introdotta in Italia per la prima volta con un decreto del ministero dell’Interno nell’agosto del 2007, come misura di contrasto ai disordini negli stadi. Quel decreto venne firmato sei mesi dopo la morte dell’ispettore capo della polizia Filippo Raciti, avvenuta a margine del derby siciliano tra Palermo e Catania durante gli scontri tra le forze dell’ordine e gli ultrà catanesi.

A diciassette anni di distanza gli steward sono delle sentinelle con funzioni deterrenti, ma nulla possono fare per arginare gli scontri tra tifosi. Alcuni di loro non sono neanche autorizzati a eseguire le perquisizioni, chi lo fa non può mettere le mani in tasca ai tifosi, ma soltanto palparli con il dorso delle mani.

Il settore più difficile da gestire è quello in cui trovano posto le squadre ospiti, sia italiane che straniere. Chi è impiegato qui a fare da cordone di sicurezza – oltre a rimanere dentro lo stadio oltre la mezzanotte, visto che i tifosi ospiti vengono fatti uscire per ultimi dagli spalti – viene spesso spinto e trascinato via da chi, al goal, corre verso le barriere di vetro per esultare in faccia ai tifosi avversari.

In alcuni casi si ritrovano nel bel mezzo del lancio di torce, petardi e fumogeni tra tifoserie. Nei peggiori, invece, sono vittime di abusi psicologici o violenze fisiche. Come accaduto nell’ottobre del 2023, quando alcuni tifosi dello Slavia Praga presenti all’Olimpico si sono scontrati con le forze dell’ordine intervenute per sedare alcuni tafferugli.

A rimetterci è stato anche uno steward, la cui pettorina gialla macchiata di sangue è stata esposta dagli ultrà cechi sopra il loro striscione. Nel 2021 un tifoso ha colpito un’operatrice con un pugno mentre cercava di forzare un cordone di sicurezza. Il tifoso è stato punito con il Daspo grazie alla nuova normativa introdotta nel 2010 che equipara la figura degli steward a pubblici ufficiali, un cavillo burocratico che permette di sanzionare con pene più severe chi viola la legge.

«È come essere un poliziotto di fronte a dei criminali», dice Marco. Estremizza il concetto, ma la metafora esplicita bene il sentimento che scorre da entrambe le parti. Tra steward si fanno man forza a vicenda. «Abbiamo un gruppo Whatsapp in cui condividiamo le nostre esperienze, anche quelle belle come quando durante all’ultimo derby mi trovavo in Curva Sud e mi sono abbracciato con i tifosi».

Ma sono più gli episodi negativi: «Alcuni colleghi sono stati aspettati fuori lo stadio e picchiati. Un conto è che se questo accade dentro, dove è pieno di telecamere. Fuori sei abbandonato a te stesso», racconta con rammarico. «Io comunque sono contento di quello che faccio. Ma è pure vero che so come comportarmi in uno stadio, è un ambiente che conosco bene. Per chi non è abituato è molto più difficile».

Paghe da fame

Michela ha 19 anni, un fisico esile, capelli castani e occhi chiari. Indossa una casacca arancione fluorescente con la scritta “staff” sul petto che le copre metà corpo. Il suo outfit indica l’appartenenza al livello più basso della “catena”. «Quelli vestiti come me hanno partecipato a poche partite. Siamo una sorta di tirocinanti», racconta in una risata. «Guadagno 36 euro a giornata, se lavorerò più partite mi danno la casacca gialla e sarò uno steward a tutti gli effetti. Allora sarò pagata 45 euro a evento», dice. 

Al momento studia Scienze politiche. «Qui a Roma sono fuori sede, visto che spesso le domeniche sono a casa ho pensato che così mi posso tenere impegnata e guadagnare qualcosina. Mi hanno detto che la Roma è la squadra che paga di più in Italia». 

In media all’Olimpico vengono impiegati circa 600-700 steward a partita, i numeri cambiano a seconda dell’affluenza prevista e del tipo di partita. A decidere il numero è il Gos, il gruppo operativo di sicurezza, che ha un ufficio in ogni stadio d’Italia e comunica le sue scelte tre giorni prima del calcio d’inizio.

Le hanno assegnato il controllo di un cancello laterale a due passi dalle scale che portano in Curva Nord. «Qui il massimo che devo fare è aprire alle forze dell’ordine, ai vigili del fuoco o alle ambulanze», dice mentre guarda lo sciame di tifosi salire la scalinata con le sciarpe giallorosse al collo. 

«Chi ha lavorato per la Lazio mi ha detto che pagano di meno e soprattutto sono molto disorganizzati. In una delle ultime partite, alcuni steward sono caduti nello stadio e si sono infortunati», racconta mentre in sottofondo i tifosi cantano l’inno Forza Roma di Lando Fiorini. Lo storico testo che ancora oggi risuona dalle casse dell’Olimpico e che accompagnò il secondo scudetto della squadra capitolina nella stagione 1982-1983.

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