Le decisioni al termine di una giornata di interrogatori. Il caposervizio ha confessato di aver inserito il forchettone alla cabina che si è schiantata provocando la morte di 14 persone. Il direttore d’esercizio e il gestore lo scaricano: «Scelta scellerata». Il giudice ribalta le indagini: «Il fermo dei tre uomini è stato eseguito al di fuori dei casi previsti dalla legge e per questo non può essere convalidato»
Al termine di una giornata di interrogatori di garanzia nel carcere di Verbania, è arrivata la decisione del gip Donatella Banci Buonamici su Gabriele Tadini, Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, rispettivamente caposervizio, gestore e direttore d’esercizio, per 90 ore in prigione perché ritenuti responsabili dalla procura di Verbania dell’incidente alla funivia del Mottarone, nel quale hanno perso la vita 14 persone. Il fermo dei tre, secondo la giudice, è stato «eseguito al di fuori dei casi previsti dalla legge e per questo non può essere convalidato». Per questo motivo, Nerini e Perocchio sono stati scarcerati e adesso sono liberi, mentre Tadini va ai domiciliari, come richiesto dal suo avvocato.
Abbonati a Domani: 1 euro per 3 mesi
Quest’ultimo infatti, durante l’interrogatorio, ha affermato che «lo sapevano tutti», riferendosi all’uso dei forchettoni sull’impianto per evitare i continui arresti e disservizi dei vagoni. Era un’azione che è stata compiuta più volte in passato per ovviare a problemi tecnici. Ma sarebbe stato proprio il forchettone a bloccare l’azione dei freni di emergenza che invece hanno funzionato per le altre cabine. Ma il direttore dell’esercizio, Perocchio, e il proprietario delle Ferrovie del Mottarone, Nerini, nei loro rispettivi interrogatori hanno scaricato la responsabilità su Tadini. «Non si è neanche reso conto di quello che è accaduto, è stata una giornata devastante - ha detto il suo legale - La questione del blocco frenante è colpa sua e su questo aspetto è indifendibile».
Perocchio, all’uscita dal carcere, ha invece detto di essersi «sentito morire quando mi hanno mosso quelle accuse. Per me che lavoro da 21 anni negli impianti a fune un'accusa del genere, quella di aver avallato la decisione di lasciare inseriti quei blocchi, che io stesso avevo chiesto di dipingere di rosso perché fossero visibili, non era accettabile. Il mio pensiero però va alle vittime, le porterò sempre nel mio cuore».
Le motivazioni del gip
Nelle 24 pagine di ordinanza con le quali non ha convalidato il fermo per i tre, la gip ha definito «scarne» le rivelazioni di Tadini, tuttavia ha reputato inesistente l’esigenza di misure cautelari in quanto «difettava il pericolo di fuga», nemmeno «tenendo conto dell'eccezionale clamore anche a livello mediatico nazionale e internazionale», anche perché Nerini si è presentato sul luogo dell’incidente poco dopo il disastro, come anche Perocchio che «aveva chiesto inutilmente di essere sentito».
Secondo la gip, la posizione del direttore di esercizio è ancora meno sospetta perché «è dipendente della Leitner, società che percepisce 127mila euro all'anno per la manutenzione: perché avrebbe dovuto avallare la scelta scellerata di Tadini? La Leitner aveva tutto da perdere dal malfunzionamento della funivia». Tutto ciò, si legge ancora nell’ordinanza, non cancella la loro iscrizione nel registro degli indagati. «È una valutazione del giudice, siamo alle fasi iniziali. Noi continueremo l'attività di indagine perché manca pur sempre il motivo per cui la fune si è rotta», ha detto la procuratrice capo di Verbania Olimpia Bossi.
Un dipendente: «L’ordine partì da Tadini»
La posizione di Tadini è aggravata anche da alcune dichiarazioni rilasciate da un dipendente della funivia del Mottarone, sentito nei giorni scorsi come teste dalla procura di Verbania. Secondo quanto riporta l’ordinanza del gip, infatti, l’uomo avrebbe dichiarato che «il caposervizio, Gabriele Tadini, era a conoscenza della presenza dei ceppi che evitano l'azionamento dell'impianto frenante ed è stato lui a ordinare di metterli. L'installazione di questi ceppi è avvenuta già dall'inizio della stagione di quest'anno, esattamente il 26 aprile».
«Vi era infatti – ha continuato il dipendente – un problema all'impianto frenante della cabina numero 3, per cui era stato richiesto l'intervento di una ditta specializzata, che però non aveva risolto il problema. Tadini, nonostante ciò, ha ordinato di far funzionare l'impianto con i ceppi inseriti anche se non erano garantite le condizioni di sicurezza necessarie».
Tadini: «Ho messo io il blocco al freno»
«Ho chiesto i domiciliari perché hanno l’adeguatezza per contenere eventuali rischi. Ho chiesto solo i domiciliari, non la libertà. Ho contestato le esigenze cautelari della procura» ha detto il legale di Gabriele Tadini, Marcello Perillo, uscendo dal carcere di Verbania. Perillo ha anche aggiunto che il suo assistito si trova in uno stato di salute precario: «È distrutto, non mangia e non dorme» e che «non è un delinquente, non avrebbe mai fatto salire delle persone se avesse pensato a questa possibilità».
L’avvocato ha confermato che Tadini ha ammesso che i forchettoni venivano inseriti abitualmente. «Il problema di queste pompe di pressione era che il freno poteva far fermare la funivia a metà corsa, con un obbligo di intervento con il cestello» ha spiegato Perillo.
Perocchio: «Non sapevo dei forchettoni»
«È incredulo e inebetito» ha detto il legale di Enrico Perocchio ai giornalisti dopo l’udienza davanti al gip Donatella Banci Buonamici nel carcere di Verbania, che dovrà decidere se convalidare il fermo o meno. Perocchio è il direttore dell’esercizio. Per lui il legale Andrea Da Prato ha chiesto la scarcerazione, in quanto non era a conoscenza dei forchettoni. «Non ci sono le esigenze cautelari – ha spiegato il legale – non ci sono i presupposti e non c'erano nemmeno per il fermo. Ha fatto 90 km per recarsi alla caserma di Stresa». Da Prato ha aggiunto: «Ha una moglie e un figlio che lo aspettano e speriamo di poterglielo riportare oggi stesso».
La procura ha chiesto il carcere per tutti e tre per pericolo di fuga, di inquinamento probatorio e della reiterazione del reato. Secondo il procuratore Olimpia Bossi che coordina le indagini, dietro la scelta di inserire il forchettone alle cabine dell’impianto ci sarebbe una motivazione di tipo economico.
Nerini: «Non avevo interessi a non riparare l’impianto»
«La sicurezza non è affare dell'esercente. Non era lui a dover fermare la funivia perché sarebbe conflitto di interessi. Lo stato che è serio si è occupato di dire che della sicurezza si occupa un soggetto terzo»: lo ha detto l'avvocato Pasquale Pantano, legale di Luigi Nerini, gestore della funivia del Mottarone, dopo l’interrogatorio del suo assistito. Secondo il legale, Nerini avrebbe riferito di sapere che c'era stata una anomalia dell'impianto frenante ma non sapeva dell'uso dei forchettoni. «Il dato di fatto è che per legge chi si occupa di sicurezza dei viaggiatori sono caposervizio e direttore d'esercizio, non il gestore. Non c'è un conflitto di interessi, per favore non dite più che Nerini ha risparmiato sulla sicurezza. Nerini ha agito in piena trasparenza. Ha risposto e dato la sua versione dei fatti. Abbiamo dato indicazioni a nostro modo molto importanti su chi doveva fare cosa in questa società», ha aggiunto Pantano.
Il quasi risveglio di Eitan
Dall’ospedale Regina Margherita di Torino, intanto, fanno sapere che Eitan, il bambino di cinque anni l’unico rimasto sopravvissuto all’incidente è ancora in prognosi riservata ma ha iniziato il risveglio. Intanto, l’ex presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, ha proposto di consegnare la medaglia al valore al padre di Eitan che lo avrebbe protetto nello schianto. Per la giornata di domani, a una settimana dall’incidente, la regione Piemonte ha proclamato una giornata di lutto in tutto il territorio e di osservare un minuto di silenzio alle 12 in ricordo delle vittime della funivia del Mottarone.
Leggi anche:
-
Perdite, soldi pubblici e incuria cosa c’è dietro il disastro di Stresa
-
Quattro domande senza risposta sul disastro della funivia a Stresa
© Riproduzione riservata