Il dibattito sulla possibilità di effettuare un richiamo del vaccino anti Covid in Italia è ancora aperto. Israele farà da apripista e inizierà a somministrare le terze dosi domani per tutti gli over 60. Negli Usa, invece, è stata già stilata la lista prioritaria di chi potrebbe riceverla
Il 29 luglio, il sottosegretario Pierpaolo Sileri, in un intervento alla radio, ha confermato la possibilità di dover un richiamo e quindi sottoporsi a una terza dose di vaccino contro il Covid-19.
Parlando della durata della copertura dei farmaci, ha spiegato che «una quota della popolazione può avere una riduzione degli anticorpi dopo 6 mesi, significa che in quelle persone bisognerà fare un richiamo». Sileri ha poi aggiunto che potrebbe esserci la possibilità che il richiamo con Pfizer o Moderna debba essere fatto ogni anno, come come per l'influenza.
Attualmente, l’ipotesi è al vaglio del ministero della Salute. Nel frattempo, i pareri degli esperti aumentano: c’è chi ne sostiene la necessità e chi, invece, elenca i possibili rischi, nonostante altri paesi siano già pronti a inoculare le terze dosi.
I paesi dove già si fa il richiamo
Anche nel caso della terza dose a fare da apripista è Israele, lo stato che in tempi record aveva raggiunto il traguardo nella somministrazione delle prime due dosi a tutta la popolazione residente.
Israele partirà il primo di agosto: i soggetti interessati sono tutti gli over 60. Quindi, se si hanno più di 60 anni, in Israele sarà possibile ricevere la terza dose di vaccino Pfizer, ma soltanto se dalla seconda inoculazione sono trascorsi cinque mesi o più. A diffondere la notizia è il ministero della Sanità israeliano che ha chiesto massima organizzazione. La decisione è stata presa dopo che un pool di ricercatori hanno osservato un calo dell’efficacia delle difese immunitarie in chi ha concluso il ciclo vaccinali sei mesi fa. Da qui la proposta di procedere con una terza immunizzazione, proposta che è stata raccolta dal governo.
Negli Stati Uniti, i Centers for disease control and prevention (Cdc) hanno stilato una classifica di priorità per chi deve ricevere la terza dose, che include: immunodepressi, tutti coloro che hanno subito trapianti di organi, persone in trattamento per il cancro, persone che vivono con condizioni reumatologiche, malati di Hiv e leucemia.
Tuttavia, anche negli Usa, gli esperti sono divisi. Secondo alcuni non ci sono abbastanza dati sui vantaggi effettivi della terza dose. La soluzione migliore, infatti, sarebbe vaccinare chi non si è ancora vaccinato (e non chi ha già completato il ciclo).
I pareri in Italia
Il Commissario straordinario all’emergenza, Francesco Paolo Figliuolo, ha dichiarato che, qualora fosse necessario procedere con la somministrazione di una terza dose del vaccino anti Covid-19, l’Italia è pronta.
Sergio Abrignani, docente di Immunologia all'Università Statale di Milano e componente del Comitato tecnico scientifico (Cts), ospite di ospite di Agorà Estate su Rai3 il 29 luglio, ha spiegato che «per la stragrande maggioranza delle persone a oggi non è prevista la terza dose, potrebbe essere necessaria solo in caso di calo della memoria immunologica o in presenza di una variante da cui non dovesse coprire il vaccino». Anche secondo Abrignani, dunque, la possibilità di un richiamo sarebbe da tenere in considerazione solo per i fragili e per chi ha risposto male alle due dosi di vaccino.
Anche Francesco Le Foche, immunologo del Policlinico Umberto I di Roma, si è espresso sulla questione: «Verosimilmente ci sarà bisogno di una terza dose di vaccino per le persone che assumono farmaci immunosoppressivi, per i trapiantati e per persone con patologie particolari (come malattie autoimmuni o patologie infiammatorie croniche) in cui la risposta al vaccino può essere ridotta», ha dichiarato in un’intervista al Corrire della Sera due giorni fa. Ma, ha aggiunto l’immunologo, «se vaccineremo almeno l'80-85 per cento della popolazione, possiamo pensare di ritornare a una quasi normalità».
Gianni Rezza, invece, direttore generale alla Prevenzione del ministero della Salute, rispondendo alle domande durante la conferenza stampa del 9 luglio sull'analisi dei dati del monitoraggio regionale Covid-19 della cabina di regia, ha dichiarato che «probabilmente un richiamo vaccinale ci sarà, anche se non sappiamo ancora quando, come e per chi».
Secondo Carlo Signorelli, ordinario di Igiene al San Raffaele, parlare di terza dose è invece «prematuro». Il professore ha detto in un’intervista al Corriere della Sera che il dibattito «sulla necessità di un boost rischia di portarci fuori strada e, se portato avanti, potrebbe diventare anche pericoloso», dal momento che, puntualizza Signorelli, ci sono ancora troppi over 60 e giovani non immunizzati. Pensare a un terzo richiamo, dunque, «potrebbe distoglierci dall’obbiettivo».
Salendo di grado, l'Ema si è espressa sul tema sottolineando che al momento «è troppo presto per confermare se e quando ci sarà bisogno di una dose di richiamo, perché non ci sono ancora abbastanza dati dalle campagne vaccinali». Dall'Oms, invece, il monito a pensare prima ai paesi poveri, molti dei quali non hanno ancora avuto la possibilità di somministrare le prime dosi.
L’avvertimento di Pfizer
Dopo che Israele ha pubblicato uno studio in cui si attestava che l’efficacia del vaccino Pfizer calava nel tempo (64 per cento in meno a giugno), la casa farmaceutica americana si è attivata per effettuare un approfondimento. Il 28 luglio, è la stessa Pfizer ad ammettere che il dato è reale: il vaccino perde d’efficacia col passare dei mesi. Tuttavia, precisa l’azienda, per chi ha completato il ciclo vaccinale la protezione rimane alta e resiste contro le infezioni gravi.
Secondo quanto suggerito da Pfizer, inoltre, un terzo richiamo potrebbe essere utile ai fini di un miglioramento dell’immunità, perché aumenterebbe di dieci volte la protezione contro la variante delta.
© Riproduzione riservata