William Finnegan – che ha scritto la bibbia del surf: Barbarian Days. A Surfing Life – dice che cavalcando le onde sente la comprensione assoluta della realtà. E in nome di questa comprensione che le gare di surf dell’Olimpiade parigina si tengono a Tahiti. Per ragioni tecniche – le onde – e politiche – Collectivité d'outre-mer – apertura al mare e alle terre lontane. Solitaire et Solidaire direbbe Albert Camus.

A oltre 15mila chilometri da Parigi, la sede olimpica più distante di sempre, le gare di surf – disciplina alla seconda Olimpiade dopo Tokyo 2020 – si tengono di fronte a Teahupo’o, piccola cittadina sulla costa sud-occidentale di Tahiti, dove vive la maggior parte dei 280mila abitanti della Polinesia francese.

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Un posto conosciuto bene da Charles Darwin che nel suo viaggio a bordo del Beagle – partito nel 1831 – vi approdò nel novembre del 1835: «all’alba era in vista Tahiti, un’isola che resterà sempre classica per il viaggiatore dei Mari del Sud». Ma non vide uomini che cavalcavano il mare a differenza del capitano James Cook che, scoprendo le Hawaii nel 1778, vide delle persone che provavano una grande gioia mentre venivano trasportate dalle onde, in principio non furono tavole da surf, come in Big Wednesday film di John Milius, ma tronchi cavi con il becco all’insù. La gioia era la stessa dei ragazzi del film, contrapposta alla tristezza della guerra in Vietnam, mentre quella degli hawaiani era contrapposta alla tristezza dei missionari. E dalle Hawaii viene il padre del surf, Duca Kahanamoku, che non vide le tavole all’Olimpiade, ma fu cinque volte medaglia olimpica nel nuoto: 1912, 1920 e 1924.

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L’estetica

Il surf ha una grande estetica, per questo ci sono un mucchio di film sulla disciplina. In Point Break di Kathryn Bigelow c’è un surfista-sacerdote Bodhi, interpretato da Patrick Swayze, che intorno al surf c’ha costruito la vita e col surf troverà la morte. Aspetta l’onda giusta, come è capitato anche ai surfisti all’Olimpiade che ci son visti rinviare le gare, ma non era caos organizzativo, ma tempo d’oceano. Perché il surfista a differenza dello spettatore sa che il mare ha un tempo differente. Come spiega Finnegan: «In mare, ogni cosa è legata in modo indissolubile e inquietante a tutte le altre. Le onde sono il campo da gioco. Il fine ultimo. Sono l'oggetto dei tuoi desideri e della tua ammirazione più profonda. Allo stesso tempo, sono anche il tuo avversario, la tua nemesi, il tuo nemico mortale. L'onda è il rifugio, il tuo nascondiglio felice, ma anche un territorio selvaggio e ostile, una realtà indifferente e dinamica».

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La diva delle onde

La Teahupo'o, l’onda di Tahiti, era ed è una apparizione nella sua perfezione. Si alza in media fino a sette metri creando il campo da gioco: il barrel (la forma dell'onda), lo scivolo che bisogna percorrere con la tavola (heavy drop) e il reef (fondale) non profondo. Il resto è connessione – con la natura del mare –, tecnica – per dominare in pochi secondi l’onda – e orecchio: l’onda si sente. Bodhi direbbe che c’è una onda giusta per ogni surfista. Come quella che ha permesso a Jérôme Brouillet di scattare una foto irreale al surfista brasiliano Gabriel Medina che rimanda ai dipinti che ritraggono san Giuseppe da Copertino.

Medina sembra volare come Giuseppe. Ma è suggestione. Anche se i due hanno moltissimo in comune: i surfisti come i frati stanno in tribù, hanno un luogo fisso e dei riti. E uno stile, naturalmente, come gli ordini. Legato alla qualità dell’acqua e delle correnti: fianchi più sciolti e ginocchia molto più piegate per lo stile hawaiiano; manovre d'acqua fredda con spostamenti in punta sulla tavola per il surf continentale. È nella solitudine che trovano l’ascensione. Onde e preghiere. Con i miracoli che prediligono l’oralità. Il resto viene di conseguenza.

Per questo doveva essere il surf a legare le ex colonie, come un surfista con la sua tavola, un laccio di reciprocità. L’annuncio della cerimonia – balliamo insieme senza perdere la storia e la natura – si è concretizzato nel surf a Tahiti. Dove non sono mancate le polemiche per la torretta di avvistamento: la costruzione è stata prima bloccata poi completata. Non sono mancati i timori per l’alterazione della barriera corallina, come quelli per l’eccesso di turisti. Ma pensiamo a Jacques Chirac che a Mururoa – a sud ovest di Tahiti – ci faceva gli inutili esperimenti nucleari, possiamo dire che il rapporto è cambiato. Il surf è riconciliazione. E dopo la rilevante autonomia concessa alle comunità d’oltremare, c’è stata la condivisione. E la lontananza geografia sembra conservare la distanza che il surf chiede. L’impresa sulle onde non vuole la tivù, ma Bear – il personaggio di Big Wednesday – che racconta, prevede e sconfessa. Perché la magia non chiede osservatori, ma amanti. E quella del surf prende e dà stupore

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