A Malpensa, nel 2023, più di 200 stranieri sono stati rinchiusi in cella per giorni. Non potevano comunicare con l’esterno. Una cubana ha fatto ricorso, vincendolo
In Italia ci sono luoghi di detenzione amministrativa ancora più invisibili dei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Come le zone di transito degli aeroporti, aree franche dove le persone straniere a cui è precluso l’ingresso nel territorio nazionale rimangono per giorni, private della libertà personale e costrette a sopravvivere in locali inadeguati e isolati dal mondo esterno. In assenza di un quadro normativo di riferimento.
L’articolo 10 del testo unico dell’Immigrazione stabilisce che quando un cittadino straniero arriva in Italia, se non è in possesso della documentazione necessaria o è segnalato, può essere respinto ai valichi di frontiera. Per la legge italiana il respingimento deve essere immediato, ma, dal momento che per molte destinazioni gli aerei non hanno cadenza quotidiana, il respingimento in aeroporto si trasforma in una detenzione non regolamentata che può andare avanti per giorni.
Zona grigia
Hanyi, 37enne cubana, ha vissuto questa esperienza in prima persona. Al ritorno da una vacanza a Cuba, durante la quale le era decaduto il permesso di soggiorno perché stava divorziando dal marito italiano e non viveva più con lui, si è vista bloccare l’ingresso nel paese all’aeroporto di Malpensa.
«Mi è cascato il mondo addosso. Vivevo in modo regolare in Italia da anni, avevo un lavoro, non capivo cosa mi stesse succedendo perché nessuno mi comunicava nulla», spiega. Le autorità di frontiera l’hanno rinchiusa in una sala con altre persone. «Era come un labirinto privo di finestre e orologi», ricorda. «Per cinque giorni non ho avuto idea di che momento della giornata fosse, era una situazione umiliante».
Qua e là c’era buttata qualche brandina da campo, le coperte erano quelle dell’aereo. Ad Hanyi è stato sequestrato il cellulare e non è stato permesso di recuperare gli effetti personali nella sua valigia. «Sono stata cinque giorni con gli stessi vestiti, per fortuna due donne moldave mi hanno prestato una felpa», continua. «Non avevo nemmeno uno spazzolino e non ho potuto fare la doccia per tutto il tempo della detenzione».
«Nelle zone di transito aeroportuale le persone sono detenute in maniera del tutto informale», sottolinea Annapaola Ammirati, operatrice legale dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). «Le persone di fatto sono private della libertà personale senza un provvedimento, e quindi senza la possibilità di fare ricorso». Hanyi in effetti è stata rimpatriata a Cuba e solo da quel momento ha potuto parlare con il suo avvocato, per capire come tornare in Italia.
Durante tutta la permanenza nell’area di transito di Malpensa le è stata vietata ogni forma di comunicazione, una prassi che viola tanto il diritto alla difesa quanto il diritto alla richiesta di una tutela giurisdizionale. E che si verifica di frequente.
«Spesso accade che le persone vengano effettivamente rispedite nei loro paesi di origine perché non gli è stato dato modo di entrare in contatto con chi avrebbe potuto aiutarli, come interpreti, mediatori o avvocati, come sarebbe loro diritto», denuncia Ammirati. Come ribadisce un report sulle aree di transito aeroportuali dell’Asgi, «le autorità attuano sistematicamente prassi lesive dei diritti dei cittadini stranieri finalizzate a impedirgli l’ingresso nel paese» e a subirne gli effetti sono stati nel tempo richiedenti asilo, soggetti vulnerabili e anche minori non accompagnati.
Nel report ampio spazio viene dedicato alle condizioni di trattenimento delle persone straniere. Vengono denunciate situazioni di sovraffollamento, con più persone presenti rispetti ai posti di fortuna organizzati nella sala, ma anche l’assenza di prassi obbligatorie per legge in caso di privazione della libertà personale, come l’accesso giornaliero all’aria aperta e una qualche forma di luce naturale.
Non è un caso che il tribunale di Brescia, pronunciandosi sul caso del respingimento di Hanyi a Cuba e decretandone l’illegittimità, abbia rilevato una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quello che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti.
Un uso sistematico
Chi è recluso nelle zone di transito aeroportuali non può comunicare con l’esterno, ma anche chi è all’esterno fa fatica a sapere cosa succede in queste aree franche del diritto.
Nel 2021 la richiesta dell’Asgi di visita a Milano Malpensa e Roma Fiumicino in quanto luoghi di privazione della libertà personale, dunque accessibili alla società civile, è stata negata dal ministero dell’Interno. Solo nel febbraio 2023 il quadro è cambiato, con la sentenza del Tar del Lazio che ha dato ragione all’associazione. Questo ha permesso anche di avere accesso a qualche dato.
Nel primo semestre del 2023 nella zona di transito di Milano Malpensa 215 persone sono rimaste recluse tra le 24 e le 48 ore, 14 persone per circa 48 ore, tre persone per tre giorni e una persona per quattro giorni.
Su Fiumicino i dati sono meno strutturati, ma si parla di permanenze fino a cinque giorni. Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute parla di detenzioni che arrivano fino a otto giorni e «condizioni che non soddisfano i requisiti minimi standard stabiliti per la detenzione amministrativa ordinaria».
Anche il Comitato europeo per la prevenzione della tortura si è espresso sul tema, stabilendo che le zone di transito aeroportuali non sono attrezzate per privazioni della libertà personale superiori alle 24 ore. Secondo Ammirati, «negli ultimi anni si è continuato a fare un uso sistematico della detenzione nelle zone di transito aeroportuali, per quanto non ci sia modo al momento di avere dati relativi all’ultimo anno».
In assenza di numeri aggiornati, non resta che affidarsi alle storie. Come quella di una donna camerunense e i suoi quattro figli minorenni, fermati lo scorso settembre all’arrivo all’aeroporto di Malpensa e reclusi per due giorni nella zona di transito, nonostante avessero regolare visto turistico. La legge italiana stabilisce che questo non sia sufficiente, perché le persone sono sottoposte anche a una sorta di profilazione economica: se non si offrono garanzie adeguate di poter affrontare le spese di permanenza, si può essere respinti. E così è stato per loro, senza possibilità di fare ricorso. Segno di come gli aeroporti italiani siano luoghi di detenzione e respingimento discrezionale e arbitrario. Di fatto, zone franche del diritto.
© Riproduzione riservata