I numeri del disastro sono impietosi, dal sovraffollamento alle carenze di personale, dai suicidi in carcere ai tagli delle indennità. La destra si scopre incapace anche in un universo molto vicino politicamente dove da anni si aspettano inutilmente risposte
Per misurare il fallimento del governo Meloni bisogna partire dal carcere e dalle politiche messe in campo. Un anno è bastato per capire la distanza tra le promesse fatte in campagna elettorale e i risultati che scontentano tutti, anche gli stessi universi elettorali di riferimento delle destre, come quello della polizia penitenziaria. In dodici mesi la cura del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, è stata perfetta per ammazzare definitivamente un settore, in precarie condizioni da tempo.
Sul fronte carcere, i numeri dicono che niente è stato fatto per il sovraffollamento, ci sono quasi dieci mila reclusi in più della capienza. La ricetta proposta è sempre la stessa, utilizzare le caserme dismesse, vecchio cavallo di battaglia delle destre da 25 anni.
L’inazione si somma alle sortite discutibili del ministro in giro per l’Italia, come quando, a Torino, dopo il suicidio di due donne in carcere, aveva paragonato quei casi a due nazisti che si erano tolti la vita prima e durante il processo di Norimberga.
I numeri del fallimento
Sono i numeri a raccontare l’incapacità di dare risposte, l’unica proposta nuovamente sul tavolo, è quella di rabbonire la polizia penitenziaria, rivedendo il reato di tortura e regalando così licenza di impunità a una minoranza di agenti picchiatori.
C’è un problema gigantesco, gli abusi in divisa, e il governo pensa di risolverlo rimodulando il reato.
Tornando ai numeri, mancano 18 mila agenti di polizia penitenziaria rispetto al reale fabbisogno, una situazione che si aggraverà nei prossimi anni (entro il 2026) quando ci sarà l’entrata in funzione di nuovi padiglioni detentivi per un totale di 1.690 posti. I sindacati denunciano che con le assunzioni in corso non si riuscirà a coprire neppure il turnover, non si assume anche per la carenza strutturale di scuole di formazione.
Una situazione allo sbando considerando che il governo, tra i primi provvedimenti assunti, ha perfino tagliato risorse alla penitenziaria, in particolare le indennità: 25 milioni totali per gli anni 2022 e 2023 e undici milioni di euro dal 2024. Bisogna aggiungere che le indennità non pagate alla polizia penitenziaria vengono, invece, riconosciute ad altri corpi di polizia.
Di carcere si muore, solo nel 2023 ci sono stati 53 suicidi fra i detenuti; due omicidi in carcere; 121 morti totali con i detenuti malati di mente che non vengono adeguatamente curati. Gennarino De Fazio, segretario della Uilpa, dice: «Dopo un anno di governo, i problemi penitenziari rimangono sostanzialmente irrisolti e per molti versi peggiorati. Certamente registriamo un’attenzione diversa alle necessità della polizia penitenziaria, soprattutto dal sottosegretario, Andrea Delmastro delle Vedove, che ha consentito, per esempio, la previsione dei Medici del Corpo, tuttavia ancora solo sulla carta, il varo di un manuale per gli interventi operativi, che si scontra però con la realtà, nondimeno scontiamo il sostanziale disinteresse del Guardasigilli, Carlo Nordio».
Delmastro Delle Vedove è l’avamposto meloniano dentro il ministero, ma conta sempre meno visto che il dicastero è nelle mani di Nordio e soprattutto della stretta collaboratrice, un passato da forzista, Giusi Bartolozzi. Conta meno anche perché rischia il processo per la grave sgrammaticatura istituzionale, con il contributo del deputato Giovanni Donzelli, che ha portato all’indagine a suo carico per rivelazione di segreto d’ufficio. Una vicenda che ha profondamente segnato anche umanamente il sottosegretario, il quale aveva confidato alcune notizie riservate all’ex coinquilino, trasformate in una battaglia politica in aula contro il Pd.
Delmastro si è assunto e si assumerà l’intera responsabilità di quel pasticcio e, in caso di rinvio a giudizio, potrebbe lasciare l’incarico di sottosegretario per proteggere ministero e governo. Un’eventualità che sguarnirà ulteriormente il dicastero di sentinelle meloniane, ormai la giustizia è in mano a Forza Italia come era già emerso con la scelta del capo del Dap, dove Fdi spingeva per Lina Di Domenico, ora vice, e, invece, si è accontentata di Giovanni Russo, attuale capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
© Riproduzione riservata