- Quello tra diritti civili e vegetarianismo fu incontro non cercato, ma comunque riconosciuto e spesso celebrato dalle donne e dagli uomini che nel ventesimo secolo hanno combattuto per l’emancipazione femminile.
- Il vegetarianismo all’inizio del Novecento fu adottato come regime alimentare da quasi tutte le suffragette, anche in carcere. Ma le loro richieste non venivano accolte in caso di alimentazione forzata.
- L’etica del vegetarianismo era già allora un simbolo di pace che voleva denunciare i maltrattamenti a cui erano sottoposti altri essere viventi, qualcosa di molto simile alle battaglie che le suffragette portavano avanti instancabilmente contro chi le trattava come persone con minore dignità.
Il 12 ottobre 1909, quando Charlotte Marsh e Mary Leigh lanciarono delle tegole contro l’auto dell’allora primo ministro inglese durante un comizio a Birmingham, nel Regno Unito, non sapevano che sarebbero entrate nella storia.
Certo, il loro intento, da attiviste del movimento suffragista che si batteva per il diritto di voto alle donne, era di cambiarla, la storia. E al più presto, anche. Ma non immaginavano quello che sarebbe successo durante la loro detenzione nel carcere di Holloway.
Come spesso accadeva in quei tempi, infatti, una volta finite dietro le sbarre le due suffragette iniziarono lo sciopero della fame chiedendo di essere trattate come prigioniere politiche. Ma, invece di essere scarcerate per motivi di salute, furono le prime donne della storia a essere sottoposte ad alimentazione forzata in prigione, con metodi tanto brutali che molte delle persone che li subirono contrassero malattie durature e spesso fatali.
Anche se non era la prima volta che dei sostenitori del suffragio erano sottoposti ad alimentazione forzata, i media locali diedero ampio spazio alla questione. La Women’s social and politican union (il sindacato politico e sociale delle donne, detto anche Wspu), organizzò una colazione per accogliere Marsh e Leigh una volta uscite dal carcere, per quella che diventò una tradizione vera e propria in un ristorante vegetariano di Londra di proprietà di Eustace Miles, uno sportivo e salutista che da tempo sponsorizzava una dieta priva di carne.
Così, la Wspu diventò una presenza assidua nel ristorante di Miles, tanto che la Società vegetariana scrisse sulla sua rivista: «Un buon numero di dirigenti del movimento suffragista femminile è vegetariano. Le suffragette ormai, una volta uscite dal carcere di Holloway, fanno tutte colazione al ristorante di Miles».
Due battaglie parallele
Sul legame tra diritto di voto e vegetarianismo hanno scritto anche storiche del movimento suffragista come Lena Leheman, confermando come le due cause, dopo la scarcerazione di Marsh e Leigh, si sono costantemente incrociate e hanno iniziato a viaggiare sullo stesso binario. Un incontro non cercato, ma comunque riconosciuto e spesso celebrato dalle donne e dagli uomini che nel XX secolo hanno combattuto per l’emancipazione femminile.
Da allora, che una suffragetta frequentasse un ristorante vegetariano non era considerato strano. Soprattutto tra le file della Wspu, il vegetarianismo era una scelta diffusa, condivisa dalle suffragette provenienti dalle classi sociali più alte fino ad arrivare alle militanti della classe operaia. Il vegetarianismo fu adottato come regime alimentare anche in carcere: tra le detenute, molte scelsero questo tipo di dieta, ottenendo dei pasti speciali privi di carne.
Questo, però, non avveniva in caso di alimentazione forzata, come accadde all’aristocratica Constance Lytton: arrestata spacciandosi per la sarta di origini proletarie Jane Worton, chiese che fosse sostituito l’alimento a base di brodo di manzo che le somministravano attraverso un tubo, ma non glielo concessero e, secondo quando riferito dalla sua biografa, Lyndsey Jenkins, Lytton cominciò a vomitare dopo ogni tentativo di alimentazione forzata.
Questo spiega quanto fosse diventato importante il vegetarianismo per le donne che si battevano per il diritto di voto, al punto che rispetto alla loro scelta alimentare avevano un atteggiamento di sfida analogo a quello tenuto per le loro idee politiche quando si trovavano in carcere. In realtà il legame tra vegetarianismo e illuminismo sociale e politico esisteva da tempo. Solo non era così popolare e trasversale. Ma già alla fine dell’Ottocento tra socialisti e intellettuali radicali il vegetarianismo – che era un movimento ben radicato nella società inglese – suscitava un’attenzione particolare.
Del resto, l’etica del vegetarianismo era già allora un simbolo di pace che voleva denunciare i maltrattamenti a cui erano sottoposti altri essere viventi, qualcosa di molto simile alle battaglie che le suffragette portavano avanti instancabilmente contro chi le trattava come persone con minore dignità.
Movimento trasversale
Dopo il caso di Marsh e Leigh e le colazioni al ristorante di Miles per tutte le attiviste scarcerate, il vegetarianismo e la battaglia per i diritti delle donne iniziarono ad andare a braccetto, tanto che in tutto il Regno Unito si moltiplicarono eventi e cene per sostenere le libertà politiche delle donne in ristoranti che proponevano solo piatti privi di carne.
I ristoranti vegetariani diventarono tanto importanti per i sostenitori del suffragio femminile che perfino la Women’s freedom league (la Lega per la libertà delle donne, Wfl) finì per aprirne alcuni, dove organizzava eventi e raccoglieva fondi per la causa.
Anne Cobden-Sanderson era una delle suffragette più in vista allora. Partecipò in prima persona al cosiddetto venerdì nero del novembre 1910, quando una delegazione di suffragette fu aggredita pesantemente dalla polizia mentre cercava di avvicinarsi al parlamento, e fu un’importante affiliata della National food reform association, fondata a Londra.
C’era anche lei all’incontro da cui nacque l’associazione e in quello stesso anno pubblicò How I became a vegetarian (Come sono diventata vegetariana), stampato dalle edizioni Doves fondate da suo marito. Il movimento vegetariano era praticamente trasversale alle classi sociali. In quegli anni attirò donne come Lytton e Cobden-Sanderson che provenivano da famiglie ricche e, nel caso di Lytton, perfino aristocratiche, e, al tempo stesso, abbracciò anche suffragette di origine operaia. Come Leonora Cohen, cresciuta dalla madre sarta e vedova.
Alcune pubblicazioni dell’epoca presentavano il vegetarianismo come una scelta allettante per le madri lavoratrici, sottolineando come questa dieta comportasse anche risparmi in termini di denaro e di tempo. Ma spesso, la scelta del meat free nasceva da legami politici. Cohen è stata uno dei primissimi esempi di come il vegetarianismo poteva creare appeal anche a livello di marketing, già allora: quando da adulta aprì un collegio a Harrogate, nello Yorkshire, lo pubblicizzò sulla rivista The Suffragette sottolineando come la ristorazione fosse «curata da specialisti delle diete della riforma». Tradotto, niente carne.
La scelta di questo specifico elemento era già ai tempi degna di nota perché Cohen sapeva che avrebbe attirato non solo alcune donne isolate, ma anche le tante suffragiste spinte verso una dieta non violenta e umanitaria.
Non è un caso se il primo movimento vegetariano della storia recente è nato nel 1847 proprio nel Regno Unito, proprio a pochi centinaia di chilometri da Londra. A Ramsgate, per la precisione, nella contea del Kent.
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