Stando a una ricerca di Jfc, società di ricerche che nel 2016 ha analizzato 50 bilanci di stellati italiani, tra pernottamenti dei clienti e costo dei pasti, il valore medio generato sul territorio da ogni locale blasonato è di 844 mila euro l’anno. Ma queste cifre presunte, che fanno gioco agli uffici marketing degli enti del turismo, soprattutto lo fanno alla stessa Michelin
Non si può ottenere una stella Michelin in cambio di denaro. Ma cosa succede quando per la prima volta uno stato ottiene una guida rossa dedicata? Spesso le stelle arrivano. E può capitare che a Michelin arrivi del denaro: quello degli uffici del turismo che aiutano le guide a finanziare l’impresa.
Nell’autunno 2023 sarà la volta di Atlanta, che punta sul turismo grazie al traino fornito dalla Coppa del mondo Fifa del 2026. In autunno apparirà anche la prima guida Michelin del Colorado, il cui ufficio del turismo coprirà «alcuni dei costi sostenuti per campagne di comunicazione, digitali e di marketing».
Un aiuto
Michelin nega di aver mai “recensito” stati a pagamento, ma nel 2017 Claire Dorland Clauzel, ex vicepresidente esecutivo per le guide, ha dichiarato che quelle di Seoul, Macau, Hong Kong, Bangkok e Singapore sono state “commissionate”. Cosa si intenda con questo termine, è difficile capirlo visto che, nel caso di Hong Kong, l’ufficio del turismo ha negato i finanziamenti ammessi da Michelin, e Clauzel ha poi chiamato in causa sponsor privati.
Più di recente la guida, ha dedicato un’edizione alla California e ricevuto da Visit California un incentivo da 600mila dollari, i quali, secondo il suo Ceo Caroline Beteta, sono serviti a «sostenere i costi elevati dell’espansione della guida per coprire l’intero stato».
Secondo il quotidiano Miami Herald nel 2022 anche gli enti turistici della Florida hanno aiutato Michelin con circa 1,5 milioni di dollari. L’investimento è motivato dalla percentuale di spesa che, nelle sole Miami, Tampa, Orlando, corrisponde ai ricavi per cibo e bevande: oltre il 20 per cento della spesa turistica totale. E i riconoscimenti dovrebbero alzare questi numeri.
Costi e benefici
Stando a una ricerca di Jfc, società di ricerche che nel 2016 ha analizzato 50 bilanci di stellati italiani, tra pernottamenti dei clienti e costo dei pasti, il valore medio generato sul territorio da ogni locale blasonato è di 844 mila euro l’anno.
Ma queste cifre presunte, che fanno gioco agli uffici marketing degli enti del turismo, soprattutto lo fanno alla stessa Michelin.
Nel 2011 il Financial Times ha riportato che la società perdeva 24 milioni di euro l’anno. Le vendite non coprono le spese degli ispettori e gli uffici del turismo vengono in soccorso di Michelin, con mutuo beneficio: la guida ottiene risorse per fare il suo lavoro e le destinazioni esaminate pubblicità e prestigio.
In più, in un’èra in cui la rilevanza della guida Michelin subisce la concorrenza di altre classifiche, di influencer e di piattaforme di recensioni, l’ingresso nel carnet degli indirizzi di paesi “emergenti” come l’Estonia o la Malesia, cui nel 2022 si sono aggiunte le edizioni di Dubai e Abu Dhabi, ridimensiona anche la nomea della Michelin di «apprezzare una cucina basata su tecniche francesi o giapponesi», come ha riassunto il sito usa Robb report.
«Alcuni paesi e governi che vogliono attrarre il turismo sono molto interessati ad avere una guida, e quindi ne sponsorizzano una per avere la possibilità di comunicare il loro panorama gastronomico», ha affermato la già citata Claire Dorland Clauzel. Eppure talora la comunicazione è un epic fail, come nel caso di Seoul, presentata dall’allora direttore internazionale della guida, Michael Ellis, come «una destinazione culinaria di livello mondiale».
Nell’ottobre 2017 Song Ki-seok, funzionario dell’Assemblea nazionale per l’istruzione, la cultura, lo sport e il turismo, ha criticato pubblicamente l’impegno da 1,8 milioni di dollari in quattro anni siglato dall’ente del turismo per una guida accolta con molte polemiche: alcuni locali, indicati con terrazza, ne erano privi; altri chiusi risultavano ancora attivi. E secondo Vogue Corea i due tristellati di Seoul non erano all’altezza del riconoscimento.
Il ritorno per il territorio
Il coinvolgimento degli uffici del turismo «non ha alcuna influenza sui giudizi degli ispettori per i ristoranti nella selezione, o sulle distinzioni dei premi», ha ribadito Gwendal Poullennec, attuale direttore internazionale delle Guide (una richiesta di commento inviata al sito italiano da chi scrive non ha avuto risposta). Sarà certamente vero. Nondimeno, data la velocità dell’espansione, è lecito domandarsi, come ha fatto il San Francisco Chronicle, se le stelle compaiano in nuove regioni perché effettivamente lo meritano o «in nome dell’inclusione». E poi: questa estensione programmatica rispetta gli stessi criteri ovunque? Come ha evidenziato il critico gastronomico inglese Andy Hailer sul sito Korea Exposé «la domanda se prendere i soldi dagli enti turistici metta gli ispettori sotto pressione per assegnare le stelle resta valida». E un interrogativo ancora più generale è: le guide ottengono l’effetto economico sperato dagli enti del turismo? Uno studio dell’università indonesiana Kristen Petra basato sulle risposte di 150 cittadini del sud est asiatico ha indicato che la consultazione della Michelin spinge a provare i ristoranti elencati, ma non a visitare apposta una destinazione. Se gli enti del turismo ci sperano, rischiano di restare a bocca asciutta.
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