Nozze d’argento e stagione giubilare per il 6 Nazioni di rugby, che nel 2000 ha cambiato taglia per far posto all’Italia, in grado di regalare un esordio memorabile: al Flaminio battuta 34-20 la Scozia che aveva chiuso con una vittoria la vecchia “chanson de geste” del 5 Nazioni. L’Italia si scoprì improvvisamente molto ovale.

In realtà, scorrendo rapidamente quel che è avvenuto in questo quarto di secolo, numeri, cifre, statistiche dicono che Azzurra ha spesso interpretato la parte dell’anatra zoppa che qualcuno avrebbe voluto servire arrosto, al profumo d’arancia. Ma la tentazione di far posto alla Georgia è stata vinta dalla prospettiva di avere in futuro in un 6 (o 7) Nazioni il Sudafrica, quattro volte campione del mondo.

Le prospettive per l’Italia

La 121esima partita degli azzurri è in scena sabato 3 febbraio all’Olimpico contro l’Inghilterra, mai battuta. L’Italia non vince in casa dal marzo 2013, contro l’Irlanda: quasi undici anni. Tutto il resto viene di conseguenza: 106 sconfitte, un pareggio, 13 vittorie in 120 match (sette con la Scozia, tre con il Galles, due con la Francia, una con l’Irlanda) per una media impercettibile di 0,54 successi a stagione. o per meglio dire, un risultato positivo ogni due anni, con catene dell’infelicità che hanno toccato anche i 36 capitoli consecutivi. La serpentina di Ange Capuozzo a Cardiff, marzo 2022, è stata un miracolo e una pozione salvifica.

I “cucchiai di legno”, il riconoscimento che tocca all’ultima classificata, toccano quota 18, tre quarti dei tornei giocati che, nel frattempo, hanno visto sette vittorie dell’Inghilterra, sei di Francia e Galles, cinque dell’Irlanda, vertiginosamente cresciuta grazie a una visione tecnica e strategica che ha permesso ai verdi di vincere una serie in casa degli All Blacks e di salire in vetta al ranking.

La Coppa del Mondo, giocata tra settembre e ottobre in Francia, ha decretato il poker sudafricano, la delusione dei padroni di casa e degli irlandesi (entrambi fuori ai quarti) e l’ennesima uscita di scena, dopo la fase a gironi, dell’Italia, sepolta dalla Nuova Zelanda sotto 96 punti e sbrigata dalla Francia con una tariffa severa fissata a quota 60.

Assenze e capitani

Chi ha memoria lunga e archivi a portata di consultazione rapida sa e può dire che il Torneo che arriva dopo la Coppa del Mondo ha buone chances di essere particolare. Forse sorprendente.

Molti giocatori saranno assenti per motivi diversi: c’è chi ha dato l’addio al rugby internazionale come gli inglesi Courtney Lawes, Johnny May, Ben Youngs, c’è chi ha dato l’addio “tout court” come ‘irlandese Jonathan Sexton e il gallese Alun Wyn Jones, c’è chi ha scelto di attraversare la Manica (the Channel) per abbracciare un campionato stabile e ricco incorrendo nel bando dalla nazionale inglese, come Henry Arundell, Jack Willis, Joe Marchant, David Ribbans e chi sta per perfezionare questa scelta, come Owen Farrell (e, pare, qualcun altro), c’è chi ha deciso, ed è il caso di Antoine Dupont, di puntare all’oro olimpico nel rugby a 7 dopo aver sbattuto il volto, in tutti i sensi, sulla Coppa del Mondo giocata in casa con ricche e frustrate speranze di arrivare sino in fondo.

E, a proposito di Marianna, una delle novità è l’assenza di Parigi, troppo impegnata a lavorare sui Giochi Olimpici che tornano dopo un secolo: i Galli-Galletti, irrorati da molto sangue polinesiano, giocheranno a Marsiglia il match clou contro l’Irlanda e a Lilla, a nord, contro gli azzurri.

Tirando altre somme, nuovi capitani: il veterano Jamie George per l’Inghilterra, il giovanissimo Dafydd Jenkins per il Galles (soltanto il leggendario Gareth Edwards guidò i rossi in un’età analoga), Gregory Aldritt per la Francia che rileva i gradi da Dupont, a sua volta sostituito nel ruolo di mediano di mischia da Maxime Lucu. Il ct scozzese Gregor Townsend, per il momento, ha deciso di nominarne due: l’imprevedibile Finn Russell e Rory Darge, e Andy Farrell, ex stella del rugby a XIII e ora capo tecnico dell’Irlanda, ha assegnato il ruolo a Peter O’Mahony, colonna del pack dei verdi. Michele Lamaro per ora mantiene il ruolo.

Il neozelandese Warren Gatland sta per inoltrarsi per la 17esima volta nel 6 Nazioni e a chi gli fa notare che il suo Galles assomiglia al cavallo del Palio che parte in rincorsa fa notare che lui è pronto a scommettere sulla sua squadra: valutando quello che ha combinato in rosso Galles e in rosso Lions, gli si può dare credito.

Un cittì esordiente

Davanti a tanti abbandoni e infortuni, Steve Borthwick, guida dell’Inghilterra, non muove un pelo: «Se tutto funziona nell’area del breakdown e nella mischia, possiamo essere ottimisti». Quel gioco essenziale, ortodosso e poco spettacolare, offerto in Coppa del Mondo quando qualcuno ipotizzava per l’Inghilterra un’uscita dopo la fase a gironi riflettendo sugli ultimi deludenti Tornei della Rosa.

E invece, terzi, primi dell’emisfero boreale e a un soffio dalla finale, piegati di un punto dal Sudafrica che con lo stesso margine avrebbe centrato il poker contro gli All Blacks nel Mondiale che segnava il 200esimo anniversario (leggendario e reale che sia) della nascita del gioco nella città che ha dato il nome a una sport.

Alla 25esima partecipazione l’Italia è l’unica squadra al via con un commissario tecnico esordiente e, dopo un mare di giocatori provenienti da quell’area che sa scovare e allenare la qualità, con il primo argentino a dirigere le operazioni. A Gonzalo Quesada, una carriera in Francia da giocatore e da allenatore, tocca subito un’Inghilterra in piena gestazione, ricca di assenze, di problemi, reduce da crack che hanno posto fine all’esistenza di tre antichi club – Wasps, Worcester, London Irish – e che hanno favorito la diaspora di giocatori verso i ricchi stipendi francesi. Se sarà un torneo sorprendente, è il migliore degli accoppiamenti possibili.

Le correnti d’ottimismo vengono da Treviso: il Benetton è al vertice del suo girone di Urc, il campionato delle franchigie europee e sudafricane, e ha messo le mani sugli ottavi in Challenge Cup. Dai Leoni biancoverdi la Nazionale si alimenta, ma è anche vero che almeno cinque mercenari stranieri hanno attitudini e valori superiori a chi, al loro posto, andrà a vestire l’azzurro.

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