«Lo stato italiano è pazzesco, è una cosa...vogliono essere inculati praticamente», dice Nicola Bonfrate al suo interlocutore. Rientrano entrambi tra i settantotto indagati per truffa ai danni dello stato nell’indagine della guardia di finanza ribattezzata ‘free credit’. La presunta maxi frode, che secondo i finanzieri di Rimini, si aggira intorno ai 440 milioni di euro e riguarda i crediti d’imposta ai quali accedono privati e imprenditori grazie ai bonus contenuti nel decreto rilancio approvato dal governo.

L’organizzazione agiva attraverso decine di aziende e società per aggirare i controlli dell’Agenzia delle entrate grazie al contributo indispensabile di una rete di commercialisti. I soldi venivano poi investiti all’estero e in criptovalute.

La strategia della frode

Le truffe riguardavano i crediti d’imposta per tre diverse agevolazioni messe a disposizione dal governo: bonus locazioni, sismabonus e bonus facciate. Il copione è sempre lo stesso. Tramite commercialisti e amicizie si andava alla ricerca di società in difficoltà economica con atti di locazione immobili non ad uso abitativo attivi, operanti in qualsiasi settore merceologico, per ottenere il bonus locazioni. Per quanto riguarda il sisma bonus e il bonus facciate venivano ricercate e impiegate aziende del settore edilizio.

«Mi servono società, anche società al macero, anzi meglio, meglio che siano al lacero» dice Nicola Bonfrate, considerato uno dei capi del sodalizio criminale. «Bisogna stare attenti, bisogna avere persone fidate, persone anziane...», avvertiva i suoi chiedendo anche di trovare società sparse in tutto lo stivale altrimenti i «burocrati», così li chiama, se ne accorgono.

Una volta individuate, il rappresentante di diritto della società veniva sostituito con un prestanome o con altri soggetti reclutati dai truffatori. Attraverso 22 prestanome gli imputati ottenevano le credenziali di accesso all’area riservata dell’Agenzia delle entrate e inserivano le comunicazioni di cessione crediti d’imposta locazioni e quelle relative ai bonus edilizi.

Per rendere ancora più difficile i controlli da parte dell’Agenzia delle entrate e ostacolare la ricerca della documentazione contabile, i presunti truffatori pianificavano ripetuti trasferimenti di sede delle società sul territorio nazionale.

Venivano creati crediti d’imposta con dati fittizi dichiarando, per esempio, di aver pagato canoni di locazione di importi molti più alti di quelli sostenuti, oppure di aver effettuato lavori edili mai iniziati. «In quindici giorni amma’ caricà 50 milioni... tre persone che ci lavorano», dice Bonfrate in un’altra intercettazione. «Loro di notte lo fanno, se mettono: pizza, panini, birra, patatine sul tavolo... cioè quando diventa un business diventa un lavoro, o si fa o si fa». Un lavoro certosino, ci vuole tempo, ma alla fine i risultati ripagavano la “fatica”.

La prima cessione del credito avveniva sempre a una società riconducibile agli autori della truffa. Dopo aver accertato la presenza dei crediti d’imposta inesistenti nel cassetto fiscale del sito dell’Agenzia delle entrate, iniziava la canalizzazione dei crediti verso una rete di vendita gestita da soggetti compiacenti distribuiti sull’intero territorio nazionale. Un secondo passaggio prevedeva anche la cessione dei crediti ottenuti a società terze inconsapevoli dell’inganno.

Il profitto della frode veniva poi utilizzato per effettuare investimenti sia nel settore commerciale che immobiliare, oppure veniva veicolato verso alcune società, attraverso una fatturazione di comodo, per essere monetizzate in contanti. I crediti d’imposta fittizi venivano caricati su carte di credito per essere poi ritirati attraverso i bancomat, o investiti in criptovalute (quasi cinque milioni), in oro e argento, o ancora in società estere con sede a Malta e Cipro difficili da raggiungere.

L’organizzazione

La base operativa del sodalizio criminale era a Rimini, ma i complici erano in diverse regioni come l’Emilia Romagna, la Puglia e la Campania. Otto indagati sono finiti in carcere, mentre altri quattro sono andati ai domiciliari. Per loro, secondo gli inquirenti, esiste pericolo di fuga. Venti imprenditori sono stati interdetti dall’esercizio di impresa e tre commercialisti dall’esercizio della professione.

La Guardia di finanza ha eseguito 80 perquisizioni e sequestrato i falsi crediti, oltre ai beni e agli assetti societari contestando il reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello stato. Tra le persone finite al centro dell’indagine, nove avevano presentato domanda di reddito di cittadinanza e tre avevano precedenti di polizia per associazione a delinquere di stampo mafioso. La nuova frontiera della criminalità sono i bonus messi a disposizione dello stato per far fronte alla pandemia e non solo. Inutili gli allarmi dei procuratori antimafia che dal 2020 hanno chiesto alle autorità di essere vigili sulle manovre varate dal governo, solo con il super bonus sono state scoperte truffe per circa 4 miliardi di euro. «Fatta la legge, trovato l’inganno» commentavano i truffatori.

© Riproduzione riservata