Una ex manager della National oil company (Noc) rivela come funziona il contrabbando di petrolio che viaggia sulla rotta Italia-Malta-Libia. Gli uomini che lo gestiscono sono gli stessi capi milizia, trafficanti di uomini segnalati dal Consiglio Ue. E dall’altra parte trovano i clan di camorra nostrani.
- Una ex manager della National oil company (Noc) rivela come funziona il contrabbando di petrolio che viaggia sulla rotta Italia-Malta-Libia.
- Gli uomini che lo gestiscono sono gli stessi capi milizia trasformati in capi militari e guardia costiera, trafficanti di uomini.
- Alcuni sono anche segnalati da Onu e Consiglio dell'Unione europea, come l'imperatore del traffico di petrolio di Zawiya, Mohammed Kachlaf, uomo dai mille nomi, noto come al Qasab o al Hadi.
C'è un mercato fiorente e inarrestabile che collega Libia, Malta e Italia. È il mercato del carburante illegale che vale miliardi, al centro di faide sanguinarie e di un sistema corruttivo diffuso.
Ci sono le barche da pesca usate per il trasbordo del gasolio e della benzina, ci sono i fucili usati per ammazzare i soldati delle milizie avversarie, ci sono i soldi che girano dai due lati del mare tra i trafficanti libici e quelli italiani che riversano in patria il carburante illegale. I libici usano i soldi per garantirsi controllo territoriale, capacità corruttiva e continuazione del conflitto, gli italiani guadagnano perché comprano a poco il prodotto petrolifero sbaragliando la concorrenza.
Il patto criminale tra sodalizi libici, maltesi e italiani resta intatto nonostante le inchieste giudiziarie. Le indagini non riescono a interrompere gli affari e le richieste di estradizione delle autorità italiane nei confronti dei boss libici sono carta straccia in quella terra caotica che è la Libia. Il petrolio e il carburante seguono tre grandi rotte: Iraq-Turchia-Europa; Polonia-Slovenia-Italia; Libia-Malta-Italia. Quest’ultimo è un tragitto che incrocia gli interessi di chi investe anche sul primo percorso seguito dal contrabbando.
Alle origini del contrabbando
Il traffico di esseri umani di cui tanto si parla ne cela in realtà un secondo e un terzo: petrolio e armi, a gestirli sono sempre gli stessi. Come funziona e chi ci guadagna lo spiega un ufficiale della marina libica e due agenti della guardia costiera che fino a un anno fa, a La Spezia, hanno frequentato corsi di aggiornamento tenuti dalla nostra polizia per formarsi dopo gli accordi voluti dall’ex ministro Marco Minniti con il memorandum Roma-Tripoli, con l’obiettivo di trasformare i guardia coste libici in una polizia del mare in grado di bloccare le partenze dei migranti.
Un ex manager della National oil corporation (Noc), la compagnia nazionale petrolifera libica, ci spiega, invece, come è nato questo mercato del petrolio sporco che non conosce crisi. La produzione di gasolio e benzina, in Libia, è affidata alla raffineria di Zawiya. Prima del 2011 erano in funzione anche altre due raffinerie poi chiuse. La compagnia di bandiera è la Brega petroleum marketing company, sussidiaria della Noc, ma a occuparsi della distribuzione ci sono quattro società che riforniscono le stazioni di benzina. Quest’ultimo passaggio è l’anello debole, il varco usato dai contrabbandieri.
«Sul litorale di Zuara c’è una fila infinita di stazioni di servizio: in dieci chilometri trovi venti stazioni che non hanno neppure una pompa di benzina funzionante. Sono abbandonate, c'è in bella vista il logo della società di distribuzione, ma dietro il recinto non trovi niente», dice l'ex manager del Noc. Stazioni di benzina che sono il meccanismo di approvvigionamento illecito del carburante perché non ci sono controlli a differenza di quanto accadeva durante il lungo regime di Gheddafi.
«Il trasporto avviene in autocisterne con una capacità di carico di 40mila litri. Si dovrebbe autorizzare l’autocisterna con una ispezione iniziale munendola di un contatore, ma nella realtà non c'è alcun controllo sulla sorte di quel prodotto, l'importante è solo il pagamento. Quando tutte le stazioni erano proprietà dello Stato non era così, c’era controllo, c’erano autorizzazioni e sigilli ai contatori. Il traffico illecito parte proprio quando arriva il carico alla stazione di servizio», dice ancora l’ex alto dirigente. La stazione di servizio compra, ma non eroga alcun prodotto, i litri di greggio prendono la strada del contrabbando destinato all’Italia.
In questi anni a Zuara, nella zona di Abu Kammash i contrabbandieri hanno costruito grandi depositi che vengono riforniti con le autocisterne che dovevano arrivare nelle stazioni di benzina. I depositi sono collegati con il mare attraverso tubi che iniettano il prodotto in piccole navi, che caricano e partono. Queste imbarcazioni passano il loro carico a pescherecci in alto mare che si dirigono, per lo più, verso Malta. Poi c’è il traffico che avviene direttamente nel porto di Zuara dove le autocisterne, invece di dirigersi verso la stazione di benzina di destinazione, scaricano direttamente su navi attraccate.
C'è un’isola, in Libia, si chiama Farwa, che è controllata dalle milizie e si è trasformata in un enorme stoccaggio di greggio illegale. «Ci sono grandi stazioni di pompaggio, proprio come quelli che vedi nei porti. Questi impianti servono per pompare la benzina all'interno di tubi sotto acqua che vengono agganciati a una grande nave», dice l’ufficiale della marina libica. In questo gigantesco affare le milizie hanno un ruolo centrale.
I ras del traffico
Chi sono i signori del traffico di carburante? Uno degli uomini di questo traffico è sicuramente Abd al-Rahman al-Milad, meglio noto come Bija, di recente arrestato dalle autorità libiche. Agente della guardia costiera, sospettato come trafficante di uomini, ma soprattutto come trafficante di petrolio. «È il pupillo dell'imperatore del traffico di petrolio in Al Zawiya, Mohammed Kachlaf, meglio noto come al Qasab», racconta l'ex manager del Noc.
Al-Qasab o al-Hadi è indicato come uno dei signori del traffico di uomini e non solo. Il consiglio dell'Unione europea ha diramato una nota, lo scorso febbraio a proposito di questo soggetto segnalando la sua pericolosità. «È il capo della brigata Shuhada al-Nasr a Zawiya, nella Libia occidentale. La sua milizia controlla la raffineria di Zawiya, polo centrale delle operazioni di traffico dei migranti (…) Come indicato da varie fonti, la rete di al-Hadi è una delle reti predominanti nel settore del traffico dello sfruttamento dei migranti in Libia. Al-Hadi ha numerosi legami con il capo dell'unità locale della guardia costiera di Zawiya, Abd al-Rahman al-Milad, la cui unità intercetta le imbarcazioni che trasportano migranti, spesso appartenenti a reti rivali di trafficanti di migranti. I migranti sono poi portati in strutture detentive sotto il controllo della milizia Shuhada al-Nasr, dove sarebbero detenuti in condizioni critiche. Il gruppo di esperti sulla Libia ha raccolto prove secondo cui i migranti erano spesso vittime di percosse. Ha inoltre concluso che al-Hadi collabora con altri gruppi armati ed è stato coinvolto in ripetuti scontri violenti nel 2016 e nel 2017», si legge nella nota europea che documenta i traffici e gli affari del criminale libico.
La guerra tra milizie, quelle di Zintan e Zawiya, è un'eterna guerra tra due potenti gruppi dovuta non solo al traffico di migranti, ma soprattutto al commercio illegale di carburanti.
Altri due signori dei traffici sono stati coinvolti in una inchiesta della procura di Catania, ma sono tuttora latitanti. Sono state inoltrate richieste di estradizione, rimaste lettera morta. L'inchiesta, ribattezzata “Dirty oil”, è del 2017, condotta dalla guardia di finanza. Il processo in corso è l’accusa a una rete di trafficanti che portavano, attraverso la falsificazione dei certificati di origine del prodotto, in depositi fiscali italiani, dove viene stoccato e poi distribuito. Il gasolio proveniva dalla raffineria libica di Zawiya. Trasportato dalla Libia anche attraverso operazioni ship to ship a largo di Malta: una nave più grande consegna in alto mare a un’imbarcazione più piccola.
Dall’inchiesta di Catania emerge il ruolo Tareq Dardar, la giustizia italiana lo cerca da tre anni. Il suo è un profilo da contabile, da «collettore di flussi finanziari», si legge nelle carte dell'inchiesta. Uno degli imputati il titolare della Maxcom, Marco Porta, pagava i trafficanti attraverso conti correnti tunisini verso conti esteri, in Libia e negli Emirati Arabi, riconducibili al trafficante Fahmi Ben Khalifa.
Tareq Dardar per incassare i pagamenti aveva costituito una società tunisina, gestita però da Malta da Darren Debono, ex calciatore maltese, e da Nicola Orazio Romeo, vicino al clan mafioso siciliano Santapaola, entrambi sotto processo.
Il gruppo che ha gestito uno dei traffici più imponenti degli ultimi anni usava tra i depositi fiscali anche la società veneziana Decal destinataria di milioni di euro dall'Unione europea ma non indagata. Un deposito che figura in tutte le recenti inchieste sul greggio illegale, inchieste che coinvolgono clan di camorra e di mafia.
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