Non tutte le mense scolastiche sono luoghi bui e tetri, il metodo del pedagogista Loris Malaguzzi, ideato negli anni ‘60 e applicato da allora nelle scuole comunali dell’infanzia di Reggio Emilia, ha sovvertito il concetto tradizionale di mensa scolastiche per rendere anche quella del pasto un’esperienza formativa per i bambini
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Nel nostro immaginario collettivo, quando si parla di cucina scolastica, ciò che la nostra mente richiama – che derivi dall’esperienza personale o da qualche suggestione cinematografica – è un luogo spesso buio e angusto, fumante e maleodorante, dove l’accesso ai più è vietato. Insomma, una parte di scuola che viene nascosta, da dove in rare occasioni di festa fuoriesce chi vi lavora per un dovuto ringraziamento da parte dei fruitori (bambini e genitori), per poi ritornare nell’ombra.
Per chi è cresciuto in scuole con cucine poste al termine di lunghi corridoi o a piani interrati come nei migliori film dell’orrore deve essere difficile immaginare cucine luminosissime con pareti di vetro, con spazi di lavoro contigui e affacciati su altre attività. Non bisogna catapultarsi in paesi con sistema scolastici che superano i nostri di decine di posizioni nei ranking mondiali per vederle, ma basta mettere a piede nelle scuole comunali dell’infanzia di Reggio Emilia, che seguono la filosofia educativa del Reggio Children Approach, ideato dal pedagogista Loris Malaguzzi nei primi anni Sessanta.
Battezzate da Newsweek nel 1991 come le scuole più belle del mondo, le cosiddette “scuole Reggio Children” danno allo spazio e all’interazione con l’ambiente un ruolo fondamentale dell’esperienza educativa, cucina compresa. Luogo che assume un ruolo centrale non solo come spazio dedicato alla nutrizione, ma anche come un topos educativo e creativo. Intesa come un atelier, la cucina diventa uno strumento per esplorare, apprendere e relazionarsi, nonché un punto d’incontro sociale e culturale. Tutti coloro che arrivano da fuori – e nelle scuole Reggio Children ogni giorno si accolgono diversi visitatori, dai tirocinanti al primo anno di università ai pedagogisti di fama internazionale – in quanto ospiti vengono accolti con biscotti o erbazzone (la torta salata tipica di Reggio Emilia) preparati rigorosamente nella cucina a vetrate, preferendo gli ingredienti dell’orto curato dai bambini delle singole sezioni insieme alle famiglie che danno disponibilità.
La cucina come atelier
In linea con la filosofia pedagogica di Loris Malaguzzi, l'atelier è uno spazio dove gli alunni possono esprimere e sviluppare i loro “cento linguaggi”, ossia le molteplici modalità attraverso le quali i bambini esplorano e comprendono il mondo. La cucina, nelle scuole Reggio Children, diventa uno spazio privilegiato per sperimentare questi linguaggi in modo concreto e multisensoriale. Attraverso una progettazione didattica che tiene conto del continuo evolversi del mondo– a partire dal coltivare alcuni ingredienti per cucinare- esplorano concetti complessi come la trasformazione degli alimenti, il tempo di attesa e l’importanza della collaborazione
Proprio come in un atelier artistico, la cucina diventa un laboratorio di ricerca e sperimentazione, dove ogni gesto e ogni scelta culinaria rappresentano un’opportunità di apprendimento e anche di festeggiamenti. Poter osservare ogni giorno chi compie questi gesti e occasionalmente – per esempio preparando la torta per un amico che festeggia il compleanno- essere coinvolti in prima persona nell’azione, ha un valore educativo impagabile, ma soprattutto dà prova del grande valore democratico che le scuole vogliono trasmettere: tutti gli adulti attori nella vita dei bambini sono educatori – anche coloro che non sono insegnanti – e tutti con la loro quotidianità concorrono alla formazione futura della persona-bambino.
Democrazia scolastica
Quando Malaguzzi teorizzò una prima bozza di regolamento delle scuole comunali di Reggio Emilia nei primi anni Settanta, la scuola materna in Italia era una realtà statale da pochi anni e gli “inservienti” erano da contratto subordinati dei docenti. Nulla di più sbagliato secondo il pedagogista, che fin da subito parlò di parità contrattuale e lavorativa tra personale di cucina e assistenziale e quello docente (sia a livello di orario che di ruoli), sdoganando concetti che parevano più essere del vecchio Regno d’Italia che della nuova Repubblica.
Non solo tutti i lavoratori sono sullo stesso piano concettuale, ma attraverso le architetture delle nuove scuole lo sono anche sul piano fisico, superando la vecchia concezione che vedeva la servitù relegata ai piani inferiori e la cucina come luogo che doveva stare nascosto. Il contributo ed il lavoro di tutti sono così chiaramente visibili, distinguibili, riconoscibili ed apprezzabili, e resi così ugualmente importanti.
L’ultima versione del regolamento delle scuole comunali (2009) specifica che il gruppo di lavoro è composto da tutti coloro che, nella specificità dei diversi ruoli e profili professionali (insegnante, educatore, atelierista, cuoca, esecutore scolastico, operatore scolastico e pedagogista) operano all’interno di ogni singolo nido e scuola dell’infanzia. Nessuno escluso.
Da mattina a tarda sera
Cosa significa vivere la cucina presso una di queste scuole dell’infanzia? Si inizia presto, alle 7:30 con l’arrivo dei primi alunni: si può già leggere il menù del giorno e per i piccoli, prima di recarsi presso la propria aula o sezione, un passaggio dalla cucina per un saluto al personale è praticamente tappa fissa, per poi dirigersi solo successivamente verso la propria aula a riporre giacca e zainetto. C’è qualche genitore che supplica di poter sapere qual è l’ingrediente magico di quel passato di verdura di cui il proprio figlio ha voluto il bis il giorno prima a scuola ma che se proposto a casa causa pianti inconsolabili.
Dalle ore 9, con l’inizio della giornata scolastica, la cucina diventa destinazione di un’infaticabile andirivieni di vassoi di frutta per la merenda e caraffe vuote riportate di bambini, di insegnanti che gustano un caffè, di foglietti colorati per riferire messaggi, di chiacchiere veloci e sguardi complici, tutto mentre ciascuno continua ad occuparsi dei propri compiti.
Il pranzo viene servito nel salone principale o “piazza” inteso come luogo d’incontro sia durante le attività che durante il pranzo, condiviso anche tra alunni di età diverse e poi per gli adulti gustato a gruppetti su turni, spesso in compagnia delle delegazioni internazionali di studiosi e pedagogisti del metodo Reggio Children Approach che non vengono certo portati nelle trattorie tipiche emiliane di cui la città è costellata, ma sono chiamati a vivere l’intera esperienza di condivisione della giornata lavorativa, pranzo compreso. Giornata che per il personale di cucina non sempre si conclude con la merenda pomeridiana, poiché durante alcuni momenti dell’anno, è richiesta la loro disponibilità per organizzare corsi di cucina per i genitori.
Un altro elemento significativo di questa filosofia è appunto il coinvolgimento delle famiglie. Spesso, attratti dall’entusiasmo dei loro figli per le pietanze preparate a scuola, i genitori chiedono di poter apprendere le ricette, così da riproporle a casa, grazie alla disponibilità del personale di cucina che diventa insegnante per qualche serata.
Vengono poi creati dei ricettari, illustrati dai bambini e distribuiti dalla scuola per permettere anche ai genitori che lottano per servire determinate pietanze ai loro figli di poter replicare i gustosi manicaretti. Papà e mamme che si sentiranno comunque inevitabilmente rispondere, dopo aver seguito step by step quanto appreso alle serate istruttive, che tanto la loro frittata non sarà mai buona come quella che preparano a scuola.
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