L’Isis ha rivendicato l’attentato in Austria. Intanto gli investigatori italiani seguono i soldi per collegare il killer francese, passato dal nostro paese, alla cellula. Dopo la caduta del califfato, tutto passa per le chat di Telegram e Zello. Anche in Italia, con un ex detenuto che racconta: «Avevo deciso di farmi esplodere»
- A differenza di quanto accaduto in Francia nelle settimane scorse c’è un salto di qualità nella strategia di attacco, anche se non a livello degli attentati di Parigi del 2015. Un attacco in sei diversi punti, coordinato e con pistole e fucili automatici, ma di un uomo solo e non di un commando come si ipotizzava nell’immediatezza.
- Chi indaga è concentrato sul capire se esistono connessioni tra i fatti di Nizza, di Avignone e Vienna. Il monitoraggio è stato avviato anche in Italia perché il killer di Nizza che ha decapitato una donna e ucciso altre due persone nella chiesa di Notre Dame è arrivato in Francia passando dall’Italia.
- Intanto da un verbale del 2015 si scopre che un ex detenuto ha raccontato agli agenti il suo indottrinamento: era pronto a farsi saltare in aria. E alcuni documenti riservati raccontano come comunicano in maniera sicura, anche da noi, i miliziani della jihad.
Un uomo vestito di bianco con una cintura esplosiva finta, un fucile e una pistola di riserva, lucido nell’esecuzione. Il ragazzo, 20 anni, aveva espresso fedeltà allo Stato islamico, hanno detto i media e la polizia austriaca. Di certo quel ragazzo appena maggiorenne ha riportato il terrore nel cuore dell’Europa. A differenza di quanto accaduto in Francia nelle settimane scorse c’è un salto di qualità nella strategia di attacco, anche se non a livello degli attentati di Parigi del 2015. Un attacco in sei diversi punti, coordinato e con pistole e fucili automatici, ma di un uomo solo e non di un commando come si ipotizzava nell’immediatezza. Le indagini diranno se si tratta di un lupo solitario o di una cellula Isis attiva sul territorio europeo. Chi indaga è concentrato sul capire se esistono connessioni tra i fatti di Nizza, di Avignone e Vienna.
Seguire i soldi
Il monitoraggio è stato avviato anche in Italia perché il killer di Nizza che ha decapitato una donna e ucciso altre due persone nella chiesa di Notre Dame è arrivato in Francia passando dall’Italia. I detective, da quanto risulta, sono sulle tracce di transazioni finanziarie effettuate con Money transfer. Sono diversi i contatti tra il terrorista di Nizza e altri tunisini dislocati tra Trapani, l’Emilia e la Francia. Un dato, però, ha colpito gli investigatori dell’antiterrorismo: alcune transazioni sono state fatte con la cripto valuta, i bitcoin, impossibile tracciarle e capire l’ammontare. Al momento non è emerso alcun legame tra i terroristi francesi con l’attentatore viennese. Ma è arrivata la rivendicazione dell’Isis che definisce Kujtim Fejzulai, l’attentatore di Vienna, «un nostro soldato». Un miliziano fedele al nuovo califfo: Abu Ibrahim al Qurashi, l’erede del più noto Abu Bakr al Baghdadi.
L’unità operazioni esterne
Una novità rilevante. Perché vuol dire che l’Isis è in grado di portare la guerra in Europa anche senza Raqqa capitale del Califfatto islamico, liberata dalle forze alleate e dai partigiani curdi, e senza il leader che ha seminato il terrore ovunque, al Baghdadi, ucciso il 26 ottobre 2019.
La sconfitta di Raqqa, infatti, è stata un duro colpo. Qui era localizzata «l’unità operazione esterne», rivelano alcuni documenti dell’antiterrorismo: «Una struttura dello Stato islamico che nel 2015 contava circa 1500 combattenti, e curava l’addestramento dei foreign fighters con un corso di 4-5 settimane per trasformarli in attentatori suicidi». È il dipartimento che si occupava della strategia stragista in giro per l’Europa: «Da qui sono partiti gli uomini per i massacri di Parigi, Bruxelles, Ankara e Beirut». I soldati di questa unità sono stati addestrati a utilizzare i diversi tipi di armi, a confezionare cinture esplosive e bombe, a occupare edifici, a eseguire rapimenti e prendere ostaggi, oltreché a usare canali sicuri di comunicazione. Questa struttura a Raqqa non c’è più. E resta da capire dove sia stata trasferita e se il «soldato di Vienna» è in qualche entrato in contatto con i vertici. Lo stesso vale per l’ufficio comunicazione, che rispetto all’epoca di al Baghdadi, è meno visibile: «Da informazioni acquisite da jihadisti pentiti, impegnati in Siria con l’ala mediatica dell’Isis, è emerso che l’ufficio multimediale con sede a Raqqa, era di grandi dimensioni, con materiale all’avanguardia tecnologica con circa 120 telecamere, difficile accedervi perché si trovava in un luogo segreto. Lo studio era dotato di una stazione radio, studio registrazione e un teatro di posa. Nel 2014 e 2015, l’organizzazione spendeva un budget di circa 2 milioni e mezzo di dollari all’anno, solo per gli studi di Raqqa».
Quando la capitale è caduta, segnalano i detective, c’è stato un crollo dell’attività propagandistica con i prodotti multimediali pubblicati passati da 150 al giorno a poco meno di 20 dopo la liberazione della roccaforte siriana dell’Isis. L’assenza di queste due strutture strategiche potrebbe spiegare perché non sempre alle recenti azioni non è seguita una rivendicazione diretta dell’ufficio propaganda dell’Isis, ma esistono soltanto video di affiliazione dei singoli attentatori. Fino a Vienna, dove l’agenzia ufficiale dell’Isis è tornata a far sentire la propria voce mettendo il timbro sulla carneficina di Vienna. Tuttavia, «non è più l’Isis che abbiamo conosciuto», spiega un’autorevole fonte dell’antiterrorismo, «è l’organizzazione ha comunque risentito dei colpi inferti a Raqqa e dell’assenza di un leader come al Baghdadi».
Jihad in carcere
L’attentatore di Vienna non era mai stato in Siria, era austriaco. Era stato in carcere, sospettato di appartenere a gruppi fondamentalisti e fermato prima che partisse per il califfato. I penitenziari però sono luoghi di radicalizzazione, come documentano centinaia di indagini di tutta Europa. E tra quelle mura potrebbe avere raffinato le proprie competenze e terminato l’indottrinamento. C’è, per esempio, un caso inedito che riguarda l’Italia. Un detenuto che nel 2015 ha denunciato dal carcere: «Ho fatto per tre giorni “la strada per vedere dio” in Garfagnana ( provincia di Lucca)», si legge nel verbale, «mi hanno fatto il lavaggio del cervello a leggere e ascoltare corano e altri libri... Quando ho finito i tre giorni ero talmente fuori di testa che sono andato a parlare con un marocchino giovane, che dicevano che lui non dormiva mai e pregava il corano giorno e notte e gli ho chiesto come potevo farla finita e farmi esplodere e lui mi ha risposto che era ancora presto».
Il detenuto ha spiegato agli agenti che aveva deciso parlare perché «non condivideva quello che era successo». Nel verbale fa nomi e cognomi di Imam itineranti che negli anni bui degli attacchi al cuore dell’Europa facevano proselitismo in Italia. Reclutamento che avviene anche attraverso canali e chat su applicazioni di messaggistica come Telegram e Zello, uno dei sistemi di comunicazione meno monitorati e utilizzati dai militanti dell’Isis. Funziona come una sorta di walkie talkie: messaggi solo vocali, nessuna traccia scritta. Il canale «Ansar al Dawla al Islamiya» è stata una palestra di proselitismo. Ma è possibile anche comunicare durante le azioni sul campo. E sempre su Zello il profilo “Lo stato del califfato islamico” diffondeva in italiano i consigli ai lupi solitari su come colpire i «miscredenti» europei. L’ultima frontiera del terrore.
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