Non finiscono mai bene quelli che peccano di hybris. Prometeo, dopo aver rubato il fuoco agli dèi, si ritrovò incatenato a una rupe a farsi divorare le interiora da uccellacci e uccellini. Se la hybris è la “tracotanza” di chi, umano, vuole arrivare troppo vicino all’Olimpo, esiste il forte sospetto che il tennis italiano sia stato ritenuto dagli dèi colpevole, e degno di essere punito per aver osato sostenere che Roma diventerà il quinto torneo del Grande Slam.

I ritiri

Da quella frase, la maledizione del quinto Slam si è abbattuta sul Foro Italico con una pervicacia degna di miglior causa facendone anche esplodere i limiti. Nato e presentato come il torneo-epifania di Jannik Sinner si è ritrovato di colpo senza di lui, infortunato a Madrid e ritirato a poche ore dal via. Jannik avrebbe anche potuto ascendere al numero 1 al mondo sulla terra patria e invece potrebbe diventarlo proprio a Roland-Garros, a casa dei francesi, pur senza giocare.

In programma c’era il ritorno di Matteo Berrettini: ritirato pure lui prima del via. Musetti? Quaranta minuti in campo contro Atmane, poi il ritiro e via di corsa in bagno colpito dalla versione locale del virus Montezuma. Sonego? Subito fuori. Nardi? Un bel primo turno vincente contro Altmaier giocato nel buio pesto della notte davanti a quattro gabbiani, parenti e amici e poi il ko contro Rune. Paolini? Sconfitta all’esordio da un’egiziana urlante.

Il pubblico: gli insulti e le file

Ma questi sono fatti di sfortuna. A fare di Roma uno Slam nei fatti, si dice, è il pubblico. Non gli ultras di Flavio Cobolli, evidentemente, per due ore e mezza – senza interventi da parte degli addetti alla sicurezza – autori di insulti verso il malcapitato ed educatissimo Sebastian Korda, a pochi metri di distanza da lui.

Qualcosa non quadra comunque visto che il Centrale (quello che avrebbe dovuto essere provvisorio: è lì, immoto, dal 2010) e la Grand Stand Arena hanno offerto fino ad oggi allo sguardo dell’osservatore ampissimi spazi vuoti. E agli altri campi (Pietrangeli in primis) ove si accede con il biglietto “ground”, è stato possibile avvicinarsi solo a patto di dormirci dentro la notte precedente: impossibile. I più si fermano prima, ascoltano i boati, s’infuriano e passeggiano lungo viale delle Olimpiadi aspettando tempi migliori. Cose che negli Slam non succedono.

La borraccia

Tornei, questi, che sono per definizione la casa degli ex Fab Four. A Roma ce n’erano due. Uno, Nadal, è stato salutato fuori dal Centrale dai passeggianti di cui sopra con un affetto veramente degno di Wimbledon; ma dentro lo stadio avrebbe dovuto andare in scena una celebrazione per l’addio che invece non c’è stata: si erano dimenticati di ottenere l’assenso di Rafa. O non si erano capiti.

L’altro reduce, Djokovic, è stato sì protagonista ma del fatto «di sangue» verificatosi a bordo di un campo da tennis più clamoroso dai tempi dell’accoltellamento di Monica Seles ad Amburgo (1993). Le immagini di Nole colpito alla testa da una borraccia di alluminio sfortunatamente scivolata dallo zaino di uno spettatore hanno fatto il giro del mondo, compresa la reattività, non proprio fulminea, degli uomini della security. Una borraccia? Come è possibile che una borraccia chiusa entri al Foro, dato che ovunque negli stadi non può entrare manco una bottiglietta d’acqua col tappo?

«Le borracce da quest’anno sono consentite perché si è voluto andare incontro alle esigenze di risparmio degli spettatori» hanno sostenuto gli organizzatori. Spettatori che possono rifornirsi, a prezzo di code interminabili, alle fontanelle (tre) presenti nell’area. Mah. Nole 48 ore dopo la bottigliata ha perso in malissimo modo contro il cileno Tabilo, è uscito fra i fischi e ha detto che «forse» la colpa della sua prestazione da incubo è stata proprio della botta di cui sopra. Facendo correre un brivido lungo la schiena degli organizzatori che già temevano di essere oggetto di una causa legale.

L’invasione

Ma al Foro non entrano solo le borracce: pure le confezioni di colla. Quella che è servita ieri ai rappresentanti del movimento ambientalista Ultima Generazione per attaccare i propri piedi al marmo del Pietrangeli, mentre un loro collega, entrato in campo indisturbato durante il match tra Keys e Cirstea, lanciava coriandoli e vernice. Stessa scena sul campo 12 mentre era in corso un doppio.

Se la qualifica di Mini-Slam (12 giorni di gara invece di 7) ha portato indubbi vantaggi agli incassi è anche vero che per ora potrebbe essere ribattezzata maxi via crucis. Per diventare uno Slam bisogna esserlo per lo spazio (che non c’è), per le strutture, per gli investimenti nel benessere degli utenti e nella sicurezza, non solo nei numeri della cassa.

Roma ha però ancora una ghiotta occasione per rilanciare la sua candidatura: la finale femminile di sabato. L’anno scorso si giocò con la tribuna d’onore desolatamente deserta e con una cerimonia di premiazione più in linea con la saga del peperone che con quella di un evento di respiro mondiale. Torneo avvisato, mezzo salvato.

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