Pestaggi con un «intento persecutorio». Tra le vittime anche un cittadino di origine rumena che ha tentato il suicidio una volta fuori dal carcere. L’inchiesta rivela un “metodo” oltre Trapani
Sono decine gli episodi brutali nel fascicolo relativo alle presunte violenze e torture nel carcere di Trapani per cui sono indagati 46 agenti, circa il 20 per cento del totale, e dieci sono finiti ai domiciliari. Tanti mattoncini che costruiscono un modus operandi che secondo il procuratore Gabriele Paci «non era episodico, bensì una sorta di metodo per garantire l’ordine».
«Un intento persecutorio». È la formula che compare con frequenza nel fascicolo, riferita all’atteggiamento che avrebbero tenuto gli agenti nei confronti di alcuni detenuti. Nella gran parte dei casi le violenze non sarebbero state isolate, ma indirizzate come mezzo di coercizione verso soggetti specifici: quelli che soffrivano di disturbi psichici e quelli più agitati.
Una delle storie più eclatanti è quella che avrebbe vissuto un detenuto romeno tra il 2022 e il 2023. C’è un episodio in cui l’uomo viene colpito da un agente con una manata in faccia durante il trasporto nel reparto di isolamento, senza che stesse opponendo alcuna resistenza. In un altro caso viene picchiato da un suo compagno e gli agenti non intervengono, osservando la scena.
Una settimana dopo, l’uomo, in biancheria intima, viene trascinato per il corridoio da due agenti e poi buttato nella cella usando la forza. «È stato picchiato in più occasioni, non aveva letto o materasso in cella e dormiva per terra, l’ho visto tutto spaccato e sporco di sangue», la testimonianza di un compagno.
Secondo il procuratore il detenuto romeno avrebbe subito in modo persecutorio un trattamento inumano e degradante da parte degli agenti. Il giorno successivo all’uscita dal carcere l’uomo si è impiccato ed è rimasto per parecchio tempo in coma in ospedale. Il suo stato di salute fisico-mentale era così compromesso nei mesi scorsi che non è stato possibile per gli inquirenti raccogliere la sua testimonianza.
Umiliazioni e razzismo
Tra le costanti che emergono dall’indagine sono le violenze, compiute da una “squadretta”, e le umiliazioni. Un detenuto viene fatto denudare completamente davanti a sette agenti penitenziari, che lo sbeffeggiano per le dimensioni dei suoi genitali. L’uomo poi viene costretto a percorrere il corridoio nudo, cosa che avrebbe causato «un verificabile trauma psichico».
Una notte di aprile 2023 un gruppo di agenti si scontra verbalmente con un altro detenuto in stato di agitazione. Come emerge dalle intercettazioni, gli agenti decidono di fargliela pagare e organizzano una spedizione punitiva. Uno di loro entra in bagno ed esce poi con un secchio pieno di liquido.
«È pisciazza immischiata con l’acqua», rivela a un collega. Poi la secchiata di acqua e urina viene lanciata contro il detenuto dallo spioncino. L’uomo inveisce contro gli agenti, che decidono di sedarlo contro la sua volontà: recuperano una sigaretta da un vicino di cella, ci mettono una qualche sostanza chimica dentro e gliela danno da fumare. «C’ho paura che arriva a morire», confida uno dei due agenti all’altro.
Il procuratore scrive che a Trapani, nel periodo sotto indagine, è emerso un «totale disprezzo della figura del detenuto». Nei confronti dei reclusi è stato usato un linguaggio offensivo, come «coso inutile», «sei un cane», «ammazzati», con anche la matrice razzista. In un’intercettazione un gruppo di agenti parla di come picchiare i detenuti senza lasciare segni.
Qualcuno suggerisce di coprire il colpo con un lenzuolo, che poi è quello che sarebbe stato fatto in ospedale a danno di un detenuto ricoverato, secondo quanto ricostruito nell’indagine. Riferendosi a un altro detenuto un agente sottolinea che il metodo del lenzuolo non serve perché «tanto è nero e non si vede un cazzo».
Il metodo Ivrea
Tra gli episodi più inquietanti c’è il riferimento diretto, da parte di uno degli agenti sotto indagine, a un altro carcere su cui sono accesi i riflettori della magistratura. «Gli si devono dare legnate… i colleghi non si toccano… a Ivrea noi facevamo così, appena toccavano un collega… a sminchiarli proprio», dicono intercettati.
Il riferimento è all’inchiesta su una ventina di agenti del carcere di Ivrea rinviati a giudizio dopo un’indagine sulle presunte violenze sistematiche commesse nel carcere piemontese a partire del 2015. L’accusa, che era di tortura, è stata derubricata a lesioni, ma l’intercettazione venuta fuori da Trapani potrebbe rimescolare le carte e aprire un nuovo filone d’indagine.
Sul clima di terrore creato dagli agenti a Trapani pesano invece anche alcune dichiarazioni dei detenuti, che entrano nel campo della manipolazione mentale. «Non avevo denunciato le botte perché pensavo di essermele meritate», racconta uno di loro. «Non essendo mai stato in galera credevo che fosse normale tutto questo», confida un altro.
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