Secondo i criteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi Ocse con il 94,5 per cento di bambini tra gli 11 e i 15 anni che non praticano un adeguato livello di attività fisica. Nella fascia 5-9 anni siamo al penultimo posto al mondo per obesità, battuti solo dagli USA
La scuola può molto ma non può tutto» lo ha detto il presidente Mattarella all’inaugurazione dell’anno scolastico 2024-25. La bontà del sistema educativo si può leggere attraverso molteplici indicatori e diverse prospettive: la dispersione scolastica, la qualità dell’apprendimento, le risorse investite, la tipologia dei programmi.
Molte sono le istituzioni pubbliche e private che si occupano di analizzarli e le conclusioni sono accomunate anche per una certa, condivisa amnesia rispetto all’educazione fisica, fatto che basterebbe, da solo, a spiegare tante cose.
Troviamo facilmente i dettagli sulle competenze matematiche e grammaticali, quelle digitali, linguistiche, green ma non un cenno al movimento e alla sua incidenza. L’uso non casuale di “molto” e “tutto” da parte del presidente della Repubblica sottolinea la fisiologica esistenza di uno spazio di intervento da parte di altre agenzie educative. Il discorso infatti è proseguito così: «una partecipazione attiva e positiva delle famiglie è essenziale nel processo educativo».
La situazione in Italia
Nello specifico caso dell’educazione fisica però il molto che la scuola può fare è ancora un limite decisamente lontano e poco realistico per il nostro paese: è un confine che segna un territorio desolato dell’offerta formativa in cui le famiglie non sono solo chiamate a partecipare ma sono di fatto costrette a sostituirsi all’istituzione scolastica.
L’Italia è lunga e iniziative virtuose non mancano in alcune regioni, in alcuni istituti, in alcuni periodi, in alcune classi. Ma se l’equità educativa è limitata ad alcuni, come la mettiamo con l’anima democratica della scuola?
Non impropriamente è il caso di fare riferimento al termine salute per chiedersi in che condizioni versi l’educazione fisica in Italia. Avere una risposta ufficiale però non è affatto facile se non attraverso documenti redatti da e per addetti ai lavori, quasi non si trattasse di una disciplina curriculare. Il dettagliato report Eurydice è fermo al 2013 ma avvicinandoci ad oggi, altre analisi sebbene indirette, confermano tutte le vecchie lacune: cose che sappiamo già ma che è bene ricordare, soprattutto tenendo a mente le percentuali a cui fanno riferimento.
Il 94,5 per cento di bambini tra gli 11e i 15 anni che non praticano un adeguato livello di attività fisica
Nel 2023, secondo i criteri dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) con il 94,5 per cento di bambini tra 11-15 anni che non praticano un adeguato livello di attività fisica. Inevitabilmente correlato il dato sull’obesità che, nella fascia 5-9 anni con il 42 per cento vede il nostro paese al penultimo posto, battuto solo dagli Stati Uniti per un punto percentuale. Conseguenze prevedibili data l’offerta quantitativamente e qualitativamente carente soprattutto nel primo ciclo della scuola primaria nel cui curricolo il monte ore è insufficiente rispetto alle direttive Oms e l’insegnamento è affidato a insegnanti non specializzati.
L’introduzione di un laureato in scienze motorie è una novità che risale all’anno scolastico 2022-23 e solo per le classi quinte con l’intento, di anno in anno, di estenderla a tutte. Al momento però, l’intento si è già inceppato. La scarsa attenzione all’educazione al movimento in questa fascia d’età pesa sull’interiorizzazione dello stile di vita sano e attivo, compromette la positiva interazione con l’attività sportiva agonistica e toglie stimoli allo sviluppo cognitivo.
L’attività motoria promuove lo sviluppo cognitivo
Da tempo le neuroscienze hanno dimostrato che l’attività motoria promuove lo sviluppo cognitivo. Tantissimi i benefici contributi. Tra i principali va ricordata la correlazione positiva con la maturazione delle funzioni esecutive, ovvero abilità che contribuiscono al controllo del comportamento e dunque di fondamentale importanza per la quotidianità così come per il prefiggersi e il raggiungere obbiettivi in ambito scolastico, nel lavoro, per la salute e la qualità della vita.
Si esprimono attraverso alcune capacità: l’autocontrollo, ovvero l’inibizione di risposte comportamentali non adeguate al contesto (inhibition), la flessibilità di passare rapidamente da un compito a un altro (shifting), il trattenere e elaborare le informazioni per eseguire un compito (working memory) e l’aggiornare le informazioni utili (updating).
È dimostrato inoltre il contributo che esse offrono nello sviluppo di altre funzioni cognitive di ordine superiore come l’originalità, la creatività e più in generale il comportamento divergente. Non lo dicono solo gli studi ma anche esperienze concrete. In Svizzera, a Macolin, vicino al centro di preparazione olimpica e all’università dello sport, è nato un progetto sperimentale nella scuola primaria, basato su un metodo secondo cui gli alunni imparano tutte le materie attraverso i movimenti del corpo.
Già dopo pochi anni di studio comparato dei risultati tra questo metodo di insegnamento e quello classico, è emerso che attraverso il primo le funzioni esecutive sono migliori così come il lobo frontale risulta maggiormente attivato migliorando la velocità delle connessioni sinaptiche.
La cura e l’educazione del movimento non può essere delegata alle associazioni
Le opportunità che la scuola può offrire sono una combinazione, spesso non positiva di competenze degli insegnanti, del tempo dedicato a una disciplina, delle strutture a disposizione. Meglio non guardare ancora al passato per cercare le responsabilità nella storica marginalità dell’educazione fisica all’interno del percorso educativo.
Indispensabile è guardare avanti e ottimizzare quello che c’è e ci sarà in futuro con la consapevolezza che il movimento è un bisogno essenziale che, se non soddisfatto, compromette il pieno sviluppo in maniera inversamente proporzionale alla svolta sedentaria del moderno stile di vita.
Negli investimenti la priorità va alla qualità dell’insegnamento dei più giovani: un docente capace saprà offrire stimoli efficaci anche in assenza di strutture adeguate (ad oggi non hanno una palestra il 60 per cento delle scuole): mentre il contrario non è scontato.
La scuola è ancora l’unica esperienza che riguarda tutti e perciò la cura e l’educazione del movimento non può essere delegata alle associazioni sportive: secondo l’ultimo report di Sport e Salute, un terzo dei bambini italiani tra i 6 e i 10 anni non fa attività sportiva per difficoltà economiche della famiglia.
Pure ovviando questo problema tramite incentivi, la multilateralità e la polivalenza sotto forma di gioco deliberato difficilmente trovano soddisfazione in un contesto associazionistico dove tendenzialmente esiste un interesse specifico verso una disciplina sportiva e dove, peraltro, la possibilità di praticare senza gareggiare spesso non è contemplata.
Quando l’entusiasmo per i prossimi successi sportivi farà risuonare ancora parole di elogio del modello italiano quale eccellenza mondiale, ricordiamoci le percentuali di sedentarietà e mettiamo a fuoco la perdita di opportunità nello sviluppo del potenziale individuale a causa della carenza di stimoli motori e di avviamento allo sport. Poi viene da chiedersi come si fa ad essere al tempo stesso terra di campioni e di sedentari ma… questa è un’altra storia.
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