Continua con la sua 28esima puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.


«I subappalti vengono registrati con determine dirigenziali, ma poi finiscono in un cassetto che viene aperto solo se sorge un problema o scatta un’indagine. Mentre tenere quei cassetti spalancati fin dall’inizio permette innanzitutto di capire chi di fatto eseguirà i lavori, dopo l’aggiudicazione di un appalto, e nel tempo si può ricostruire una mappa precisa dei rapporti tra aziende che operano nell'ambito dei lavori pubblici di un comune».

È il commento di Massimo Bugani, assessore alla Trasparenza e semplificazione amministrativa del comune di Bologna, che spiega quanto è difficile illuminare le zone d'ombra dove si intersecano le relazioni tra società che partecipano alla vita economica delle città.

Modello Bologna

Dal 1° aprile Bologna è la prima città italiana ad aver introdotto l'obbligo di pubblicare online sul proprio sito tutti i contratti di subappalto dei suoi fornitori.

Il modello Bologna promette garanzia di controllo diffuso e diretto da parte dei cittadini su tutta la procedura dell'assegnazione, certezza dei termini di fine lavori – ognuno, ad esempio, sarà in grado di verificare direttamente le scadenze sui contratti – automatizzazione dei procedimenti e snellimento delle pratiche. L'obiettivo è incidere direttamente su quella seconda linea dei rapporti tra privati, dove spesso si annidano le maggiori opacità nella gestione dei lavori pubblici.

L’idea di presentare la proposta in consiglio comunale (nel 2012 fu bocciata) nasce circa dieci anni fa dall'incontro di due consiglieri appena eletti, Massimo Bugani e Marco Piazza, con Ivan Cicconi, ex direttore di Itaca, l’Istituto per la trasparenza degli appalti e la compatibilità Ambientale, che di Piazza era anche lo zio.

Cicconi, che è stato un fine conoscitore dei sistemi di corruzione e penetrazione delle mafie nel settore delle infrastrutture e ha collaborato anche con Avviso Pubblico, sapeva che i subappalti possono essere gli angoli bui delle opere pubbliche, ovvero il più facile anello di congiunzione su cui si costruisce il rapporto tra l'economia legale e quella sommersa in mano alla criminalità organizzata.

Proprio in virtù di quella consuetudine burocratica incolpevole di tenere i cassetti chiusi, dove il “contratto derivato”, il subappalto, si mimetizza tra le scartoffie che si accumulano una sopra l'altra.

Il sistema

Come funziona il nuovo sistema bolognese? «A livello tecnico-amministrativo non è così complesso – spiega ancora Bugani –. Abbiamo costruito un form, che è stato assegnato a tutti i settori. E poi abbiamo sviluppato un piccolo corso di formazione per tutti i dipendenti che si occupano di appalti e subappalti, in cui viene spiegato come compilare il modello ogni volta che producono una determina.

L'operazione ha un basso costo per l'amministrazione ma produce un forte impatto, portando anche i settori meno digitalizzati a utilizzare questi schemi formali». 

«Quando viene richiesto l'inserimento di un subappalto, i tecnici possono compilare il modulo, identico per tutti, che poi viene pubblicato sul sito del comune in modo che sia ricercabile e indicizzabile dal motore di ricerca – gli fa eco Marco Piazza, collega di Bugani in Consiglio comunale –. In questo modo perfino i singoli elementi in pdf del testo della delibera saranno rintracciabili facilmente online».

Ad esempio, un'azienda con precedenti per lavoro nero che opera dall'altra parte d'Italia, e che ora gode anche di un contratto di subappalto a Bologna, sarà più facilmente individuabile con questo sistema, facendo scattare i relativi controlli.

«Per le associazioni antimafia, per le procure, per giornalisti impegnati in questo settore, sarà più facile fare collegamenti, avere tutto in trasparenza e unire tutti i puntini», prosegue Massimo Bugani. Quindi uno strumento utile non solo alle istituzioni, ma anche agli attori sociali sui territori. «Queste – prosegue Piazza – spesso vanno proprio a fare un lavoro di ricostruzione delle trame su cui si incrociano gli attori economici e gli interessi meno visibili. In questo modo è più facile e si alza il livello di trasparenza».

Un controllo dal basso, in stretta collaborazione con le istituzioni, senza necessariamente attendere il primo passo delle forze di polizia o quelle giudiziarie.

Dal 1° aprile sono visibili già quasi venti contratti sul sito del comune di Bologna. I dipartimenti coinvolti sono cinque: quattro contratti di manutenzione, quattro di gestione del bene pubblico, e poi mobilità sostenibile, infrastrutture, edilizia pubblica.

Una cifra destinata ad aumentare presto, considerando l'attività sostenuta di servizi e gare pubbliche di un comune come Bologna.

E poi ci sono i progetti legati al Pnrr, che attrarranno nel capoluogo dell'Emilia Romagna moltissime risorse che per le organizzazioni mafiose rappresentano grandi opportunità di infiltrazione nell'economia legale. E nei subappalti si nascondono i rischi maggiori. «La trasparenza e la pubblicazione dei dati, insieme alla collaborazione con le altre istituzioni e alle funzioni di controllo e vigilanza esercitate dalle associazioni antimafia e al Consiglio comunale che ha istituito una commissione ad hoc con il Presidente Maurizio Gaigher, rappresentano senz’altro uno strumento importante che potrebbe fungere da deterrente e contribuire a scoraggiare comportamenti illeciti», conclude l’assessora alla Legalità democratica e lotta alle mafie Luisa Guidone.

Il modello Bologna sulla trasparenza dei dati è destinato a crescere quanto più cresceranno i suoi ambiti di applicazione, ma soprattutto quanti più comuni adotteranno tale pratica. «È vero che il comune di Bologna fa degli appalti, ma tanti più appalti vengono fatte dalle sue partecipate. Pensiamo solo ai trasporti, con lo svuotamento dei parchimetri, la manutenzione degli autobus, la gestione della sosta», dice Marco Piazza che pensa già ad estendere l'obbligo anche alle controllate e alle partecipate del comune.

E infine c'è il tema dell'esportabilità della pratica in altri enti locali. «Ci hanno chiamato assessori e consiglieri da altri comuni – conclude Massimo Bugani –. È uno strumento che diventerà più forte se ci copieranno in tanti». Solo così – sono convinti a Palazzo d'Accursio – è possibile ridurre lo spazio di azione di movimenti non troppo puliti che si nascondono nell'ombra della seconda linea del subappalto.

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