- L’alimentazione personale di Djokovic non è più segreta, anzi, il serbo ha approfittato del primo lockdown del 2020 per raccontarne via Instagram la sostanza, al di là dell’arcinota decisione di eliminare il glutine: acqua tiepida con limone e sale marino al risveglio e argento colloidale.
- Un altro mostro della condizione fisica, Rafa Nadal, non ha mai fatto mistero di appartenere alla categoria dei mangioni, tutt’altro che attratti dalle filosofie di cibo cosiddetto responsabile e disseminato di divieti e preclusioni.
- Il più liberale nelle scelte a tavola è stato l’oramai pensionato Roger Federer, che ha lasciato il tennis qualche mese fa ma non ha mai ritenuto di poter ricavare particolari vantaggi dalla nutrizione.
Anche Novak Djokovic - l’uomo più gagliardo, in salute e sedicente in armonia con l’universo che il tennis abbia mai visto – ci ha provato, con il business del cibo. A modo suo, come tutto ciò che costituisce il mondo del fuoriclasse serbo: dalle indiscutibili e uniche qualità atletiche e mentali alle discutibilissime convinzioni su medicina e benessere che, in più di un’occasione, hanno lisciato il pelo alla stregoneria.
Da figlio di venditori di tranci di pizza al taglio sulle piste da sci di Kopaonik e vorace consumatore di proteine animali, Djokovic aveva a tal punto introiettato i dettami dell’alimentazione vegana (e di alcune sue derivazioni che sfociano in pratiche spiritualeggianti, come l’atteggiamento di gratitudine nel bere il caffè che ne contrasterebbe l’azione acidificante) da pensare di poter convincere i milionari di Monte Carlo, sua residenza, a nutrire fisico e anima con insalate di miglio e quinoa con pomodorini bio.
Oppure tortini di porri, piselli, asparagi e zucchini con salsa alla fragola balsamica guarniti con frasi motivazionali: «Il corpo ottiene ciò che la mente crede». Il ristorante suo e di sua moglie Jelena, EqVita, purtroppo è durato due anni: ha chiuso nelle festività del 2018, per non riaprire più. Sopravvive, per contro, il Novak Restaurant&Cafe di Belgrado che, tuttavia, nel menu si discosta dal rigoroso stile alimentare del suo proprietario ammettendo cibi del diavolo: tacchino, salmone, prodotti caseari e pure i satanici cevapi, golose polpette cilindriche di carne trita, grassi e spezie.
L’alimentazione personale di Djokovic non è più segreta, anzi, il serbo ha approfittato del primo lockdown del 2020 per raccontarne via Instagram la sostanza, al di là dell’arcinota decisione di eliminare il glutine: acqua tiepida con limone e sale marino al risveglio e argento colloidale.
Il primo pasto, dopo circa 16 ore di digiuno: un centrifugato con spinaci e altre verdure verdi – piselli, cavolo riccio, prezzemolo - con alga spirulina. Nessun ingrediente di origine animale, quindi unicamente proteine vegetali; zero formaggi per carità, niente latte ma neppure yogurt, manco il tanto lodato kefir con i suoi fermenti.
Vietato parimenti lo zucchero raffinato; come fonte di carboidrati, solo cereali integrali con preferenza per il riso selvatico. Per condire: pepe di cayenna, olio di origano selvatico, zenzero, spicchi di aglio, miele e cannella. Per dissetarsi, al bando ogni preparazione industriale, solo acqua oppure tè all’ibisco o quello ottenuto con i fiori della santoreggia montana.
Addio anarchia
Il rapporto dei tennisti professionisti col cibo è tuttora variegato ma, rispetto a un passato nemmeno tanto lontano, non più completamente anarchico. Alle Olimpiadi del 2004 l’allora numero due del mondo e campione in carica degli US Open, Andy Roddick, sconvolgeva i colleghi dell’atletica leggera perché, al buffet del villaggio ateniese, si abbuffava di patatine e hamburger e trangugiava bibite gassate – sì, la Coca Cola, quella schifata in diretta mondiale da Cristiano Ronaldo agli ultimi Europei.
Probabilmente, non si fosse ritirato da tempo avrebbe dovuto rivedere le sue abitudini: del resto aveva iniziato a farlo un altro yankee schiavo del junk food, Andre Agassi, solo in età matura convinto ad abbandonare la lista del McDonald’s per mettersi a introdurre carburante di migliore qualità nel suo serbatoio.
Le bistecche di Nadal
Vero è che esistono differenti scuole di pensiero. Un altro mostro della condizione fisica, Rafa Nadal, non ha mai fatto mistero di appartenere alla categoria dei mangioni, tutt’altro che attratti dalle filosofie di cibo cosiddetto responsabile e disseminato di divieti e preclusioni. Per un atleta che consuma anche 4-5.000 chilocalorie al giorno, del resto, mangiare non è certo un discorso di restrizioni in quantità ma, semmai, di scelte e lo spagnolo non si nega praticamente nulla.
Salumi iberici, bistecche e prodotti che ogni buon isolano – lui è nato e vive a Manacor – culturalmente predilige: proteine da vari tipi di pescato, crostacei, olive e olio. Non mangia formaggi, Rafa, ma per pura ritrosia personale e considera «salutare e adatta alla vita da atleta» quella che, volendo approssimare, è una dieta mediterranea nella sua accezione più diffusa: carboidrati alla base del sostentamento, parecchio pesce e un po’ meno carne, verdure e frutta in abbondanza, più olio che burro.
Federer e gli spaghetti
Della triarchia che ha dominato il tennis negli ultimi vent’anni, il più liberale nelle scelte a tavola è stato l’oramai pensionato Roger Federer, che ha lasciato il tennis qualche mese fa ma non ha mai ritenuto di poter ricavare particolari vantaggi dalla nutrizione. Colazione con waffles, cena con pizza o sushi, cioccolato – anche qui, il richiamo della patria – o un po’ di gelato.
Per inclinazione e per fatturazione (Roger è testimonial storico Barilla) Federer si è fatto fotografare, negli anni, con la bocca piena di spaghetti, come l’americano a Roma di Alberto Sordi, prima e dopo le partite. Invece di digiunare a intermittenza, mangiava spesso. E non si è mai privato di alcunché, quando trovava i posti giusti in cui soddisfare i suoi sfizi: chiedere alla Taverna Trilussa, zona Trastevere, sua meta culinaria prediletta durante gli Internazionali d’Italia a Roma.
A Berrettini solo carbonare
Matteo Berrettini, che a Roma è nato e cresciuto, ha sempre dichiarato il suo amore per carbonara, gricia e amatriciana. Pur avendo, una volta raggiunto il vertice del tennis, concesso ampio spazio a due cibi tristanzuoli che tuttora riscuotono un certo successo nel mondo sportivo - riso e pollo - è tra coloro che riconoscono il valore del comfort food, la margherita o il panino che tirano su il morale alla bisogna. Nella recentissima United Cup, a un cambio di campo si è lamentato col coach di non aver digerito la parmigiana di melanzane. Mangiata in piena estate, sotto il sole rovente di Sydney.
Jannik Sinner, finora, ha liquidato il suo rapporto col cibo con poche battute: «Mangio di tutto e non ci faccio così attenzione. Se la sera ho voglia di un dessert, lo mangio: non credo che il giorno dopo perderò un match per colpa sua». Simile atteggiamento nell’attuale re del tennis, il teenager Carlos Alcaraz: «Butto giù tutto quello che mi piace, il mio punto debole è il kebab. Posso mangiare quanto mi pare e non metto su peso». Probabilmente, per lui e per altri, la consapevolezza verrà col tempo, con le prime gastriti o quando inizierà a scarseggiare la benzina dopo cinque ore di partita.
Amori bordolesi
Ah, e poi c’è il vino. Ad aprire la strada fu Amelie Mauresmo, francese, ex numero uno Wta, grande intenditrice e amante di rossi bordolesi, titolare di una collezione con “pezzi” da migliaia di euro, dallo Château Lafite al Petrus.
Legare la propria immagine a prodotti alcolici non è agevole per un atleta professionista ma l’ucraina Elina Svitolina – ex numero tre mondiale - è andata controcorrente, diventando testimonial della cantina Damilano (di proprietà di Paolo, ex candidato sindaco a Torino e grande investitore nel tennis anche con il marchio Valmora).
A scommettere sul vino, tra i ragazzi, è stato proprio Djokovic, sostanzialmente astemio, pronto però ad affidare a uno zio l’azienda agricola comprata nelle campagne di Šumadija, con cinque ettari di vitigni. Ne ricavano uno chardonnay e uno shiraz, noti per ora più che altro per il cognome sull’etichetta.
Imbattibile, su questo versante, è Andrea Hlavackova, campionessa Slam in doppio: da cinque generazioni, la sua famiglia ricopre posizioni di prestigio nella Pilsner Urquell, di cui suo padre Jan è mastro birraio. La Repubblica Ceca detiene da decenni il record del consumo pro capite di birra, 140 litri all’anno (l’Italia non è nelle prime quaranta nazioni). «Per diventare un po’ meno sconosciuta in patria rispetto a mio padre – ha detto Andrea, che ha sposato un italiano impiegato nell’Atp - ho dovuto vincere il Roland Garros».
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