L’interesse globale per il mercato del vino ha travalicato i confini nazionali, spingendo a incrementare la realizzazione di vigneti industriali. Le superfici coltivate a vite nel nord-est Italia sono aumentate sensibilmente ma questo tende ad appianare la biodiversità del territorio.
Il vino, come ci ha insegnato Noè, è un piacere da gustare con moderazione. L’arte di produrre vino è radicata nella storia dell’umanità, e l’Italia ne rappresenta uno dei principali attori globali. Tuttavia, dietro l’etichetta dorata di una bottiglia si nascondono alcune sfide importanti che riguardano l’ambiente, la salute e la democrazia.
Negli ultimi anni l’interesse globale per il mercato del vino ha travalicato i confini nazionali, spingendo a incrementare la realizzazione di vigneti industriali. Secondo l’Osservatorio Uiv, Ismea e Vinitaly nel 2022, il vino prodotto in Italia, nonostante l’erosione dei margini di guadagno, ha chiuso con un bilancio positivo di 7,3 miliardi. Secondi solo alla Francia per incassi totali, i vigneti nostrani sono leader mondiali per produttività. Apre la fila il Prosecco coltivato sulle colline di Conegliano e di Valdobbiadene, patrimonio Unesco dal 2019, e che da solo rappresenta il 20 per cento della crescita dei volumi.
Contrariamente a un trend nazionale in declino, specialmente nelle isole, le superfici coltivate a vite nel nord-est Italia sono aumentate sensibilmente. Complice il successo dei vini spumanti, le aree adibite a vigneto tra Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige sono passate da 70mila ettari nel 2010 a 100mila nel 2021.
Si tratta, in apparenza, di una visione idilliaca delle nostre colline, la cui bellezza non manca di essere celebrata all’estero, ma che in realtà tende ad appianare la biodiversità del territorio. «Il nostro mondo biologico per funzionare deve essere complesso e diversificato a tutti i livelli: più lo semplifico e meno funziona», spiega Vittorio Mascagno, consulente ambientale e già Coordinatore del Corpo forestale dello stato di Verona.
Impatto sul territorio
La retorica del vino, infatti, tende a legare tradizione e innovazione con lo scopo di omettere l’impatto sociale e ambientale che la viticoltura industriale necessariamente ha sul territorio.
I moderni vigneti raggiungono ormai un’estensione unitaria di decine di ettari e richiedono l’utilizzo di grandi macchinari che necessitano di pendenze perfettamente curate, canalette di sgrondo anche sotterranee e importanti quantità di antiparassitari.
Nel passato, ricorda Mascagno, «le vigne erano perfettamente inserite nell’ecosistema»: tutta la catena produttiva, dal concime animale fino ai canali di scolo regolarmente mantenuti, era pensata per integrarsi in un ambiente, quello del territorio vissuto dalla famiglia contadina, ricco anche di boschi, oggi percepiti come una presenza ingombrante già in fase di progettazione. Spesso, infatti, i vigneti si trovavano vicino a boschi naturali, la cui estensione viene oggi minacciata dall’agricoltura intensiva: contrariamente alle coltivazioni autoctone, al vigneto oggi serve omogeneità e uniformità di spazi per prosperare. Inoltre, le coltivazioni di viti, moltiplicate per talee con identico patrimonio genetico, sono vulnerabili alle stesse malattie e quindi richiedono ripetuti trattamenti antiparassitari i cui effetti sulla salute umana sono oggetto di una direttiva europea volta a monitorare e legiferare in materia.
Per massimizzare la produzione, tali coltivazioni necessitano di un buon substrato drenante: «Sfortunatamente», ricorda l’agronomo, «le piogge massicce rischiano di sovraccaricare i canali di scolo e formare colate di massa ghiaiosa che, in mancanza di vegetazione arborea, possono muoversi pericolosamente minacciando la sicurezza degli abitanti e delle infrastrutture a valle». La prima cautela sarebbe dunque quella di adottare pendenze modeste e di non creare pendici uniformi o troppo lunghe. «Purtroppo, spesso precauzione e portafoglio non viaggiano su binari paralleli».
Di recente, l’impatto della viticultura industriale nel nord Italia è stato oggetto del discusso documentario Apocalypse Wine, un discorso civile sul “paesaggio incongruo”. Il filmato, realizzato nel 2022 dagli studenti del quarto anno di meccanica dell’Isiss Luciano Dal Cero di San Bonifacio di Verona insieme al loro insegnante di lettere, Simone Gianesini, problematizza le conseguenze sociali e ambientali dell’espansione dell’industria vinicola nella regione veneta.
Il progetto, nato con l’intento di contestare lo spirito di un bando regionale, volto, secondo Gianesini, «alla mera celebrazione dell’esistente», è ben presto uscito dai confini scolastici per entrare a pieno titolo nel dibattito pubblico italiano: «A scuola si stimola lo spirito critico, non lo si castra presentando tesi preconfezionate». Contestando infatti la retorica del vino, volta a glorificare il paesaggio come palcoscenico di un mondo ideale, i ragazzi hanno voluto mostrare come l’espansione della cultura della vite a uso e consumo di un gruppo ristretto di aziende, limiti di fatto la sovranità popolare. «Una ristretta oligarchia agraria», rincara Gianesini, «minaccia la democrazia a tutti i livelli».
La disputa sta infatti nella distinzione tra le categorie di territorio e paesaggio declinate in un’ottica collettiva: è infatti la comunità umana, attraverso il suo intervento nel tempo a creare la dimensione paesaggistica di un ambiente.
«Il paesaggio», argomenta il docente, «è una cartina al tornasole della democrazia», in quanto esso è prima di tutto un valore comune che influenza la formazione e la trasformazione della società in un costante dialogo tra ambiente e abitanti.
I dati
Secondo l’Istat, tra il 2000 e il 2020, a fronte di una riduzione del 68 per cento delle aziende vitivinicole, la superficie coltivata nel nord est del paese è aumentata del 42 per cento. Di conseguenza, nel solo 2021 sono stati venduti nella sole province di Verona e Treviso 10,6 milioni di kg-litri di pesticidi, il 66,7 per cento dell’intero mercato regionale.
Il dato allarma Marcos Orellana, relatore speciale delle Nazioni unite su tossicologia e diritti umani, che in una nota ufficiale del 2021 si dice preoccupato per «l’aumento significativo del volume di pesticidi utilizzati in Veneto, in particolare nelle zone di coltivazione del vino prosecco. La zona è uno dei maggiori consumatori di pesticidi per ettaro del paese, con un equivalente di un metro cubo di pesticidi per abitante all’anno». In particolare, continua Orellana, è stata rilevata la presenza di Clorpirifos, un pesticida neurotossico a impatto negativo sul neurosviluppo dei bambini, nei parchi giochi in prossimità di zone agricole.
Il quadro generale è, nelle parole di Gianesini, «una sproporzione evidentissima fra la capacità di intervenire sul paesaggio e la ricaduta sociale». Il docente non esita a citare l’articolo 41 della Costituzione che afferma la legittimità e la tutela dell’impresa a condizione che essa abbia un valore sociale, per argomentare l’impatto negativo che una troppo libera gestione del paesaggio ha sullo stato della democrazia italiana.
Per Mascagno, l’occupazione del suolo a scopo produttivo «ricorda il dilagare dello sviluppo industriale nel secolo scorso e l’ampliarsi apparentemente senza freni dell’agricoltura intensiva». In entrambi i casi, l’impatto sui residenti e l’ambiente circostante sono stati troppo alti per giustificare i momentanei vantaggi competitivi del mercato. L’aumento delle temperature ha, infine, reso possibile la coltivazione della vite dagli storici 600 metri agli oltre 1000 attuali. «I terreni di montagna vengono comprati a prezzi modesti e convertiti in vigneti con valori di mercato ben più alti», nota Mascagno.
Va poi ricordato che spesso la monocoltura della vite avviene a scapito delle colture essenziali per la nostra alimentazione.
Eppure, come ci ricorda la crisi del grano in Ucraina, una nazione dovrebbe amministrare le proprie risorse con l’obiettivo di limitare la dipendenza da paesi potenzialmente ostili. «Non si tratta di autarchia», sottolinea Mascagno, «ma di prudenza». Poter disporre, ad esempio, di cereali locali, che non siano stati stipati in navi e magazzini per mesi e soggetti a trattamenti antiparassitari prima di esser lavorati, è una risposta alle esigenze salutistiche e, in casi più gravi, nutritive della popolazione.
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