- Se potessimo testarci tutti costantemente la pandemia sarebbe ormai un ricordo. Ma purtroppo non abbiamo questa capacità. Non siamo in grado nemmeno di far fronte all’attuale domande di tamponi.
- Il risultato: code e ritardi anche per coloro che hanno più urgenza di testarsi e un aumento dei test nei centri delle grandi città, le aree più ricche dove e più facile ottenere un tampone.
- Di fronte a questa situazione la scelta è una sola: dobbiamo accettare di testari di meno e lasciare più spazio a chi, oggi, ne ha più bisogno.
Da settimane assistiamo ogni giorni a un nuovo record di contagi da Covid-19. Di pari passo, crescono anche i tamponi analizzati. A ottobre erano 500mila al giorno, a dicembre siamo arrivati a un milione e ora siamo intorno al milione e duecentomila.
Ma il sistema di sorveglianza italiano non è in grado di reggere questa domanda. Code lunghissime si formano davanti alle farmacie, mentre i centri di diagnosi delle Asl vengono presi d’assalto. I risultati dei test arrivano in ritardo e le persone che dovrebbero testarsi per uscire dalla quarantena o che hanno sintomi Covid spesso sono costrette ad aspettare giorni o settimane per avere un appuntamento.
Sono sempre più numerosi i medici, i politici e gli esperti che chiedono alle persone di non farsi un tampone se non strettamente necessario. È arrivato il momento di ascoltare questo consiglio.
Test & trace
È dall’inizio della pandemia che le autorità sanitarie internazionali e i principali esperti di epidemie sostengono la strategia test & trace, cioè testare e tracciare. Ma con l’attuale numero di casi, fare indagini epidemiologiche su ogni singolo caso positivo è impossibile. Servirebbe un’incidenza massima di 50 casi ogni 100mila persone, ha sempre sostenuto l’Istituto superiore di sanità. Oggi siamo a quasi 800.
Ma i test restano ancora uno strumento importante per la lotta alla pandemia. Se, per assurdo, potessimo testare costantemente tutta la popolazione, e isolare in tempo reale i positivi, usciremmo molto prima da questa situazione. Ma nonostante i quasi due anni dall’arrivo del Covid in Italia e non solo, non abbiamo questa capacità e non siamo in grado nemmeno di rispondere alla domanda attuale di tamponi.
I colli di bottiglia
I governi che si sono succeduti in questi anni sono stati spesso criticati per i mancati investimenti in test & trace. Ma aumentare la capacità di testing non è affatto facile. Per fare più tamponi molecolari, gli affidabili test Pcr, ad esempio, servono macchinari complessi e personale specializzato.
Anche se la capacità di fare questi di tamponi è cresciuta dall’inizio della pandemia, attualmente ha raggiunto un tetto di circa 250mila test al giorno, per ampliarla ancora servirebbero macchinari e reagenti chimici che i produttori (grandi aziende cinesi e americane e, nel caso dei reagenti, anche qualche produttore italiano) non sono di consegnare istantaneamente. Il caos che ha colpito la catena logistica mondiale, con lunghe file di navi bloccate nei porti e container fermi sulle banchine, contribuisce a rendere complicati gli acquisti.
C’è poi un altro problema. Eseguire i tamponi e analizzarli richiede personale medico specializzato. Con la campagna vaccinale in pieno svolgimento e gli ospedali pieni di malati Covid che faticano a mantenere la normale operatività, le risorse disponibili per presidiare drive trough e laboratori sono scarsissime.
È relativamente più semplice espandere la capacità di testare tramite tamponi antigenici, quelli che di solito vengono fatti dai farmacisti o che si possono acquistare sotto forma di kit fai date. Questi test sono più semplici da produrre e non richiedono complessi macchinari per essere analizzati (ma, nel peggiore dei casi, possono produrre fino al 40 per cento di falsi negativi).
Oggi analizziamo dieci volte tanti tamponi antigenici rispetto all’inizio della pandemia, oltre 600mila, quasi due terzi del totale fatto in Italia. Ma anche su questo fronte siamo al limite della capacità. Ci sono 14mila farmacie su 21mila che fanno tamponi, realizzandone ogni giorno oltre il 60 per cento del totale.
Si potrebbe migliorare la situazione consentendone la somministrazione anche alle parafarmacie, come chiedono da tempo le loro associazioni, un’estensione a cui i farmacisti si oppongono e su cui il governo non sembra intenzionato a forzare la mano.
Un problema generale
Non è solo l’Italia a trovarsi in questa situazione. Negli Stati Uniti, la mancanza di tamponi è così grave che la scorsa settimana il presidente Joe Biden si è rivolto alla popolazione promettendo l’acquisto di 500 milioni di tamponi rapidi fai da te che saranno spediti a casa degli americani che ne faranno richiesta.
Anche i "campioni di test”, come il Regno Unito, sono in difficoltà, mentre il governo danese ha dichiarato a dicembre che il suo sistema di testing non era più in grado di far fronte al numero di casi. In questa situazione di “scarsità”, accade sempre più spesso che si testa di più chi può permetterselo, non chi ne ha più bisogno.
Le mappe dei contagi delle ultime settimane mostrano una concentrazione di casi nei centri delle grandi città, un’inversione rispetto al resto della pandemia, frutto più della maggiore possibilità di testarsi per i benestanti che di un ribaltamento delle logiche del contagio, che fino ad oggi ha colpito di più i poveri e gli esclusi.
Di fronte a questa situazione e grazie ai vaccini, che hanno diminuito moltissimo il pericolo individuale di contrarre il Covid, la scelta più sensata è quindi ovvia: fare meno tamponi poco necessari e lasciare più spazio a chi ne ha davvero bisogno. Non è la soluzione ideale, ma è l’unica che possiamo adottare arrivati a questo punto.
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