La giunta vuole abbattere decine di piante sane per “riqualificare” un corso cittadino, anche usando fondi Ue. Dopo le proteste di piazza, primo successo in tribunale dei comitati civici contro l’amministrazione comunale
Il comune di Torino ha deciso di fare appello contro la decisione del tribunale che gli aveva imposto di sospendere l’abbattimento di un intero filare alberato cittadino. L’ordinanza di maggio voleva tutelare il diritto alla salute dei 22 cittadini di età superiore ai 65 anni, che si erano rivolti al giudice ordinario.
L’avvocatura del comune aveva contestato la competenza e anche la liceità di quel ricorso poiché i cittadini non possono «paralizzare l’azione del comune». Invece il giudice ha ribadito la propria giurisdizione e, confortato dalla Cassazione, ha dichiarato primario e assoluto il diritto alla salute del privato cittadino (art. 32 della Costituzione).
Ultima ratio
«Abbiamo fatto un ricorso cautelare non ancora usuale nel campo del diritto dell’ambiente», dice l’avvocata Virginia Cuffaro. Fra i ricorrenti anche Maurizio Stella, medico, ex direttore del Centro grandi ustionati del Cto di Torino, attivo nel comitato Salviamo gli alberi di corso Belgio. Stella si dice soddisfatto: «È stato riconosciuto il rapporto tra verde e salute, e pertanto lo scellerato progetto di sostituzione dell’alberata in un sol colpo è stato bloccato. Il taglio di alberi sani è un indirizzo gestionale profondamente sbagliato».
I cittadini di Torino si sono rivolti all’autorità giudiziaria come ultima ratio. A Roma, Lucca, Modena, Reggio Emilia, ovunque più o meno in sordina gruppi di cittadini si uniscono per difendere i propri alberi da interventi che comportano il loro abbattimento per far posto a svariati lavori pubblici. Soprattutto la cascata di finanziamenti del Pnrr produce progetti e cantieri, che escludono la cittadinanza dalle decisioni. A Torino i fondi Pon Metro React, dovevano finanziare la “riqualificazione” di due corsi cittadini, approvata dalla giunta Appendino nel settembre 2021.
La prima puntata si è svolta in corso Umbria. Qui il comune ha fatto in tempo a spendere quei soldi e ha tirato giù un filare di 73 aceri negundi, creando un’isola di calore. Alle 7 del mattino del 9 gennaio 2023 le motoseghe hanno svegliato i suoi abitanti cogliendoli di sorpresa. Sul sito del comune tre giorni dopo si dichiara gli aceri a «fine vita» e si simula il nuovo viale: alberi alti e frondosi.
In realtà sono stati piantati 101 peri orientali, alberelli ornamentali di piccolo fusto, alcuni dei quali già stecchiti dal caldo alla loro prima estate. Almeno 69 aceri, che avevano resistito all’arsura dell’estate 2022, erano sani, come certifica l’ultimo controllo del comune nel 2022, e lo dimostrano muti gli aceri frondosi rimasti nella parte non residenziale del corso, a cui si è risparmiato il nuovo «look».
Meno alberi, più caldo
Oggi si percepiscono fino a dieci gradi di differenza fra la prima e la seconda parte del corso quando si passa sulla ciclabile ricavata sul nuovo ampio marciapiede. Nelle case e nei negozi ora servono i condizionatori d’aria. Ridotti anche i parcheggi e ristretta la carreggiata, con conseguente ingolfamento del traffico. Quel precedente ha reso più che desti gli abitanti di corso Belgio, e quando le motoseghe sono arrivate l’alberata di aceri è stata difesa, prima in strada e poi nell’aula del tribunale.
Fermento anche per il parco del Meisino, area verde di 245 ettari con radure per il pascolo e zone boschive, adiacente al fiume Po, meta soprattutto di ciclisti, compresi quelli che si avventurano sulla intermittente pista VEnTO, ma anche di appassionati di ippica, del gioco delle bocce, del diskgolf o di chi si fa una passeggiata godibile soprattutto nella frescura dell’area dove c’era il galoppatoio militare dismesso da 20 anni e restituito da qualche anno dal demanio alla cittadinanza.
La zona è a protezione speciale per la sua fauna e flora terreste e acquatica, per anni è stata soggetta a interventi di rinaturalizzazione. Ebbene, 11,5 milioni di euro, attinti dal Pnrr, vogliono trasformare il parco naturale in un “Centro dello sport e dell’educazione ambientale”. Ma qui lo sport lo si pratica già ora, che senso ha spendere soldi per fare largo nel boschetto a montagne russe di legno, pedane sintetiche, bersagli, e reti perché frecce e proiettili non infilzino chi passa?
Skill bike, crossbike, biathlon, pumptrack, ski rollcross… Sport marziani collegati a infrastrutture mobili che non si sa dopo chi vorrà gestire e manutenere. Del resto da dieci anni non si trova un gestore per il vicino campetto di calcio della Borgata Rosa e per questo è stato dismesso? Novemila cittadine e cittadini hanno firmato la loro contrarietà al progetto, approvato il 9 luglio dalla giunta comunale. Il loro ragionamento è logico. Il Pnrr al capitolo “Sport e inclusione” prevede un investimento di 700 milioni di euro «per la realizzazione di interventi tesi a favorire il recupero di aree urbane, puntando sugli impianti sportivi»? Ma a Torino ci sono ben altre aree e impianti sportivi da recuperare, e da includere socialmente. Per esempio il nord-ovest della città. Qui il solo parco di una certa estensione è conosciuto col nome evocativo di “Toxic park”; una piscina con due vasche è abbandonata da anni, rifugio di emarginati e masserizie; piste ciclabili quasi inesistenti.
Decisioni calate dall’alto
«È un progetto non necessario per un luogo che richiedeva protezione naturalistica e non rilancio sportivo», dice Alice Ravinale, consigliera di Sinistra ecologista, presente in giunta con un assessore. In consiglio comunale di questo progetto non si è mai discusso. «Il Pnrr ha eliminato qualunque tipologia di confronto». Tutto questo accade mentre il 17 giugno l’Unione europea ha approvato il regolamento sul Ripristino della natura. Il nostro Paese ha votato contro. Per rifare il “look” urbano si abbattono piante, come se fosse un taglio di capelli; la loro eliminazione si chiama “riqualificazione”, come se esemplari adulti facessero sfigurare le piazze e i viali.
È il caso di dieci meravigliosi cedri dell’Atlante nella piazza Europa di Cuneo, 50 anni di età, perfettamente sani. Il comune dice che «l’attuale assetto della piazza non risponda più alle necessità di una socialità che dagli anni Settanta a oggi è profondamente cambiata». A Bussoleno invece, nel cuore della Valsusa, il comune vuole eliminare nove platani che hanno 120 anni e portano molto bene la loro età; dice che l’Agenzia del Po (Aipo) deve rifare la sponda del fiume. Ma nel progetto dell’Aipo i nove platani vengono esplicitamente salvaguardati. Anche qui si è formato un comitato: Salviamo i platani di lungo Dora.
Fioretta Gualdi è l’architetta della scuola “Fabio Besta” di Bologna, costruita negli anni Ottanta. Il comune vuole costruirne una nuova: 18 milioni di euro (il 30 per cento attinto dal Pnrr). Per Gualdi il progetto è «del tutto incomprensibile».
Il suo edificio, antisismico, è già stato ristrutturato per il risparmio energetico, rifatto l’impianto elettrico, il manto esterno integro. Con una spesa non superiore ai 5 milioni gli alunni potrebbero avere una scuola rimessa a nuovo e godere ancora del parco Don Bosco, che invece deve fare spazio al cantiere della nuova scuola e alla nuova urbanizzazione.
Bruno Morra, del comitato Salviamo il Meisino, fa un’amara considerazione: «Non ci sono prima le idee e poi i soldi, ma ci sono i soldi e ci si fa venire in mente qualcosa per spenderli. Ma spesso a escogitare le idee è chi nei luoghi in questione non ci ha mai messo piede».
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