E se uno chef di metallo, o un robot, fosse la soluzione ai problemi dei ristoranti che non riescono a trovare sufficiente staff? Sia la Cina che il Giappone, rompendo molti tabù, già da un po’ di tempo hanno deciso di far entrare nelle cucine sfornite di personale dei sostituti meccanici che suppliscono con la tecnologia le formazioni lunghe e lente di chef – lasciando in parte perdere la tradizione, dato che trovare persone che abbiano voglia di sottomettersi ad anni di apprendistato diventa più difficile.

Nelle sale dei ristoranti di molti paesi asiatici, invece, hanno già fatto ingresso dei camerieri robot, di nuovo per supplire alla mancanza di personale. Questo avviene in particolare nei ristoranti a poco prezzo, dove diversi piatti – in particolare quelli che non contengono zuppe calde che potrebbero rovesciarsi – sono portati da robot leggermente antropomorfi che si aggirano fra i tavoli. Alcuni portano gli ordini, fermandosi davanti ai commensali che hanno già scelto quello che vogliono mangiare, o girellano mostrando golosità già pronte che potrebbero invogliare i clienti, che devono solo fermarli con un gesto della mano e prendere le pietanze che li attraggono.

Dal Giappone a Hong Kong, passando per Taiwan, la Corea e la Cina tutta, questi robot che fanno servizio in sala sono già diverse decine di migliaia, e dopo l’iniziale stupore, sono stati accettati come parte normale di quello che si può trovare nei ristoranti. Le ordinazioni avvengono tramite codice QR, diminuendo ulteriormente il bisogno di camerieri.

Penuria di personale

La meccanizzazione che avviene in cucina, invece, è ancora una novità, adottata per ridurre i tempi di formazione e supplire alla scarsità di personale.

Per diventare chef di sushi tradizionali, per esempio, o shokunin, un termine riservato agli artigiani di massimo livello, si devono calcolare di norma dieci anni di preparazione, partendo dalle mansioni più periferiche e meno appaganti, quali lavare i piatti, poi la pulizia della cucina e del pesce, la preparazione dei coltelli, le trattative con i fornitori, poi un po’ per volta lo studio della migliore direzione nella quale effettuare i tagli, via via arrivando a scolpire i filetti di pesce nel modo reputato migliore.

Tutto questo, sotto gli occhi spesso burberi del maestro, che non lesina lavate di capo se pensa che siano utili a mantenere l’apprendista umile e determinato ad imparare.

Nei ristoranti famosi, quelli che costano una fortuna e mezzo solo a pensare di andarci, ci si può ancora aspettare che chi prepara sushi e sashimi abbia fatto questo percorso. Nei ristoranti più a buon mercato, invece, come i kaitenzushi (inaugurati nel 1958 a Osaka) – quelli dove i vari tipi di sushi arrivano sotto al naso dei commensali su un nastro automatico, con piattini di colore diverso a seconda del prezzo del boccone di riso e pesce (o riso e uova, o tofu), è ormai relativamente comune che i sushi siano stati preparati da un robot.

Non si tratta solo di mancanza di volontà di sottomettersi alla lunga gavetta per diventare chef di sushi, ma anche del fatto che il Giappone è a corto di lavoratori: secondo le stime attuali, di qui al 2030 ci saranno quasi 6.5 milioni di effettivi in meno del necessario. Alcuni dei quali, per esempio nei ristoranti, vengono dunque soppiantati da robot capaci di far portare in tavola qualcosa di standardizzato e prevedibile.

Un’azienda in particolare, la Suzumo Machinery, già dagli anni Settanta sta sfornando macchinari che possono rendere rapidissima la preparazione di sushi: l’ultimo modello è un robot che può fare fino a 4800 pezzi di shari (il riso per sushi già formato, a cubetto allungato e arrotondato) per ora. Poi, altre mani meccaniche avvolgono la striscia di alga nori intorno al riso, e allo chef umano resta solo da aggiungere l’ultimo ingrediente in cima. Altri robot hanno cominciato a friggere tempura e quelle frittate compatte giapponesi chiamate tamagoyaki.

Ravioli automatizzati

Dalla pandemia in poi, periodo durante il quale i negozi di take away sono aumentati ancora di più, i macchinari della Suzumo (e anche della Fuji Seiki, specializzata in robot da cucina), producono onigiri e sushi ben arrotondati, senza il bisogno di mani umane, disponibili in grandi quantitativi con estrema rapidità.

Anche il lento chiudere ravioli – che siano gyoza giapponesi o jiaozi cinesi – è automatizzato in diversi ristoranti, anche se qui la differenza si nota in modo significativo, dato che le pieghe fatte a mano per sigillare la pasta restano una delle caratteristiche più attrattive dei ristoranti specializzati in questo tipo di cibo. Chi vuole utilizzare questo aspetto della preparazione dei ravioli come un richiamo per i clienti, infatti, spesso mette solo un vetro davanti a chi li fa a mano, dato che ammirarne la destrezza spesso fa aumentare l’appetito.

Anche in Cina, per l’appunto, l’automatizzazione della cucina passa da braccia meccaniche, e dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che è entrata in funzione nei ristoranti già dallo scorso anno, considerato “l’anno zero” dell’evoluzione tecnologica in cucina. Di nuovo, la spinta è venuta dapprima da un’azienda specifica – in questo caso, la Lee Kum Kee, una multinazionale cinese specializzata in salse e condimenti di tantissimi tipi.

Anche in Cina, la scarsità di persone pronte a restare per ore in cucina in spazi ridotti a temperature alte con grossi rischi di incidenti è un problema sentito a tutti i livelli dell’industria, e si calcola che manchino circa dieci milioni di lavoratori per soddisfare la domanda di cuochi, chef, sous chef, camerieri e addetti alle pulizie.

Il problema è sentito tutto l’anno, ma con picchi stagionali particolarmente acuti, per esempio durante il Capodanno lunare cinese. È stata dunque la Lee Kum Kee a decidere di entrare in partnership con la Xianglu Technology, specializzata in robotica e intelligenza artificiale (Ia), per vedere in che modo applicare le nuove tecnologie davanti ai fornelli.

Due scuole di cucina, a Pechino e Chengdu (la capitale regionale del Sichuan) hanno fatto entrare l’Ia in classe per poter far registrare le informazioni da elaborare, e questo ha prodotto dei robot capaci di mescolare con rapidità e vigore i cibi che cuociono a fiamma alta nei wok. Basandosi poi sulle preferenze dei clienti nei ristoranti, sempre tramite l’Ia stanno ora venendo messe a punto ricette che soddisfino esattamente la ricerca di quello che già piace. Secondo dati della Xianglu stessa, i ristoranti in Cina che stanno adottando queste tecnologie sono quasi 2000.

“Cuochi intelligenti”

In alcune scuole di cucina, adesso, sono disponibili nuovi programmi che consentono di diplomarsi in “chef intelligenti” (potevano trovare un nome migliore, forse) ovvero capaci di gestire sia le braccia automatiche che mescolano il cibo nei wok, sia le ricette sfornate dall’Ia e la loro applicazione.

Per ora almeno, anche in questo caso l’intenzione è di supplire alla scarsità di manodopera, e lasciare che la parte più creativa, che alcuni chiamano anche artistica, della cucina sia lasciata a mani umane, che ricevono una formazione più approfondita senza perdere tempo nelle gavette di cui si possono occupare le nuove macchine.

La perdita di imprevedibilità, dato che le macchine producono sempre la stessa cosa fin quando non si dice loro di provare a farne un’altra, che produrranno di nuovo sempre uguale, può essere poca cosa rispetto alla possibilità di rendere più efficiente l’industria, per quanto questo aumenti lo scarto fra chi si può permettere cibi prodotti anche con l’improvvisazione della creatività umana, e chi mangerà cose del tutto standardizzate. Ma per il momento, non sono ancora stati creati robot capaci di sparecchiare, pulire il tavolo e lavare i piatti – o almeno metterli in lavatrice – lasciando così una delle mansioni meno ambite a mani umane troppo spesso sottopagate.

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